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Chi sta fermo sogna
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Per lunghi interminabili istanti nel quadro non si muove niente. Nella luce di un'alba fredda c'è una piccola imbarcazione sulla sinistra con a bordo un uomo chino, immobile, che osserva la superficie del lago appena sotto al barchino. Una passeggiata di cemento, da cui si innalza un lampione spento, ne lambisce la costa. Un canale interno disegna il limite del quadro inferiore. All'orizzonte, colline. In alto il cielo. La bandiera quadricroma della tranquillità. Apparente.
Dopo qualche minuto da destra entra in campo una carrozzina rosa sospinta da una donna che si ferma pochi passi dopo essere entrata in scena. Guarda verso il basso, verso l'interno della carrozzina, poi si guarda intorno, lentamente.
In crisi di astinenza da certezze ecco che il cervello dello spettatore vince l'aggressività passiva dell'immobilità e comincia a farsi delle domande: si sta godendo il momento o quello che ho notato è proprio uno sguardo circospetto? Con una lentezza che ha ben poco di materno (di nuovo, incapace di restare relegata a puro sguardo, la mente elabora minime interpretazioni, giudizi, trend, strutture) si china sul contenuto della carrozzina - potrebbe anche essere un coniglio, un canguro o un iguana, per quel che sappiamo - ma no, ecco che il regista ci fa arrivare netto nelle orecchie una specie di gorgoglio, dovrebbe esserci un cucciolo di umano, lì dentro. Un piccolo movimento di un braccio fa sussultare e orrore, adesso lo soffoca, pensi. E non sai perché lo pensi. Forse perché da qualche parte dentro di te risiede la certezza che le cose devono andare male, residuo secco e colpevole di un peccato originale. E poi pensi che, insomma, se questa cosa che stai guardando è un film ci deve essere un plot, o almeno un buon motivo, per cui succedono tutte queste cose. Se lo è. Un film.

Comunque no, non lo soffoca. Semplicemente se ne va. La madre - o forse è solo una babysitter poco scrupolosa o svogliata e non una madre infanticida o in fuga - questa donna, insomma, se ne va, camminando senza alcuna fretta e attraversando tutta la parte del quadro che resta fino a uscire da sinistra. La calma olimpica con cui questa cosa avviene comincia a farti pensare che va tutto bene, che questa donna fa sempre così, tutte le mattine si alza, si veste, veste il suo bebè come un delizioso fagottino, esce con la carrozzina, si fa una bella passeggiata sul lago e poi, zac, se ne va e lo lascia da solo per un po', in fondo che male fa? Anzi. Cosa c'è di meglio di qualche dose omeopatica di abbandono per emancipare la creatura. E infatti. Infatti dopo qualche minuto il barcaiolo si mette in movimento. LO SAPEVO! È tutto chiaro, il barcaiolo è il padre e loro sono d'accordo così, fa parte della loro routine: senti cara io domani mattina esco all'alba e vado a pescare al solito posto, tu portami la bambina e se dorme lasciala pure sulla passeggiata che poi io arrivo.

E invece no. Neanche questo, branco di pazzi, bastardi, genitori senza testa, irresponsabili, orribili persone. Il barcaiolo si mette in movimento ma non ci pensa neanche a dirigersi semplicemente verso la carrozzina abbandonata. Se ne frega ed esce dal quadro con la sua maledetta barchina. Ma dico, okay non sei il padre, ma quella carrozzina lì, sulla passeggiata, all'alba, non ti insospettisce almeno un po'? Che bestia sei? Per fortuna che dopo pochi istanti arriva un pescatore, cammina spedito con la sua canna da pesca verso la carrozzina. Okay, dici, adesso l'incubo è finito, il pescatore si fermerà, verificherà almeno lo stato di salute del bambino (o del cucciolo di iguana) e poi lo porterà all'ospedale, alla polizia. Macché. Non solo non si ferma ma neanche ci guarda dentro. Una carrozzina rosa solitaria, all'alba, su un lago e tu neanche butti un occhio dentro? Ma fosse anche per pura curiosità, no? La carrozzina resta sola sul ciglio del lago, se ne sono andati tutti. Ed è in questo momento di quiete che lo spettatore è obbligato a pensare a sé stesso. A cosa ha visto, ma soprattutto ai pensieri che ha fatto. A dov'è stato in questo tempo, con la testa. I più introspettivi potrebbero persino iniziare a pensare a che tipo di persona siano diventati.

La camera ferma e impietosa di Benedek Fliegauf è bastarda: estrae il cinema dallo spettatore. Lui non fa niente, salvo costruire quadri, orchestrare i tempi dei movimenti in maniera millesimale, giocare con i colori come un Hopper desaturato e lisergico. E raccontare una non-storia lasciando lo spettatore in balia dei propri spettri, spingendolo a costruire teorie sulla base dei propri filtri emotivi o dei propri pregiudizi. Obbligandolo infine a verificare la propria immagine riflessa nello specchio interiore, spostando il centro della riflessione dal mondo in cui abita a quello dal quale è abitato.

La visione di Milky Way (2007) di Benedek Fliegauf è stata un utile esercizio per la mente. Agli antipodi di parecchio cinema che conosciamo - fatto di slittamenti di punti di vista, di camere attaccate alle espressioni e ai corpi degli attori, di intrecci complicati e stratificati che pensiamo siano riflesso (e poi giustificazione) di una contemporaneità complessa e ingestibile e agli antipodi anche del pensiero dominante che spinge al movimento, allo sbattimento, al sempre nuovo progetto, che si nutre del nostro compiere azioni significative, simboliche, eroiche - un autore come Fliegauf ha decisamente il merito di introdurre nel corpo il vaccino del dubbio. L'osservazione del nostro quadro, della finta statica delle piccole cose che vi accadono, delle dinamiche che si nascondono tra le pieghe delle cose che avremmo potuto dire, dei moventi di quelle che avremmo potuto fare, potrebbe addirittura finire per rivelarci, definire i nostri limiti e consolidarli attorno al nostro centro. Chi si muove crea, chi sta fermo sogna diceva Garcia Lorca ma Fliegauf, stando fermo, vince.

Se non avete il film di Fliegauf sottomano (cercatelo!), potete esercitarvi nella mistica osservazione della finta statica collegandovi spesso alla pagina del nostro speciale sul festival di Cannes, dove vedrete comparire i contributi dei nostri inviati al festival, che evidentemente si muoveranno tantissimo, proprio per noi.
Se invece sono riuscito ad incuriosirvi e volete maggiori informazioni sul film che vi ho anticipato (perché la verità è che vi ho raccontato esclusivamente l'inizio di un unico segmento) potete utilizzare la simpatica funzione Commenta che si trova proprio qui sotto.

* Comunque alla fine il bebè (di caimano) si salva eh...

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