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Far East Film Festival 20 – Frammenti
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Nella seconda serata di sabato 28 aprile, dopo la subliminale proiezione della copia restaurata in 4k di Throw down di Johnnie To, la ventesima edizione del Far East Film Festival ha calato il sipario proclamando i vincitori. Come da comune sentore di chiunque fosse sul posto, i riconoscimenti principali – il Gelso d’oro assegnato dal pubblico nella sua interezza e il Gelso nero, frutto del voto degli accrediti Black dragon – sono stati assegnati al dramma storico 1987: When the day comes, diretto con pragmatismo da Jang Joon-hwan, mentre gli altri due gradini d’onore del podio hanno visto insediarsi due titoli di natura diversa, un’ottima istantanea di un Festival che fa dell’eterogeneità dell’offerta un presupposto basilare, nonché un vanto. Così, distanziato di pochi centesimi di punto dal vincitore, il secondo film più votato è stato il giapponese One cut of the dead, un horror anticonvenzionale a vocazione cinefila, che proprio a Udine ha legato la sua anteprima mondiale. Il podio è completato da The battleship Island: Director’s cut, una produzione sudcoreana high concept, perfetto esempio - nella sua rarità - di come impegno e intrattenimento possano andare di comune accordo, aiutandosi vicendevolmente. A completamento della lista dei premi, concorrono il Gelso bianco – novità assoluta di questa edizione - per la miglior opera prima assegnato a Last child di Shin Dong-seok e il Mymovies award conquistato da The Empty hands di Chapman To.

locandina

1987: When the Day Comes (2017): locandina

Al di là dei premi che compongono la bacheca, facendo sì che i titoli prescelti occupino una posizione privilegiata nella memoria collettiva, vale la pena sottolineare alcuni numeri che hanno contraddistinto questa edizione del festival. Partendo dal basso, ovvero da quella platea che avvalora una manifestazione rendendola condivisa e frizzante, il Festival ha raccolto circa 60mila spettatori, che hanno presenziato alla passerella di circa 150 guest star, tra le quali spiccavano l’inafferrabile Brigitte Lin Ching Hsia, l’affermata attrice, nonché fresca autrice, Moon So-ri e il regista cult Johnnie To, legato indissolubilmente al Festival dalla sua origine, avendo trionfato nella prima edizione con A hero never dies. Andando su aspetti più tecnici, comunque identificativi di una realtà radicata oltre i confini nazionali e continentali, va registrata la presenza di 1555 accreditati e di 150 professionisti dell’industria cinematografica asiatica ed europea, senza trascurare i frutti raccolti dagli eventi collaterali che, complice un meteo estremamente favorevole, hanno coinvolto anche chi con il cinema non può vantare un rapporto privilegiato. Numeri importanti che permettono al Far East Film Festival di proiettarsi con fiducia nel futuro, senza però accontentarsi degli allori fin qui raccolti. Come da dichiarazione di chiusura dell’esuberante presidente Sabrina Baracetti, «oggi non è abbastanza» è già ora di guardare al futuro. Per la precisione al periodo che va dal 26 aprile al 4 maggio 2019, quando avrà luogo l’edizione numero ventuno del festival. Sicuri, ancora una volta, di ritrovare il rispetto delle tradizioni, ma anche nuovi orientamenti in grado di anticipare i tempi, riempiendo di appunti nuove pagine, al momento ancora illibate. Lunga vita al Far East. 

(Johnnie To brinda sorridente, abbracciato alle due figure chiave dell'organizzazione del Far East: Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche)

Per chiudere la finestra su questa edizione, seguono una serie di frammenti dal festival: opere da tenere d’occhio, presenze da immortalare ed eventi da evidenziare.

One cut of the dead. Budget minuscolo, quasi inesistente. Intelligenza. Ironia. Innata passione per il mezzo cinematografico. Desiderio di sorprendere, spiazzando. I miracoli esistono e One cut of the dead riesce – incredibilmente, vista la ressa di opere sul tema - a scrivere una nuova pagina sugli zombie movie. Quando l’attrice protagonista è una vera impedita nella recitazione, non c’è niente di meglio che avere il supporto di veri zombie. O forse la verità risiede altrove e un altro punto di vista può fare chiarezza. Un’anteprima assoluta su scala mondiale, un piccolo film che potrebbe trasformarsi nel tempo in un autentico cult, il cui nome rimarrà per sempre legato a doppia mandata al Far East Film Festival.

Moon so-ri. Splendida 43enne, Moon so-ri, già icona d’autore grazie a opere come Oasis che le valse il premio come miglior attrice emergente a Venezia nel 2002 e La moglie dell’avvocato, si presenta al festival in un doppio ruolo. Di autrice e attrice in The running actress e di figura di secondo piano – ma riecheggiante - in Little forest. Nel primo film rispolvera le lezioni apprese sui set gestiti da grandi autori, mostrando una corposa dose di autoironia, mettendosi in vetrina, come attrice e madre, ma prima ancora come donna che comincia a sentire il passare degli anni. Vedendola dal vivo in tutta la sua bellezza e grazia, viene spontaneo affermare quanto sia facile schernirsi quando si è ancora in perfetta forma. Però, anche le star hanno i loro problemi e vista la sincerità dell’opera, prende il sopravvento la voglia di credere nella sua onestà. Invece, in Little forest interpreta una madre assente, fuggita verso una nuova vita senza avvisare nessuno, nemmeno la figlia poco più che maggiorenne: un personaggio rievocato attraverso una serie di flashback, che si abbina con perfetta adesione all’immagine dell’attrice vivisezionata in The running actress.

Cinema d’autore. All’interno di un programma che prevede ogni sorta di diramazione contemplabile, non può mancare il cinema d’autore. Un’espressione artistica che ha presentato il dramma intimistico su tessuto storico di Our time will come diretto da Ann Hui, la devastazione collettiva e individuale di Fukushima in Side job. di Ryuichi Hiroki e l’affresco storico di Youth, diretto da Feng Xiaogang. Oltre a questi autori affermati da tempo, va nuovamente menzionato Last child di Shin Dong-seok, frutto della lezione dardenniana, con chiari punti di contatto con Il figlio.

locandina

Our Time Will Come (2017): locandina

Cinema d’ìntrattenimento. Il caso più emblematico riguarda The battleship Island: director’s cut, pellicola sudcoreana – terza classificata tra i film in competizione - che sfrutta al meglio un buon budget, senza accontentarsi di sfoggiare qualità tecniche di indubbia importanza. Perché la narrazione non può essere dimenticata e personaggi sviluppati con criterio costituiscono un elemento imprescindibile del cinema, anche di quello più popolare che spesso fa finta di niente. Seppure con modalità diverse, anche Operation red sea è una bomba, per 140 minuti d’azione da togliere il fiato. In questa circostanza, i dialoghi sono quasi del tutto assenti e l’azione non demorde mai. Fosse stato addirittura un film muto, sarebbe stato anche meglio. In ogni caso, Dante Lam non si smentisce e lo straordinario successo al box office cinese è ampiamente meritato.  

locandina

The Battleship Island (2017): locandina

I generi. In questa dizione assolutamente trasversale, il Far East ha offerto parecchio. Tra i nomi più in voga tra i cinefili è transitato Kiyoshi Kurosawa con la misteriosa e decadente sci-fi di Yocho, ma non sono mancati altri autori da festival, ad esempio il filippino Raya Martin con il thriller Smaller and smaller circles e l’indonesiano Joko Anwar con l’horror di matrice demoniaca Satan’s slaves. Infine, meritano una citazione anche la distopia sociale di The scythian lamb diretta da Daihachi Yoshida, la rimodulazione dell’heist movie in chiave thriller da teen movie di Bad genius e il viaggio in un teatro di guerra di Night bus.

locandina

Bad Genius (2017): locandina

On happiness road. Era da anni che il Far East non presentava un film d’animazione. L’occasione è stata sfruttata alla grande, perché con On happiness road, l’autrice taiwanese Hsin Yin Sung contempla una riflessione sull’infanzia, sui rapporti familiari e sulla storia di una nazione, comprendendo echi globali influenti a ogni latitudine. Sempre prestando attenzione alla ricerca della felicità, che accomuna tutti gli esseri umani, infrangendo qualunque barriera spazio temporale. E, ovviamente, l’animazione consente di ricorrere alla fantasia, aggiungendo sfumature altrimenti impensabili. Una piccola gemma animata, dai caratteri pastosi.

locandina

On Happiness Road (2017): locandina

Johnnie To. Ospite d’onore dell’ultimo giorno del festival, Johnnie To vince – almeno in ambito maschile – il premio per l’eleganza. Poi parte la proiezione di Throw down restaurato in 4k – un’anteprima mondiale curata proprio dal Far East - e il senso di meraviglia autoriale prende letteralmente il sopravvento, trascinando in uno scorcio sfuggente e affascinante, tra echi della Nouvelle Vague e del cinema di Wong Kar-wai, nella fattispecie di Hong Kong express. Throw down è il secondo restauro curato dal Far East Film Festival in collaborazione con L’immagine ritrovata di Bologna dopo Made in Hong Kong, un ulteriore tassello che sottolinea l’importanza del festival. Se da un lato la proiezione degli intenti guarda al futuro, ridare vita a capisaldi del cinema, donando loro una dimenticata lucentezza, è un’operazione altrettanto meritoria. Che clamorosa meraviglia! Il miglior modo per chiudere in gloria il festival.

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