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Far East Festival 20 - giorno 2
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Far East Film Festival 20 - giorno 2

Non ho preso il phon.

Sono riuscito a ricordarmi lo spazzolino da denti, il cavo usb di riserva, le aspirine. Ma non il phon. Abbiamo quattro phon a casa, uno a testa compreso il gatto, phon che arrivano come souvenir dai luoghi di villeggiatura, comprati il giorno successivo l’arrivo perché, accidenti, non abbiamo preso il phon. Si nascondono, i maledetti, quando vedono le valigie.

Quello che ho comprato a Udine è il quinto. Preso in un negozio posto proprio di fronte all’ingresso dell’ostello dove soggiorno e la cui camera, pulita ma spartana, non offre il conforto del phon a muro. evidentemente non è un caso che il negozio di Elettricità sia al di là della strada.

Talmente anacronistico nel suo esistere, fa pensare più ad una temporanea manifestazione ectoplasmatica generata dal bisogno che un reale esercizio commerciale. Qualcosa che nell’economia globalizzata contemporanea non avrebbe neppure i numeri per alzare la saracinesca.
Dentro due personaggi: il Gestore e l’Avventore. Il primo che agisce come il Leland Gaunt di Cose Preziose, mette le mani a colpo sicuro dove risiede l’unico oggetto del tuo desiderio. Il secondo, amico e confidente di lunghissima data del Gestore, è appollaiato su uno sgabello guardando con aria sorniona la scena. Sa come andrà a finire, che qualcosa in cambio andrà dato. Non i soldi. Non i 21 euro. I due figuri salutano e attendono. 

 E’ oggi, domenica 22 aprile, che affido ai posteri queste mie poche righe, gocciolante dopo la doccia nel mio solitario eremo, scomposto su una sedia. La disperazione che monta e capisco finalmente, io stolto viandante in terre straniere, cosa attendono i due figuri nel negozio. 

Un lungo lamento di frustrazione, due latrati blasfemi in lingue morte.
La spina del Rowenta Elite da 21 euro è di forma ultraterrena. I due contatti in metallo si contorcono l’un l’altro in una forma empia che ricorda un capro.

Solo all’inferno esistono prese così.
Il negozio non c'è più.

 Ieri però è andata bene.

 VETERAN di Ryoo Seung Wan.

Una risata vi seppellirà.
Veteran è un film del 2015, proposto fuori dal concorso ufficiale. Interpretato dalla star del cinema coreano HWANG JUNG MIN, ( nel selfie con il sottoscritto) attore feticcio del cinema popolare coreano, il film è una action comedy di genere poliziesco dal ritmo vertiginoso e dotato di una vena umoristica davvero irresistibile.
Gli ingredienti del cinema coreano contemporaneo ci sono tutti: la violenza e l’ingiustizia delle classi sociali; la presa di distanza dai valori dei più giovani e rampanti arricchiti nei confronti della generazione precedente; la famiglia come cellula fondamentale della società ma costantemente messa in condizione di pericolo dalle ingerenze senza scrupoli delle nuove classi sociali dominanti; poliziotti corrotti e onesti; la città come protagonista insovvertibile delle storie, espressione urbana di un pensiero politico e sociale complesso, con i suoi centri scintillanti e alla moda contrapposti al dedalo fatiscente delle periferie.
Questo tipo di film che la Corea del Sud sforna con grande puntualità, rappresenta il cinema popolare, il disimpegno costruito con grande perizia e se storie e meccanismi un po’ si assomigliano, quello che rende unici questi film è la presenza delle facce giuste nel posto giusto. Regola fondamentale del cinema di genere. Veteran è un film compatto, veloce ma non frenetico, dove ai momenti action si alternano pause, un po’ per tirare il fiato e un po’ per approfondire personaggi ognuno dei quali ha una funzione ben precisa nell’incastro della storia, il cui peso delle conseguenze del loro agire deve essere ben giustificato.
Veteran soprattutto è una grande commedia, con gag al limite del surreale alle quali è impossibile resistere, una sorta di realismo nonsense attraversa tutto il film senza deflagrare mai nella farsa, piuttosto facendosi metafora di un mondo talmente frenetico e assurdo da sconfinare nel comico. Ogni film di genere è specchio dei tempi che rappresenta, Veteran, al di là della sua natura action, è testimone del suo tempo, delle brutture, dell’ingiustizia. E ne ride senza deridere. Importante.

 

scena

Veteran (2015): scena

 

OUR TIME WILL COME di Ann Hui.

 Splendido affresco di un’epoca. Il cinema di Ann Hui riesce a far convivere il cinema bellico, storico e melò in un equilibrio miracoloso. Il 1941 Hong Kong è sotto la dominazione giapponese. Il terrore per le rappresaglie e le violenze insensate verso la popolazione più debole scandisce le giornate degli occupati, rifugiati in case fatiscenti. Gli intellettuali vengono perseguitati e la resistenza si adopera per farli fuggire. I portatori della cultura e i custodi del pensiero sono i nemici più pericolosi per i regimi oppressivi.

In questo contesto, la timida Lan incontra il ribelle Blackie Lau e inizia ad aiutarlo nella sua attività sovvertiva.
La ribellione deve prima avvenire dentro ogni persona, prima di poter essere espressa in atti concreti. Fondamentale in Our time will come  è la presa di consapevolezza quasi involontaria di Lan e la trasformazione da piccola amante delle poesie ad attivista impegnata sul campo della ribellione attiva. Un racconto intimista di una rivolta che non disdegna momenti action e che ha nella spiccata condizione romantica della protagonista i suoi punti di forza. Il romanticismo espresso nel cinema classico di Ann Hui non è mai rivolto ad un tempo passato, prima dell’occupazione, piuttosto è una sorta di melancolia futura, (il titolo stesso è profetico e dichiarativo delle speranze dei protagonisti) dove i personaggi sono consci di operare nel pericolo con la convinzione di una vita migliore, libera, una volta terminata l’occupazione. Il presente è quasi una condizione esistenziale ectoplasmatica, un trapasso sognante scandito da violenza e rappresaglie, un incubo notturno che cuce due giorni splendenti. Un ottimo film.

 

scena

Our Time Will Come (2017): scena

 

MIDNIGHT RUNNERS di Jason Kim

 Tutto in una notte. O quasi.

 Secondo film coreano della giornata, secondo action comedy di stampo poliziesco che si innesta nel solco di quanto detto per Veteran. Due giovani reclute dell’accademia di polizia in libera uscita si imbattono in un rapimento di una ragazza e ne seguono le tracce per tutta la notte scoprendo una realtà di violenza e disprezzo dei valori umani impensabile.

Anche in questo caso a funzionare sono le gag e le facce dei protagonisti, il loro sguardo stupito su un mondo alieno, la consapevolezza di una fallace interpretazione della legge e dei suoi tempi che non permette, al di là della teoria che viene insegnata a scuola, alcuna applicazione nella realtà.
La società coreana così come quella giapponese, impostata su rigide procedure burocratiche e protocolli assurdi è ciò che il film prende di mira utilizzando l’arma della commedia a carattere poliziesco. L’iniziativa personale non è incentivata in nome di una compattezza formale che tende a uniformare e collettivizzare i problemi in uno schema risolutivo generale e indipendente da chi lo mette in pratica. La ribellione delle due reclute si concretizza proprio nella disobbedienza a questa regola, esponendo i valori individuali come i soli che possono fare la differenza in un mondo così rigidamente compresso in regole e compromessi.
Questo il tema, l’asse su cui il film è costruito è come sempre specchio di un sistema sociale, etico, morale che nonostante sia sotto gli occhi di tutti è impossibile percepire con lucidità. Il cinema nella sua parziale rappresentazione del reale, è uno strumento formidabile per esporre queste crepe. La forma del cinema di genere, con le sue regole e i suoi tempi è l’elevazione a potenza di queste istanze.
Midnight runners è un buon film di genere, popolare, perfettamente inserito nel suo filone di appartenenza e come sempre alterna umorismo – in questo caso scaturito dall’inadeguatezza all’impresa che compiono le due reclute – a dramma e violenza. E’ un classico film coreano di genere, tecnicamente ineccepibile, divertente e mai banale.

 

scena

Midnight Runners (2017): scena

 

 

SIDE JOB - il secondo lavoro. Di Hiroki Ryuchi

 Il miglior film della giornata – e credo uno dei migliori dell’intera rassegna – è Side Job. Un potentissimo affresco della tragedia di Fukushima le cui conseguenze albergano ancora nel cuore della gente. 

Hiroki regista fonde il documento del reale nell’intima percezione dei suoi protagonisti, superstiti ma non salvi dall’ecatombe dello tsunami e dell’incubo atomico che come una maledizione colpi il Giappone nel 2011.

Macerie umane portatrici di una testimonianza impossibile da descrivere se non nelle derive dei naufraghi bloccati in un’isola di stordimento emotivo che alterna la consapevolezza della vita al disprezzo di sé per essere sopravvissuti. Il senso di colpa per aver accettato la corte del destino che ha protetto pochi per portarsi via molti, è il motore di una non vita orientata all’autopunizione, all’espiazione di una colpa impossibile da espiare, all’annullamento di sé come in un continuo esercizio di morte emotiva che non riesce a staccarsi dal mondo prima della devastazione e non accetta il presente. Lo stunami e la devastazione di Fukushima sono entrati nell'immaginario collettivo contaminandolo irreparabilmente come le radiazioni atomiche contaminano la carne. Lasciano strascichi, figli deformi nella carne e nello spirito.  

scena

Side Job. (2017): scena


Non c’è futuro nel film di Hiroki, lo sguardo è sempre posteriore, fino all’ultimo istante nel quale Miyuki impiegata che nei fine settimana si prostituisce e suo padre ex contadino bloccato in un loop autodistruttivo, non vedono uno spiraglio per sfuggire alla loro condizione. 
Il messaggio è di speranza ma le macerie umane si impastano alle macerie del sito, delle case abbandonate, dei cari ghermiti dalla furia del mare e inghiottiti in un inferno che si manifesta negli occhi dei superstiti.
Hiroki chiude il film con immagini della devastazione, distruzione rimasta tale a causa delle radiazioni che ancora e chissà per quanto tempo rimarranno custodi di un luogo fantasma. Chi non l’avesse fatto, per capire quale devastazione emotiva può aver colpito il Giappone cerchi su Youtube le immagini del caos con le chiavi di ricerca “tsunami giappone” “tsunami Sendai” “Fukishima”. Questo film, già di per sé splendido nella sua umana rappresentazione del dolore acquista ancora più importanza con la visione del cataclisma. Imperdibile.

 

Qui sotto, il Roto che ha acconsentito al selfie richiesto da Hwang Jung min. Solo perchè è lui, eh? 

 

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