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Spaghetti and Splatter, a presentation by Gavin Baddeley
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Gavin Baddeley è vestito come un hell’s angel, ha uno stomaco da appassionato bevitore di birra e i capelli lunghi raccolti in una coda che gli scende sul giubbotto di pelle nera. Avrà una cinquantina d’anni ed è Reverend in the Church of Satan (secondo fonti attendibili). Attacca a parlare a ruota libera, senza farsi troppi problemi, domandandosi se sia possibile rintracciare nella storia del nostro Paese quelle che sono le radici profonde del cinema giallo e horror degli anni settanta. Mi ritrovo davanti a qualcuno che snocciola le sue idee molto semplicemente e con un linguaggio colorato e diretto, te lo immagineresti di più a fare a botte in un vicolo poco illuminato fuori da un pub o a celebrare antichi rituali satanici che a parlare di cinema, ma qui le persone hanno molte sfaccettature così come i suoi discorsi che fissano punti in uno spazio mentale non intrappolato dai nostri pregiudizi (soprattutto politici e religiosi) e che, una volta collegati, hanno una loro intrinseca logicità, la visione è certo trasversale e per questo interessante e aperta, elaborata da sinapsi ancora brillantemente attive.

E’ un gioco di specchi qui dentro, chi parla mi rimanda cose che conosco da anni da altri punti di vista, io vedo lui con occhi provenienti dal mondo a cui si riferisce. Parte da lontano Gavin, da Roma e dall’Impero, la mia città da cui manco da parecchi mesi dovrebbe essere ancora lì, eterna e immutabile, nella sua illusoria gloria del passato, ci si ricollega a lei anche per la genesi dei film horror, al sangue che ha attraversato la sua storia, Romolo e Remo allattati da una lupa, la violenza degli spettacoli circensi e poi l’arrivo di quel chap coi capelli lunghi che è finito su una croce, il dolore, le punizioni, i martiri, il cannibalismo eucaristico, tutta l’iconografia sacra che secondo Gavin, decontestualizzata dal suo presunto insegnamento morale, non è altro che un enorme cinema splatter ante litteram, la carne, le spine, le torture. Ci mette dentro anche gli etruschi e il loro culto della morte, la necrofilia che riscrive la vita in un linguaggio dimenticato, arriviamo non so più per quale strada, ma comunque ci arriviamo, a Caravaggio, al realismo di puttane e madonne, ragazzi di strada e santi, la passione sanguigna di alcune sue opere, il chiaroscuro che attraversando le sconosciute connessioni mentali di Gavin si riversa nell’espressionismo tedesco, altro archetipo filmico di orrore e paura, poi sono gli anni settanta e il piombo per le strade e il clima di tensione e i morti e le stragi, sono dunque tutte queste serie di atrocità, ribadisce Gavin, a scavare nel subconscio dei registi di genere nostrani, che così finiscono per riportare su uno schermo il malessere sociale, non in maniera diretta e politica (nel significato della critica militante di allora) ma in scene di corpi straziati direttamente strappati dai dipinti di una chiesa qualunque, poco importa il loro valore estetico o artistico in senso lato, sono espressione di qualcosa che doveva trovare un modo per manifestarsi, il cuore stesso della nostra nazione, che nella seconda metà dei seventies, è stato avvolto in sudari di silenzi e falsità, mistificazioni e intrighi, ipocrisie, politiche malate, delitti, bombe, brigate e criminalità organizzate e l’ultimo tassello che sembra concludere il suo alterato eppure condivisibile quadro mentale è la figura di Pasolini, uomo contraddizione per eccellenza e del suo Salò che tutto questo racchiudeva nell’oscuro, potente e sconvolgente sadismo delle sue immagini. Sappiamo bene che l’horror (e questa è la grande lezione di Romero) può essere cinema politico per eccellenza, ma nella deriva italica, forse, questa possibilità non era ben chiara a tutti, in maniera cosciente e razionale.

Gavin sembra aver toccato così tanti punti, dolenti o meno, da correre il rischio di perdercisi nel mezzo e invece ne esce fuori alla grande, mentre il suo viso inizia a cambiare in maniera bizzarra fisionomia e i colori intorno si fanno più intensi, forse a causa delle luci che lo illuminano o degli strani funghi che crescono da queste parti.

Decido di offrirgli una birra in serata.

E magari più di una.

 

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