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Per un rilancio di Fuori Orario
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Immediatamente mi sono detto che era una sporca faccenda! Tentare di aprire un dibattito sul programma simbolo della nostra recente storia cine-televisiva, assurto al rango di mito intoccabile per almeno tre generazioni di appassionati della settima arte, rappresentava senz’altro un azzardo in termini, facilmente equivocabile con la sterile provocazione polemica, con lo sputare nel piatto dove si è avidamente (ed egregiamente) mangiato per lungo tempo.

Utile quindi ribadire, senza indugi, l’imprescindibile importanza e il valore storico/culturale della creatura di Enrico Ghezzi: nel campo della divulgazione cinematografica Fuori orario è stato ed è tuttora un Baluardo sia Istituzionale che Avanguardista.       Tre termini autorevoli che insieme sottendono un ossimoro ma al contempo risultano sinteticamente esplicative (adottiamo per un momento l'esercizio di unirne sincreticamente le rispettive definizioni lessicografiche e il gioco sarà fatto):

  • Baluardo: difesa, riparo, protezione 
  • Istituzionale (figurato): che persegue un particolare scopo in maniera sistematica e seguendo determinate regole; divenuto nel tempo particolarmente rappresentativo di una disciplina o una scienza, e accettato per tradizione o consuetudine.
  • Avanguardista: si distingue per le proprie posizioni o proposte fortemente innovative che mirano programmaticamente alla ricerca e alla sperimentazione di nuove forme espressive, in polemica con la tradizione e il gusto corrente.

Enrico Ghezzi

Des provinces lointaines (2015): Enrico Ghezzi

Premesso e chiarito tutto il bene possibile, riaffermato l’AVERCENE di prammatica, è proprio per grande amore e un pizzico di nostalgia che mi accingo a varcare il Rubicone manifestando il crescente disappunto provato in questi ultimi anni (e mi consola sapere di non essere l’unico). Ebbene sì, ritengo che Fuori orario stia segnando il passo rispetto ai fasti quasi trentennali cui ci aveva abituati. Chi non ha forse avvertito, In concomitanza con un deciso impoverimento dell’offerta in palinsesto, anche un sostanziale cambiamento di rotta rispetto al solco tracciato originariamente dal suo fondatore?
Provo a riassumere a grandi linee le mie impressioni:

1) Ho notato la progressiva focalizzazione per opere di carattere sperimentale o (under)underground; dai canonici Straub/Huillet, e Warhol, passando per Dana Ranga, Adachi Masao, Bressane, siamo arrivati alle massicce dosi di Rousseau, Tonino De Bernardi, Brocani, Gioli. Tale sbilanciamento verso la componente avanguardista del programma ha finito per togliere notevole spazio a quella per così dire istituzionale delle origini. Il “classicismo autoriale” (virgolettato d’obbligo) degli Ozu, Murnau, Renoir, Hawks, Lang, Paradzanov ecc., un tempo da loro adeguatamente coperto soffre oggi, paradossalmente, di un’accentuata invisibilità se è vero che tv pubbliche, private e piattaforme a pagamento fanno a gara per trascurarlo a priori.

2) In maniera altrettanto marcata ho avvertito la crescente attenzione verso il cinema nazional-popolare (Cottafavi, Matarazzo, Genina) o all’opposto di chiara impronta ideologica (Adachi, Straub/Huillet, il Wellmann new dealista anni “30), con un dichiarato intento di rivalutazione (oserei direi “forzata”) che al contrario mi ha dato la netta sensazione di un raschiare il barile dell’archeologizzazione cinematografica, ovvero cercare di assegnare valore ad ogni costo a qualsiasi cosa prodotta purché si sia i primi a farlo, con lo scopo di far emergere il proprio nome (però Turigliatto, Baglivi, Fumarola non mi sembra abbiano la statura e il bagaglio intellettuale di Ghezzi). Semplice ricordare come in passato tali operazioni fossero state ben più ispirate, lungimiranti e dense di risultati, in alcuni casi straordinari, vedasi la nobilitazione di Ciprì e Maresco, Kitano, Sokurov, Ruiz, Wakamatsu, Kim Ki-Duk, Tarr per non parlare di un’infinità di piccoli gioielli anch’essi estratti dall’oblio quali L’ora di New York di Minnelli, La sanguinaria di Lewis, Cuore di vetro di Herzog, Giorni e notti nella foresta di Satyajit Ray.

3) Il punto più dolente dei (presunti) mali del programma: l’esasperante riproposizione dei medesimi titoli in un lasso temporale troppo ristretto, con successiva reiterazione quasi ad infinitum. Altro che mai viste! Da anni circolano sempre gli stessi lavori, persino di maestri riconosciuti come Godard, Fassbinder, Antonioni, Wiseman, figuriamoci quando il fenomeno va a impattare sui vari Andreassi, Bressane, Tonino De Bernardi, Rousseau!
Fuori orario è seguito da un target esclusivo di cultori di cinema: registra, visiona e archivia. Se 2/3 repliche diluite in un paio d'anni “posson bastare”, 5/6 o più si palesano esagerate e soprattutto credo finiscano per allontanare il già esile pubblico. A che pro inseguire le fallimentari strategie di messa in onda simil-Sky? La mia esperienza con il pacchetto di Murdoch ha visto i primi 2/3 mesi di visioni a tutta manetta, quindi un drammatico esaurimento delle scelte (causa appunto rotazione perpetua) che ha lasciato sul campo solo prime visioni di dozzinale fattura (il notorio cinema medio odierno). Il gioco non valeva più la candela...ho disdetto. Sia come sia anche su Fuori orario il mio tasso di interesse (e registrazioni) ha finito per ridursi sensibilmente (in tre mesi solo Tropical malady e Un incendio visto da lontano) non per disamore ma per effettiva mancanza di nuova offerta (o almeno di repliche datate 5 o più anni fa). Poi, lo ripeto, si è finito per limitare drasticamente minutaggio prezioso a un campionario sterminato di autori sicuramente di pari se non superiore importanza (per un elenco sommario vedere più sotto).

4) Positivo invece l’obiettivo puntato sui documentari (Wiseman, Herzog ed altri). Sebbene non rientri fra i miei principali centri di interesse, nulla da eccepire.

Ora in molti saranno in disaccordo trovando stimolante il programma così com’è, tuttavia credo non si possa negare l’evidenza del mutamento “ontologico” della linea editoriale rispetto agli standard ghezziani, tanto da stuzzicare l’apertura di un’ulteriore serie di questioni:

  1. Ghezzi ha abdicato (in favore di Turigliatto?), oppure è ancora saldamente al timone o piuttosto si limita al semplice avvallo finale?
  2. L’argomento “diritti di trasmissione” è il punto nodale di tutti i malanni sopradescritti? Sono loro la causa principale della “monocorde” e “ripetitiva” programmazione?                                                             Si fatica però a crederlo considerando il patrimonio archivistico della Rai, il numero di film anteriori agli anni “40 ormai divenuti di pubblico dominio (non basterebbe sottotitolarli?), l’inesistente concorrenza delle reti pubbliche e private dedicate (Sky Cinema, Iris, Premium, Raimovie, Rai4 ecc.) su queste categorie di film e cineasti.
  3. Sussiste un problema di fondi per l’eventuale sottotitolazione di film mai distribuiti in Italia?
  4. Nel perenne ambaradan politico dei vertici Rai, lo “stato di abbandono” di Fuori orario è sinonimo dei suoi giorni contati per come lo abbiamo conosciuto ai tempi d’oro?

Terminate domande e rilievi passerei in terza battuta ai suggerimenti per quello che, a mio modesto avviso, potrebbe rappresentare un mini-rilancio del programma: si tratterebbe in sostanza di riaffidarsi all'impostazione originaria che tanto ha contribuito al suo successo (di nicchia) e a farne un'istituzione, alla formula primigenia delle “cose viste di rado” pescate dal bacino delle piccole e grandi opere di Cinema (fiction e documentarii), con ampia diversificazione e rotazione lunga. In definitiva un servizio (pubblico) che torni a privilegiare l’idea del recupero storico-artistico di film provenienti da ogni parte del mondo e di difficile reperibilità (non esclusivamente si intende, chiederei solo un maggiore bilanciamento rispetto allo status quo). Bressane, Matarazzo, Rousseau potrebbero concedere un po’ di territorio ad autori che non mi pare demeritino affatto: 


Rilancio: a questo dream team di “eccellenti invisibili” (almeno qui in Italia) si potrebbe integrare un’altra infornata stellare con: 


Capitolo cinema muto: perché non riprendere una cadenza regolare di programmazioni magari in collaborazione con il Cinema ritrovato della Cineteca di Bologna?

Capitolo cinema orientale: idem come sopra appoggiandosi al Far East Festival di Udine?

Vi sembrerebbe davvero un Fuori orario peggiore dell’attuale? Troppo “accademico” (termine piuttosto comico osservando il tenore poetico dei registi suggeriti)?


Attendo commenti pro e contro, risposte ed eventuali idee alternative per un rilancio del nostro mitico programma di riferimento. Chissà non si riesca ad instillare uno spunto risolutivo.

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