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Far East Film Festival 19 – Premiazione e titoli di coda
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Con la premiazione avvenuta nella tarda serata di ieri, è andata in archivio la diciannovesima edizione del Far East Film Festival. L’audience award 2017 è stato assegnato al giapponese Close-knit (media voto: 4,52/5) diretto da Ogigami Naoko, dramedy transgender incentrato sul significato della parola famiglia e sul potere degli affetti. Sul secondo gradino più alto del podio, è salito il sudcoreano Split (media voto 4,43/5) di Choi Kook-Hee, un action drama tra autismo e bowling, incentrato sulle possibilità di riscatto. Infine, la simbolica medaglia di bronzo è andata al sudcoreano Canola (media voto: 4,42/5) di Chang, ritratto indelebile del rapporto tra una nonna e la nipote, segnato da abbandoni e ricongiungimenti, epifanie e lacrime, un approfondimento stesso su quali legami costituiscano una famiglia, delineato con una rara e poetica sensibilità.

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Close-Knit (2017): locandina

Al di là dei premi, assegnati a tre titoli assolutamente da vedere, delle tante opere altrettanto meritevoli, almeno una quindicina meriterebbero di essere visionate, e di altre indigeste, comunque significative di una spiccata vitalità produttiva, l’esperienza nel capoluogo friulano è stata stimolante e ricca di sorprese, con un nuovo punto di vista sul mondo del cinema. Intanto, rispetto ai principali festival italiani, si tratta di qualcosa di completamente diverso. Non è il classico festival d’autore, com’è Venezia, non è nemmeno orientato al glamour, come Roma, né tanto meno va a caccia di titoli dai principali festival europei come fa con caparbietà Torino. Il Far East Film Festival si propone di presentare tutte le declinazioni del cinema asiatico, per cui è più facile incappare in visioni dalle quali è difficile cavare qualcosa di buono - per ognuna, c’è comunque sempre chi ci riesce - ma è altrettanto vero che alcune scoperte possono essere ancora meno preventivabili e folgoranti, giungendo di punto in bianco. In aggiunta - previa visione di 47 titoli dei 57 in concorso - possiamo affermare che opere della caratura di Someone to talk to, Canola e Mad world non avrebbero sfigurato all’interno delle competizioni dei più importanti festival internazionali. 

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Someone to Talk to (2016): locandina

Un altro aspetto, che rende la manifestazione singolare, risiede nel rapporto instaurato tra autori e pubblico. La maggior parte dei titoli sono proposti alla presenza del regista, e in alcuni casi degli interpreti principali, in sala, protagonisti di una veloce presentazione sul palco ad opera di Sabrina Baracetti, che si contraddistingue per una freschezza e una vivacità impagabili, dalle 9:00 di mattina fino a notte fonda sempre con la stessa energia, come se niente fosse (un giorno, le chiederemo come ci riesce). Un modo per avvicinare ancora di più il pubblico agli autori che, dal canto loro, il più delle volte sono felici di fermarsi qualche giorno in Italia, firmano autografi, scattano foto e ne approfittano per vedere altri film, manifestando una sincera partecipazione. Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che non siano star affermate, in realtà poche lo sono da noi, ma tante lo sono in Asia. Infatti, tante opere proposte sono già state un grande successo in Asia – per esempio, Extraordinary mission con i suoi 105 milioni di dollari incassati in Cina - comunque fresche come date di uscita, ad esempio il film di chiusura Shock wave di Herman Yau è stato proposto praticamente in contemporanea con l’uscita in Cina (dove sta già spopolando), qualora non siano addirittura anteprime mondiali, come nel caso di Hirugao

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Shock Wave (2017): locandina

E comunque, non sono mancati nemmeno i grandi nomi, così come le scoperte inattese, cui dedichiamo di seguito un piccolo ulteriore spazio più personalizzato per le presenze da mercoledì a seguire (vedi qui per la prima parte del festival).  

Fruit Chan: il maestro e il suo capolavoro

La presenza carismatica di Fruit Chan, oltre che gradita e venerata come la grandezza dell'autore merita, è stata anche fortemente simbolica. Rivedere restaurato il suo capolavoro Made in Hong Kong comporta non solo la gioia negli occhi per l’esperienza in sala, ma anche un’esplosione di considerazioni che parlando di ieri rimangono tremendamente comunicative sull’oggi, con i suoi angeli perduti che non dimenticheremo mai. Per una qualsiasi opera, non c’è niente di meglio che continuare a essere attuale, rileggibile tra le pieghe di un mondo che continua a cambiare pelle dimenticandosi sempre più pezzi per strada.

 

 

Liu Yulin: la regista rivelazione di Someone to talk to

Il cinema è ricolmo di drammi tra mariti e mogli ma in pochi riescono ad aggiungere ulteriori note, fornendo un quadro delineato, profondo e aperto. Ci riesce Liu Yulin, autentica rivelazione del Feff 19, con Someone to talk to, un compendio gestito con estremo equilibrio ma anche caratterizzato da conflitti accesi, con il baratro sempre lì a un passo e piccole variazioni del fato che possono determinare le soluzioni. Se oggi sembra tutto tremendamente complicato, non dobbiamo mai dimenticare quanto sia importante comunicare, affrontare i problemi prima che diventino insormontabili fortezze del silenzio.  

 

 

Eric Tsang: Gelso d’oro e una carriera inarrestabile

Eric Tsang non si ferma mai, come dimostra la sua presenza al Feff 19 con ben due titoli, ma per Udine ha trovato uno scampolo di tempo. Nel ritirare il premio alla carriera, non ha fatto fatica a incendiare il numeroso pubblico accorso, da perfetto gestore della sua immagine e abile comunicatore, dall’alto di una presenza forte sul palco ma anche sullo schermo. La sua parte in Mad world non passa di certo inosservata pur rimanendo asciutta, in un film che affronta i disagi del quotidiano vivere raggirando la retorica, con il massimo controllo su un materiale tumultuoso, arrivando a toccare i punti più reconditi dell’animo umano senza bisogno di aggiungere fastidiose sottolineature.

 

 

Giddens Ko e l’horror (che non ti aspetti) più bello del festival (e non solo)

Per chi è presenza fissa al Feff, il nome di Giddens Ko era già una garanzia, grazie a You are the apple of my eye, transitato nell’edizione numero dodici del festival. Se possibile, Mon mon mon monsters è ancora più sorprendente, grazie ai suoi famelici mostri che soffrono di cristallino dolore, come il più umano degli umani, e dei ragazzini che hanno lasciato ogni forma di morale e remora nel cassetto, con un ago della bilancia che pende sempre dalla parte migliore. Da un bullismo insopportabile e violenze che assumono le forme della tortura, lo splatter arriva al gore più estremo, le anime immacolate si salvano, mentre per tutte le altre non c’è altro che la mattanza. Necessaria e liberatoria, con applausi scroscianti, da tifo da stadio. Imperdibile.

 

 

La doppia anima di Herman Yau

Prima del Far East, di Herman Yau avevo visto solo The legend is born: Ip man e Ip man: The final fight, due titoli accessibili ma scarsamente lungimiranti. È quindi una doppia sorpresa ritrovarlo alle prese con due opere diversissime tra loro ed entrambe apprezzabili. Con il progetto a basso budget The sleep curse s’inabissa nelle ossessioni per arrivare a un’esplosione gore, non prima di assicurarsi una base narrativa tale da fornire un senso compiuto. Con Shock wave approda in una produzione dagli alti valori tecnici, un action movie di grande richiamo popolare – come ricordano dal palco, ha appena esordito con il botto sul mercato cinese – dal ritmo sostenuto, con un buon numero di variazioni sul tema, una corroborante tensione, tanti rilanci e nessuna proliferazione di buonismo (già, muoiono anche tanti buoni). Il primo con protagonista Anthony Wong, il secondo con il grande Andy Lau. Lunga vita a questo(i) Herman Yau.

 

 

Focus Asia 2017

Per chiudere il resoconto su questa edizione del festival, è necessario menzionare la nota di merito maggiore, riscontrabile nell’iniziativa Focus Asia, perché per continuare ad avere la possibilità di vedere opere del genere occorrono pur sempre le materie prime: le idee degli autori e i finanziatori che le permettano di prendere vita sullo schermo. Dopo la sperimentazione industry della passata edizione del Feff, il tavolo di confronto dei buyer asiatici ed europei è passato alla fase successiva, diventando uno spazio operativo per pensare al futuro. I tredici progetti selezionati sono stati oggetto di 250 incontri tra possibili finanziatori, sale agent provenienti da mezzo mondo e i vari soggetti interessati, permettendo a due titoli di trovare un partner per vedere la luce della sala. L’Aurora media di Singapore ha deciso di sostenere Abracadabra, una black comedy indonesiana di Faozan Rizal, e il dramma soprannaturale The long walk di Mattie Do. Insomma, le buone notizie non si fermano a quanto di buono visto nei nove giorni del Feff ma sono già orientate al futuro, perché come tanti film hanno insegnato in questa edizione, se il passato torna spesso a bussare alla nostra porta, non si può mai rinunciare a guardare al futuro, credendo che quest’ultimo possa essere migliore del presente. Un augurio che estendiamo di cuore al festival stesso, cui speriamo di partecipare anche l’anno prossimo, sicuri rimanga fedele a se stesso continuando la sua costante crescita, nei valori e nella partecipazione.

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