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La città senza notte di Alessandra Pescetta - Intervista esclusiva alla regista
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La città senza notte (2015): scena

A seguito del terremoto e maremotu del Tohoku, in Giappone, dell'11 marzo 2011, quattro distinti incidenti si verificano presso la centrale nucleare di Fukushima Dai-chi. Le conseguenze ambientali sono gravissime così come le ripercussioni sui giapponesi e sulla loro psiche. Il disastro diviene per Mariko, bella modella giapponese, un incubo insopportabile. Profondamente depressa, non riesce più a dormire. Sollecitata dalla richiesta insistente di Salvatore, il suo ex fidanzato italiano, Mariko raggiunge la Sicilia, Catania. La nuova convivenza diviene da subito il terreno di una reciproca incapacità comunicativa. Salvatore crede di poterla facilmente immettere nel suo ambiente, mentre lei si dispone in una difesa passiva in cui, oltre al sonno, inizia a rifiutare il cibo. Fino a quando i due si accorgono che Mariko riesce finalmente a dormire solo in auto, cullata nella notte dalle luci di una città sconosciuta. Il giorno diventa allora per Mariko una frontiera che la rinvigorisce, nella quale la sua creatività di fotografa può rileggere diversamente i simboli e i significati della sua vita. Salvatore diventa il suo autista notturno che, gradualmente privato del sonno, sacrifica il proprio riposo per la vitalità della compagna. Per loro ha così inizio un nuovo viaggio alla ricerca di un luogo vero o immaginario dove ritrovarsi, amarsi e capirsi.

Questa a grandi linee è la storia di La città senza notte, opera prima della videoartista Alessandra Pescetta, che da un anno sta girando per i festival di tutto il mondo ricevendo premi e consensi. Dopo la straordinaria vittoria come miglior film della sessione invernale del Sydney Film Festival, La città senza notte è presentato in questi giorni anche all'OtherMovie - Lugano Film Festival, dove la regista porterà anche il corto Ahlem, altro progetto dall'invidiabile palmares. Reduce dal successo di critica riscontrato al Teatro Biondo di Palermo con Horcynus Orca di Claudio Collovà per cui ha curato dei video che "portano in un immaginario sospeso e rarefatto di corpi galleggianti in questo liquido di alghe e fogli sparsi di preghiere, libri e fotografie sgualcite e graffiate a dondolare in questo mare nel quale non è per niente dolce naufragare" (Tommaso Chimenti, Il Fatto Quotidiano, 22/05/2016), Alessandra si stava preparando alla partenza quando l'abbiamo raggiunta per un'intervista esclusiva, in cui parla con passione e trasporto del suo lavoro, da sempre in bilico tra arte e cinema.

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Alessandra Pescetta

 

La città senza notte è girato a Catania. Vivi in Sicilia?

Io vivo tra Milano e Catania. Alle pendici dell’Etna io e il mio compagno Giovanni Calcagno, con il quale coordino le attività de La casa dei santi, abbiamo uno spazio dove  poter sviluppare i nostri progetti.

La città senza notte è stato girato principalmente a Catania.

Ho scelto come ambientazione la Sicilia perché gli stati d’animo dei personaggi mi sembrava che lì potessero accordarsi ai paesaggi, ora aridi e argillosi come le meravigliose montagne desertiche dei  “Calanchi” , ora cupi e mostruosi come la zona delle raffinerie di Priolo, ora vivi e intensi come il mercato del pesce di Catania. Le sequenze in cui Mariko, la donna giapponese protagonista del film, viene investita dalle onde d’acqua dello Tsunami, sono state girate a Milano in studio perché la casa di produzione 360fx ci ha dato la possibilità di girare con la Phantom, una speciale macchina da presa che gira ad un rallenty molto alto (2.500 fotogrammi al secondo). 

Anche l'appartamento ultramoderno del protagonista maschile è a Catania?

Si, anche quello è catanese. Si tratta, in realtà, di uno spazio fieristico di proprietà della Provincia regionale di Catania, chiamato le Ciminiere. Lo scenografo Mario Nicolosi lo ha  completamente arredato e trasformato in un modernissimo open space. Una scelta dettata anche dalla storia: Salvatore vuole far trovare a Mariko un ambiente alla moda, che possa essere apprezzato da una modella. Il direttore della fotografia Massimo Foletti con la luce ha creato un ambiente intimo, con ombre e luci che ridipingono le stanze, i mobili, i colori pastello del film. 

La città senza notte è un film un po' apolide. Nonostante la città sia protagonista del racconto, il film è come se fosse girato in un "non luogo". Nessun riferimento, ad esclusione forse del mercato del pesce, fa pensare che si tratti di Catania: è come se tutto fosse sospeso in un dove ipotetico.

Mi interessava mettere in evidenza come una città si trasformi in base a come la si percepisce. Mariko sta quasi sempre in casa da sola ad aspettare il compagno: dalle grandi finestre dell'appartamento, con il cambio di luce, con i suoni che provengono dall’esterno, a seconda del suo umore tutto assume un altro significato ed è modellato dalle sue fantasie. I vetri di casa la proteggono ma al tempo stesso la separano dal resto del mondo, mettendola a nudo però di fronte a tutti. La scelta di non connotare la città è consapevole.

Uno dei pochi momenti in cui la bolla viene rotta è quando si reca al mercato del pesce, già citato prima. E' una delle poche scene, a parte quelle relative al suo lavoro, in cui Mariko si relaziona con qualcuno che non sia Salvatore.

Il mercato è infatti quando Salvatore decide che è arrivato il momento per Mariko di affrontare le persone e la città. Ma questo contatto così improvviso per lei è prematuro e non farà altro che accrescere le sue ossessioni e l’incomunicabilità con Salvatore. Solo nella sequenza finale, quando si dirigono verso le aride montagne dei "calanchi", i due trovano finalmente una dimensione in cui poter vivere insieme, che non è quella della quotidianità o della vita concreta. Dal momento che riescono a comunicare solo in una dimensione altra, quella dei sogni, scelgono utopicamente di vivere lontano da tutto. Non è un caso, che al festival OtherMovie di Lugano, il film venga presentato nella sezione "Trapasso dell'anima". 

La città senza notte è un film indipendente. Ciò avrà comportato pregi e difetti.

Un film indipendente è un film sempre pieno di imprevisti. Ti può capitare di arrivare in un posto in cui non sono stati confermati i permessi per girare e quindi devi conciliare le esigenze creative alle possibilità logistico - produttive. Qualche volta può essere magico, qualche volta no.

 

Da dove viene l'ispirazione per La città senza notte?

Si ispira a un breve racconto della scrittrice Francesca Scotti, con cui ho lavorato anche per altri progetti, come il cortometraggio Ahlem. La storia, molto concentrata, narrava di una giovane donna che non riesce a dormire e del suo compagno che si accorge di riuscire a farle prendere sonno, portandola in giro in macchina di notte. Francesca ha scritto altri libri e vive tra l'Italia e il Giappone. Spesso nei suoi scritti ha toccato argomenti che vengono fuori nel film : l'incomunicabilità di coppia, il senso di frustrazione dell’artista, le paure che creano ossessioni. Nello stesso periodo in cui leggevo il suo racconto, mi avevano contattato i Berserk (i musicisti Lorenzo Esposito Fornasari e  Lorenzo Feliciati) che mi chiedevano di realizzare un cortometraggio per promuovere il loro album. Ascoltando i pezzi, è maturata l'idea di sviluppare il corto e di trasformarlo in un film. Così è nato La città senza notte

A livello produttivo, da dove sono arrivati i fondi?

Principalmente dalla casa discografica dei Berserk, la Rarenoise di Giacomo Bruzzo, una etichetta indipendente inglese. E poi dalla mia casa di produzione, La casa dei santi. Fondamentale è stata la collaborazione della Film Commission di Catania, soprattutto per le locations. La post produzione audio è stata realizzata dalla Top Digital e poi altri produttori associati ci hanno sostenuto dopo che il progetto era già partito, la Wayne film, la Postoffice Reloaded, la Brw e naturalmente una troupe di persone speciali che hanno preso a cuore il progetto. Non abbiamo bussato alle porte di nessun grande produttore: non avevamo voglia di aspettare. Volevo realizzare subito il film e così è stato.

Ma la cosa interessante di lavorare così indipendentemente è che, a parte i limiti finanziari ho avuto la massima libertà su tutto e non ho subito pressioni esterne. 

E cosa ne sarà di La città senza notte? Ha un distributore?

La distribuzione è difficilissima. I distributori sembrano tutti dei fantasmi: mostrano interesse e poi scompaiono. Ho dalla mia però la pazienza. Ahlem, il mio corto, ha girato per vari festival per un anno e poi ha trovato distribuzione in Francia e in Giappone. Siamo in trattative con una distribuzione americana. 

Anche perché si tratta di un titolo abbastanza "medagliato", che ha portato quasi sempre a casa dei premi da ogni festival in cui è stato presentato. Basti pensare che ha vinto la sessione autunnale del Sydney Film Festival.

Sono tanti gli step nel portare avanti un film: scriverlo, girarlo, postprodurlo, mandarlo ai festival. Tutte fasi che comportano fatica, costanza e costi. Fortunatamente, uno dei produttori associati, Angelo D'Agostino della Pennylane di Vienna, si occupa di tutto ciò che concerne i festival e la distribuzione. A lui va un ulteriore ringraziamento da parte mia. 

Per La città senza notte hai lavorato per gran parte delle riprese con solo due attori in scena. Come ti sei rapportata con loro? Cosa hai chiesto? Cosa hai ricevuto in cambio?

Ho lavorato con due attori estremamente generosi. Il film è recitato in italiano da Salvatore, in giapponese da Mariko . I personaggi, tra loro parlano in inglese. Proprio per questa complessità del linguaggio verbale, ho costruito le scene in modo che a parlare fossero anche i luoghi, i colori, la luce : parti integrante della personalità  e del paesaggio interiore dei personaggi. Maya era molto sensibile a questi particolari: il cambio di colore delle lenzuola, da un giorno all’altro, le suggerivano una Mariko differente.

Giovanni ha fatto un incredibile lavoro nella costruzione del suo personaggio:  ha creato un Salvatore tenero e fragile in netto contrasto con la sua fisicità monumentale e forte. Ha lavorato sulla sottrazione, intonando una voce timida, incerta. Tutto questo per far spazio all’invisibile intorno a Mariko. Con lui ho fatto molti cortometraggi e non avevo mai visto uscire un aspetto così minimale e allo stesso tempo ricco di forza.

Giovanni è anche co-sceneggiatore del film, quindi proponeva spesso soluzioni e riadattamenti ai dialoghi.  Lo scambio tra i due attori era costante, spesso si chiedevano: come si comporterebbe una donna giapponese davanti a un uomo che ogni giorno cade negli stessi errori, come reagirebbe un uomo siciliano davanti a una donna giapponese che non mostra mai il suo vero stato d’animo? Poi dalla loro discussione nascevano le loro considerazioni e le loro proposte che vengono fuori nelle scene del film.

Da loro ho imparato che le parole scritte, una volta pronunciate, possono assumere molti significati, anche diversi da quello che si era pensato. 

Giovanni Calcagno, Maya Murofushi

La città senza notte (2015): Giovanni Calcagno, Maya Murofushi

 

A proposito di simboli, uno che ricorre spesso in La città senza notte è il pesce.

Le prime immagini del disastro di Fukushima che ho visto in televisione erano quelle di pesci morti sulla costa. Il pesce è stato contaminato dalla radioattività entrando nel cosiddetto processo dell’accumulo biologico : quando un piccolo pesce viene mangiato da un pesce più grande la  radioattività si moltiplica. Ho voluto per questo tenere il pesce come simbolo dell’impossibilità del nutrimento. Nel film, Mariko non si fida più di tutto ciò che viene dal mare,  e preferisce mangiare ad esempio un biscotto industriale acquistato in un distributore automatico... come se il prodotto, del tutto artificiale, la rassicurasse perché non viene dalla natura. Del pesce che Salvatore le prepara ogni giorno con dedizione e amore lei non assaggia quasi nulla... va riposto tutto in frigorifero e le servirà (putrefatto) per la costruzione dell'opera che lei chiama "Drago di Fukushima", un'arma con cui difendersi, un oggetto in cui sublima le sue ossessioni. 

Perché hai fatto invece di Salvatore un personaggio inerme, incapace di reagire?

Io penso che quando una persona sta molto male, chi le sta intorno in qualche modo sembra non fare niente, sembra non trovare la via giusta per essere d'aiuto. Qualsiasi cosa diventa inutile... Il Salvatore che vediamo sembra inerme perché lo vediamo dall'ottica di Mariko. Sarebbe stato troppo facile farlo reagire con l’impeto di un animale che vuole lo scontro frontale. Salvatore invece semplicemente osserva e aspetta che dentro di Mariko si plachi questa ondata di energie e di forze che la opprimono. 

Da dove nasce invece la tua passione per il cinema?

Provengo dall'Accademia di Belle Arti: ho iniziato con la videoarte. Usavo la tecnologia per creare delle immagini in movimento. Poi sono venuti i videoclip musicali che mi hanno permesso  di portare le mie opere fuori dalle gallerie d’arte. Dopo, il mondo della pubblicità. Nel 2000 ho conosciuto Calcagno, che veniva dall'universo del teatro. Questo incontro mi ha portato ai primi cortometraggi e al desiderio di addentrarmi nella logica narrativa del cinema. Oggi non mi pongo più la domanda di cosa sia cinema o cosa sia videoarte, mi porto la mia esperienza tutta intera con me e in caso di necessità mi affido alle parole di Peter Greenway : “ Se vuoi raccontare una storia è meglio che tu faccia il romanziere”.

Maya Murofushi

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