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La buona uscita: Intervista a Marco Cavalli
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Marco Cavalli

La buona uscita (2016): Marco Cavalli

Arriva nelle sale La buona uscita, opera prima di Enrico Iannaccone, già vincitore di un David di Donatello nel 2013 per il corto L’esecuzione. La buona uscita è la storia grottesca e "feroce" della giovane borghesia napoletana, ricca e strafottente, cinica e asociale: un mondo solitario e narciso che consuma cibo e piaceri senza alcuna relazione umana reale con il resto delle persone. L'unica che sembra accorgersi dell'aridità che la circonda è Lucrezia Sembiante, una professoressa di sessant'anni, che - terrorizzata dalla vecchiaia e dalla solitudine - decide di reprimere le sue pulsioni sessuali dopo l’ultimo incontro con lo storico “amico di letto” Marco Macaluso, un felice e spregiudicato imprenditore. Una scelta che la costringerà ad affrontare con maggior violenza la natura delle sue paure.

«La buona uscita, commedia amara dai toni grotteschi, intende affrontare con un linguaggio tanto delicato quanto talvolta divertito gli annosi e correlati temi della solitudine e dell'equilibrio interiore. L’impostazione teatrale della recitazione – talvolta ai limiti dello stucchevole - rende i personaggi simili a marionette attive nel teatrino delle relazioni e degli affetti, la cui moralità non può che compromettere la stabilità dei singoli e generare sentimenti di dolore e isolamento. Tramite la vicenda sentimentale che vede coinvolti i due protagonisti Marco e Lucrezia, assistiamo a un percorso di fortificazione emotiva, che nasce dal dissidio interiore di quest'ultimo personaggio», spiega Iannaccone.

Abbiamo intervistato per l’occasione l’esordiente Marco Cavalli, protagonista della pellicola insieme a Gea Martire. Marco interpreta il personaggio di Marco Macaluso che «ci appare come un ricco imprenditore dotato di una (forse) congenita disillusione nei riguardi del mondo e degli affetti, che fa di lui un uomo tanto solo quanto equilibrato e gaudente. Da miliardario e spregiudicato, egli sente di poter ottenere l'altrui presenza in qualsiasi momento tramite semplici e (probabilmente) legittimi esborsi. Lo vediamo, infatti, "riacquistare" la stima di suo fratello, dapprima sottrattagli per teatrali motivazioni moralistiche, con un imponente regalo quale una macchina di lusso; o, ancora, lo osserviamo concupire splendide donne, per poi allontanarle con lo stesso identico sorriso stampato in volto».

Marco Cavalli

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Marco Cavalli: primo lungometraggio, primo ruolo da protagonista. Raccontaci di te.

Marco Cavalli, 41 anni compiuti da poco. Ho una professione che non è quella di fare l’attore: lavoro in CGIL. Faccio l’attore da sempre per passione: ho iniziato con il recitare in teatro nei primissimi anni dell’università, dove frequentavo scienze politiche. Lavorando e studiando, non ho avuto più tempo per fare teatro ma ho continuato a coltivare sempre la passione per la recitazione. Grazie a qualche amico che passava dall’esperienza teatrale a quella cinematografica, mi sono cimentato anche in qualche cortometraggio. Ho fatto un bel po’ di corti e qualcuno di essi ha avuto anche un buon esito di circolazione nel settore festivaliero e non solo. Mi sono sempre divertito a recitare: realizzare prodotti audiovisivi di fronte a una telecamera mi costava tempo e fatica in meno rispetto al recitare su un palco in teatro. Ho fatto anche diversi reading prevalentemente a Napoli, città di cui sono originario, in cui vivo e lavoro.

Attore quindi per passione.

Si, quasi da autodidatta. Ho frequentato sì dei laboratori teatrali ma non ho mai avuto il tempo di frequentare un’accademia o dei corsi regolari di recitazione. Mi sono fatto bastare la passione che ho da sempre avuto per il cinema e l’occhio da spettatore. Sono innanzitutto un appassionato di cinema e da tale ho avuto una certa capacità di assorbimento, che mi ha permesso di approcciare in maniera molto umile la recitazione. Per fortuna, nel piccolo raggio in cui mi sono mosso fino ad adesso, ho avuto sempre buoni riscontri: ciò mi ha confortato e mi ha spinto ad andare avanti. Sono anche appassionato di fotografia e di tango. Sin da bambino poi mi è sempre piaciuta l’idea di interpretare qualcun altro, di calarmi in un personaggio… amavo ed amo il carnevale anche per questo: ancora oggi vado a Viareggio, da amici carissimi, durante il carnevale e come un bambino mi diverto a travestirmi e a truccarmi.

Quali sono state le tue esperienze teatrali? Grandi classici o testi inediti?

In teatro mi sono ritrovato a interpretare testi inediti di tutta una serie di autori napoletani, tutti più o meno miei coetanei. Sono capitato a teatro in un momento in cui c’era un bel fermento culturale e si sperimentava molto. Ero interprete di opere sperimentali originali ma anche di testi di Eric Bogosian, esponente del teatro americano molto tosto e di nicchia. Lo studio e il lavoro mi hanno poi allontanato da quella realtà, non lasciandomi molto tempo libero. Affermarmi professionalmente era il mio obiettivo e per fortuna ci sono riuscito, facendo ovviamente molta gavetta… ho lavorato come lettore dei contatori dell’acqua, come staccabiglietti allo stadio San Paolo… poi un lavoro a tempo indeterminato in un’agenzia di stampa e da lì la militanza sindacale prima di venire assunto dalla CGIL. Mi sono occupato prima dei precari e poi della formazione: sono stato direttore amministrativo fino a tre anni fa dell’Ente Formativo della CGIL in Campania.

Da appassionato spettatore di cinema quali erano le tue preferenze?

Mi sono nutrito di film, soprattutto italiani dalla fine degli anni Quaranta all’inizio degli anni Ottanta. Conosco regista per regista e attore per attore. Questo non vuol dire che non conosca anche il cinema statunitense, soprattutto quello indipendente degli anni Settanta. La commedia italiana e il neorealismo mi hanno però formato: quei registi, quegli attori, quegli sguardi, quelle espressioni… è un po’ come se li avessi assorbiti, anche se non so cosa rendo poi… non imito nessuno ma è stata un’ottima base di partenza. In casa nostra abbiamo attori che sono da esempio per tutti quanti: Nino Manfredi, Alberto Sordi o il più grande di tutti, Gian Maria Volonté.

Hai avuto la fortuna di nascere anche in una città come Napoli in cui nel bene o nel male si è tutti attori.

Non solo. In questa città si ha la fortuna di osservare scene che normalmente non si vedrebbero in città che possiamo definire medie o normali. Situazioni spesso sopra le righe, che sfiorano il surreale e che vanno oltre ogni immaginazione ma che forniscono elementi preziosi da osservare e assorbire. Il lavoro che svolgo, costantemente in contatto con il pubblico, mi permette poi di essere testimone di un’ulteriore umanità variopinta.

Lavori per la CGIL ma quasi per contrappasso in La buona uscita interpreti un imprenditore, Marco Macaluso.

È quasi paradossale. Interpreto una persona spietata e molto cinica, che pronuncia una battuta terribile proprio nei confronti della classe operaia. Parlando con il fratello che gli imputa di aver mandato in fallimento un’azienda di pellami di lusso solo per un capriccio, sugli operai risponde: “Loro sono abituati ad avere i problemi, noi no”. È terribile l’occhio che Marco ha sulla società e lui stesso è  abbastanza ignobile.

E cosa ti ha spinto dopo aver letto la sceneggiatura ad accettare il ruolo?

È un’opera prima di un ventiseienne molto talentuoso, dotato di una eccellente capacità di scrittura e ottima intuizione da più che adulto, Enrico Iannaccone. Ho recitato in tutti i corti che Enrico ha realizzato dopo L’esecuzione, con cui ha vinto il David di Donatello nel 2013 ma che ha girato nel 2011. Siamo anche diventati ottimi amici, abita a poca distanza da casa mia e mi trascina in tutte le sue avventure. Ho letto la sceneggiatura di La buona uscita e ho avuto immediatamente l’impressione di qualcosa di un po’ ruvido ma molto rispondente a un certo tipo di mondo che vediamo e che mette i brividi: la spietatezza nichilista, il vivere i piaceri più estremi in maniera diretta passando sopra tutto e tutti, il consumare il cibo e il sesso per pura passione oltre lo snobismo. Quello di Marco è un personaggio post nichilista. Dire che è strafottente è riduttivo… ma non è nemmeno epicureo: sì, si gode la vita ma non è una persona saggia. È un tipo umano che sta sempre più prendendo piede nella nostra società. È una maschera ferocissima, odiosa e divertente al tempo stesso da interpretare.

Odioso e divertente ma fondamentale per la controparte femminile di La buona uscita.

Si. Marco Macaluso è fondamentale per Lucrezia Sembiante, la professoressa interpretata da Gea Martire, un’attrice straordinaria. Lucrezia è una donna che ha vissuto sempre in maniera viva e vivace anche la sua sessualità, adottando una libertà di comportamenti più ampia possibile. Arrivata al punto in cui deve fare i conti con l’inizio della vecchiaia, Lucrezia decide di sposarsi, mettere un punto al passato e cominciare una nuova vita più “ridimensionata”, costringendosi a una visione non più di libertà assoluta ma “vigilata”, a un rapporto di coppia con un giovane molto accondiscendente. Salvo poi rendersi conto che forse è tutto più difficile di quanto immaginasse. La sua relazione con Marco, ad esempio, va incontro a un cambiamento sostanziale: amici di letto, Lucrezia rifiuta di seguire Marco quand’egli è costretto a partire per Trinidad e Tobago a causa della bancarotta della sua azienda. E si impegna a portare prove contro l’ultima malefatta di Marco, che per evitare l’arresto ha intestato l’azienda a un poveraccio che finisce in carcere. Lucrezia con la sua evoluzione è il fulcro del racconto: Marco, invece, rimane chiuso nel suo egoismo.

La Napoli del film è una Napoli mai vista sul grande schermo.

Il merito è anche del direttore della fotografia, il bravissimo Umberto Manente, un nome noto soprattutto nel mondo della pubblicità. Vediamo abbastanza Napoli sullo sfondo ma è quasi sfumata. L’immagine che si ha della città non è oleografica o da cartolina, è quasi desaturata: se non si conosce bene, potrebbe anche non essere facilmente riconosciuta. Si vede il mare di Napoli d’inverno ad esempio, un bellissimo pontile a Bagnoli quasi deserto (cosa rarissima per una città in cui c’è sempre tanta gente in giro), palazzo Donn’Anna in una giornata di freddo… chi ha gli occhi pieni della cinematografia italiana che incrocia Napoli stenterà a capire dove si è. Niente pizza, mandolino o colori eccessivamente caldi.

 

Mi sembra di capire che intorno a Marco e Lucrezia si muovano poi dei personaggi secondari di non poco rilievo.

Si. C’è ad esempio il fratello minore di Marco, che ha nei suoi confronti una sorta di rigurgito morale solo perché sta mandando a rotoli un’azienda affermata e dal grande fatturato, salvo avere anche lui la sua buona uscita di fronte a un regalo (tutti corruttibili e con un impianto morale incorruttibile…). C’è Mario, il salumiere che si presta a fare da prestanome in cambio di 100 mila euro.

Cosa ti aspetti adesso come attore?

È un po’ come una grande avventura, come camminare in un bosco. Spero di continuare a lavorare con Enrico ma anche di fare altre cose. Tra parentesi, in passato ho anche recitato in un film documentario per la Rai, Sandokan. Una storia di camorra di Sergio Spina, tratto da un romanzo di Nanni Balestrini (molto ben scritto e precedente a Gomorra di Saviano). Interpretavo la parte del giornalista che raccoglie la testimonianza del ragazzo sfuggito al degrado della zona dei Casalesi. Ho recitato anche in una docufiction all’interno del programma Amore criminale di Raitre, condotto da Barbara De Rossi, ma anche in alcuni videoclip musicali, in particolare dell’amico Fabrizio Somma, meglio noto come K-Conjog. La sua è musica elettronica quasi sinfonica e sono il protagonista di How to Cure Hangover in April, un video che richiama le atmosfere degli anni Novanta. Non ho adesso particolari progetti: vediamo cosa viene.

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