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InFernet: Intervista al regista Giuseppe Ferlito
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Leonardo Borgognoni

InFernet (2016): Leonardo Borgognoni

Esce nelle sale InFernet, il nuovo film prodotto da Michele Calì e Federica Andreoli per la regia e la sceneggiatura di Giuseppe Ferlito. Composto di cinque differenti storie che si intersecano tra di loro come accade col meccanismo della rete, InFernet riflette su un cambiamento in atto e su una realtà che ci riguarda da vicino, come spettatori o come protagonisti, ma di cui siamo spesso inconsapevoli: gli effetti e le problematiche derivanti dall’uso scorretto di internet e dei social network da parte dei fruitori più deboli, incapaci di difendersi da un mezzo straordinario che si rivela però sempre più spesso – basta sfogliare le pagine dei quotidiani tutti i giorni per rendersene conto – subdolo, mostruoso e distruttivo. Le storie raccontate parlano di personalità vulnerabili, psicologie fragili e gente in totale solitudine: un popolo che si rifugia in una sorta di realtà parallela, tutti convinti che la strada più facile sia sempre la migliore. Basta un semplice click a trasformare il web, risorsa affascinante del Terzo Millennio, in un terreno insidioso.

Considerata la portata del tema (lungi dal film essere apocalittico nei confronti di internet), abbiamo chiesto direttamente al regista e sceneggiatore Giuseppe Ferlito – da non confondere con il più giovane omonimo regista di Presto farà giorno – di raccontarci il punto di vista della sua opera. L’occasione ci ha fornito il pretesto per fare il punto anche sulla sua carriera cinematografica, composta di decine di titoli. Sebbene i database presentino spesso solo Femmina e Né terra né cielo nella sua filmografia, Ferlito è in costante attività e ha realizzato diverse opere con la scuola di cinema Immagina a Firenze, di cui è docente e direttore artistico.

Giuseppe Ferlito

InFernet (2016): Giuseppe Ferlito

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Giuseppe Ferlito, siciliano, classe 1954. Quando arrivi a Firenze?

Sono originario di Burgio, un paese della provincia di Agrigento ma a vent’anni mi sono trasferito a Firenze per studiare architettura. Ma poi mi sono iscritto alla Bottega di Gassman, seguendo il corso di drammaturgia che teneva Eduardo De Filippo: due anni da allievo, durante i quali abbiamo scritto anche delle cose insieme e una commedia pubblicata allora da Einaudi che si chiamava Simpatia. Da lì, è nata e si è sviluppata in maniera più professionale la mia passione per il cinema.

Più che agli studi in architettura avrei pensato a degli studi in sociologia, considerando la tua attenzione nei confronti della società e del ruolo dell’individuo in essa, sempre chiamato a confrontarsi con il tema dell’identità. In tutte le tue opere, da Femmina a InFernet passando per Né terra né cielo (premio del pubblico al Festival del Cinema Italiano di Ajaccio 2004), mostri particolare attenzione alla realtà che ci circonda e a come si evolve.

Femmina è stato scritto Giuseppe Patroni Griffi, ne ho curato la regia ma è chiaro che ne ho rimaneggiato un po' la sceneggiatura con Monica Guerritore. L'opera è stata trattata un po' male dalla critica ma oggi passa spesso in televisione ma si tratta di qualcosa in cui Monica ha creduto particolarmente: è stato il primo film in cui come attrice ha avuto la possibilità di recitare in maniera molto cinematografica. Le ho tolto quell'impostazione un po' teatrale che aveva. In Femmina si racconta della donna succube del potere maschile, circondato da un alone misterioso: si scopriva che il marito aveva una doppia vita mentre la protagonista era una donna in gabbia che non poteva sfuggire dall'ombra forte del marito su di lei, tanto che meditava l'omicidio. Alla fine, però, rimaneva lei stessa vittima del suo piano diabolico: il potere restava nelle mani maschili e lei finiva per essere una donna - scusate il termine obsoleto - oggetto (viene trattata come un manichino da tutti gli uomini che la circondano).

In Né terra né cielo, invece, l'individuo non sparisce ma si isola sopra una ciminiera. Tra l'altro, Né terra né cielo è il remake di un altro mio film dal titolo Compagno che sei nei cieli, sempre girato da me con la scuola di cinema Immagina a Firenze nel 1995. Giuseppe De Sanctis, grandissimo autore, dopo aver visto il film mi ha invitato a chiedere i soldi come film di interesse culturale nazionale. Seguii il suo consiglio e, poiché il film piacque molto, mi fu dato un contributo (eravamo nel 2001) di 2 miliardi per realizzare un remake in maniera più professionale. Sebbene i mezzi produttivi fossero maggiori, l'anima di Compagno che sei nei cieli è rimasta intatta: un uomo si isola sulla ciminiera e con il suo silenzio fa scattare le contraddizioni di una società che vive di ostentazioni. Giocato sugli equivoci, mostra come la gente e tutti i rappresentanti delle varie corporazioni proiettino su quell'uomo le proprie illusioni. Il protagonista non parla mai sulla ciminiera, eppure tutti gli mettono in bocca frasi che non sono sue. La sua è un'azione che finisce per essere strumentalizzata.

Né terra né cielo è un film modernissimo. Anticipa quello che succede oggi nei vari programmi televisivi di fronte a un fatto di cronaca: telecamere che accorrono per intervistare chiunque abbia voglia di parlare o di raccontare per sentito dire. In InFernet, invece, ti ritrovi a indagare sugli effetti dell'uso sbagliato di internet, il mezzo di comunicazione del Duemila. La prima cosa che mi ha colpito di InFernet, oltre il titolo in cui un semplice scambio di consonante dà un'ottica del tema trattato, è il cast eterogeneo, che coniuga attori di una certa esperienza come Remo Girone, Ricky Tognazzi, Roberto Farnesi o Daniela Poggi, con giovani esordienti o alle prime esperienze. Tre differenti generazioni di attori che si confrontano sullo stesso argomento: le piaghe di internet.

Il semplice cambio di consonante del titolo, una t che diventa f, offre già tutte le implicazioni drammatiche che l'argomento impone. InFernet racconta di cinque storie separate che offrono una panoramica delle piaghe frutto della degenerazione del mezzo: dal prete sospettato di pedofilia alle minorenni che adescano adulti per poi ricattarli e ottenere soldi facili, la rete del resto garantisce loro anonimato. Internet rappresenta una rivoluzione culturale pazzesca: ha cambiato il nostro modo di pensare, di vedere le cose, il nostro sguardo. Tutto è cambiato grazie a internet, solo gli appartenenti alla generazione più vecchia faticano a trovare un contatto con il mezzo. Tutti gli altri invece sono integrati in un meccanismo che ha socialmente, economicamente e culturalmente, cambiato positivamente la realtà. Internet ha portato molto di positivo nelle nostre esistenze ma, come quando nasce una luce subito si crea un'ombra, ha anche risvolti negativi. L'uomo non ha di certo aspettato l'avvento di internet per mostrarsi malvagio, lo è da quando è nato: nel suo dna c'è sempre stato un senso di sopraffazione, homo homini lupus... Il mezzo di per sé è neutro, non ha colpe. È l'uso che se ne fa che ha conseguenze negative, è l'uomo che sta dietro a farne un uso scorretto. Come diceva Umberto Eco: il computer non è una macchina che fa diventare intelligenti le persone stupide ma una macchina stupida che può funzionare solo nelle mani di persone intelligenti. Può però diventare letale se è messo nelle mani delle persone malvagie. Questo è quello che succede in InFernet: nelle mani di persone cattive, il mezzo può essere letale. In InFernet, la linea di orizzonte tra il reale e il virtuale è molto sottile. Lo sguardo dei protagonisti – soprattutto dei giovani - e le loro esperienze sono talmente confusi da non riuscire a comprendere ciò che è reale e quello che non lo è: fanno del male senza avere la consapevolezza del dolore. Per loro è come un videogioco.

Le storie raccontate sono tutte parallele, costruite così come accade in rete. Ma, proprio come in rete, pian piano iniziano a intersecarsi e si fondono in un plot diventando un unico organismo. Lavorando con attori di diverse estrazioni - chi proveniva dal cinema, chi dal teatro e chi dal nulla - ho dovuto comportarmi come un direttore d'orchestra, chiamato a creare una sinfonia con strumenti da allineare. Sono soddisfatto del risultato finale, anche se i rischi ci sono sempre: InFernet è un film molto ambizioso, molto duro, spietato, senza mezzi termini. Guarda in faccia la realtà senza sconti: mostro ciò che accade con un certo realismo. È la mia poetica: faccio accadere le cose come se fosse la conseguenza naturale delle cose stesse.

InFernet (2016): Trailer ufficiale

Non temi che ne esca fuori una sorta di demonizzazione del mezzo?

No. Ho voluto evitare di fare un film schematico, a tesi. Vi è poi una presa di coscienza con un finale che trasmette un'indicazione, una rappresentazione molto etica dell'uso del computer e di internet. Non va per niente demonizzato il mezzo, anzi... va semmai capito, studiato e analizzato, per affrontarlo bene. Finché rimane un elemento sconosciuto, lo si può temere. Già dall'asilo andrebbe insegnato come usarlo: si dovrebbe pensare a un'educazione al mezzo. Quando si è inventata l'automobile, all'inizio c'erano dei morti. Poi è venuto il codice della strada a porre rimedio alla situazione: non servirà a evitare le morti ma intanto c'è un'educazione al mezzo. Dovrebbe accadere lo stesso anche per internet: bisognerebbe educare le nuove generazioni all'uso corretto di internet.

InFernet esce in sala questo giovedì in 40 copie e si tratta di un film indipendente. Suppongo che non sia semplice realizzare oggi un film drammatico in Italia e reperire i fondi per farlo.

Arriviamo in sala grazie al circuito The Space Cinema ma il produttore sta cercando altre sale al di fuori del circuito. Il produttore è ricorso al sistema del tax credit: non ha usato soldi suoi ma è stato bravo a mettere insieme i soldi degli sponsor. Siamo comunque nell'ordine di poche centinaia di migliaia di euro. Il grosso dramma del cinema italiano è questo: nel momento in cui a fare incassi è solo un certo tipo di genere, la commedia, tutti cercano di andare in quella direzione. Non sempre però va bene: forse qualcosa sta cambiando.

Hai anche una scuola di cinema a Firenze, Immagina. Da lì sono usciti ad esempio Walter Nestola, attore e regista di Briciole sul mare attualmente nelle sale, e molti dei giovani protagonisti di InFernet. Qual è il messaggio fondamentale che insegni ai tuoi ragazzi che studiano recitazione?

Fondamentalmente solo uno: devono essere se stessi. L'autenticità è la cosa più bella. Possono fare anche delle cose che vanno contro la mia ideologia ma se sono sinceri, onesti, li apprezzerò sempre. Adoro la diversità. Do loro le basi ma quando dico "azione" non devono più ricordarsi di quello che ho detto io: do lezioni che devono essere metabolizzate ma quando sono sul campo devono essere loro, devono metterci la loro fantasia. Ognuno deve elaborare gli insegnamenti in maniera individuale. Lo stesso vale per coloro che studiano regia: devono trovare il loro sguardo e il loro stile. Cos'è uno stile se non l'elaborazione filosofica del tuo modo di vedere la realtà? Ovviamente, non esiste un solo punto di vista, altrimenti non ci sarebbe nessun arricchimento. Anche a livello sociale la diversità è una questione di ricchezza e mai di povertà.

Durante la lavorazione di InFernet è accaduto un episodio abbastanza curioso. Su un noto settimanale di gossip uscirono le foto del bacio sul set tra Andrea Montovoli e Luca Seta, destando un certo scalpore. Non ti ha dato fastidio la loro strumentalizzazione? Per un certo verso, mettevano in atto uno di quei meccanismi che nel film vengono deplorati. Una sorta di paradosso...

Sinceramente? Si, a me ha dato fastidio. Si tratta però di gossip, articoli da rotocalco, che in un modo o nell'altro hanno portato a far parlare del film. Personalmente, sono un regista molto avulso da queste cose ma capisco che per una piccola produzione aggrapparsi a queste piccole trovatelle possa essere utile. Saranno espedienti un po' banali ma funzionano: si parla del film, circola il titolo, si crea attesa. Il meccanismo è perverso: sei costretto ad accettare anche qualcosa che non condividi e che esula dalla tua poetica. Come regista, poi, su queste cose non ho nessuna voce in capitolo. Posso decidere sul mio film ma non sul marketing, non ho nemmeno voce, per dire, sulla scelta del manifesto. Quella scelta era paradossale ma c'è qualcos'altro che è ancora più paradossale...

Cioé?

InFernet è stato girato a Verona. È senza mezzi termini, ho una visione molto drammatica e di fronte al male non mi chiudo gli occhi, lo mostro e non lo nascondo. Una volta ultimato il premontaggio, lo ha visto il vescovo di Verona ed è rimasto entusiasta. Sebbene la Chiesa non sia trattata inizialmente bene (va poi incontro a un riscatto grazie alla figura del prete sui generis interpretato da Remo Girone, un prete che non cita mai la Bibbia o il Vangelo ma che cita solo filosofi), il vescovo ha accettato il film in tutte le sue parti, anche le più violente. Prima dell'uscita, come sapete, il film va in Commissione censura: lo hanno ritenuto troppo forte e mi hanno costretto a tagliare delle parti, a occultare la realtà anziché promuoverla, pena il divieto ai minori. Lo Stato laico, illuminato, mi dice di censurare il film... la Chiesa, rappresentata dal vescovo di Verona, mi dice invece che il film va bene. Ci rendiamo conto del paradosso? Secondo la censura, le scene incriminate avrebbero sconvolto i ragazzi, che sul web poi vedono di tutto. Intorno abbiamo l'apocalisse e loro stanno lì a sindacare sulle mie scelte registiche: un film è solo un'opera d'arte.

Cosa ti hanno fatto tagliare nello specifico?

Tre episodi clou con al centro sesso, violenza e droga... ad esempio, la scena in cui due gay vengono pestati a sangue, funzionale al racconto, o quella in cui dei giovani si drogano, sniffano. In un film, si deve far vedere l'aspetto negativo, non si può solo far intuire. Era tutto coerente con il mio modo di inquadrare la realtà. Il film è un'opera d'arte e in quanto tale si deve garantire anche la massima libertà espressiva. Volevo denunciare una realtà ma c'è chi preferisce ancora oggi girare la faccia dall'altro lato.

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