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Il numero 14 palleggia in paradiso. Addio a Johan Cruijff
di GIANNISV66
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Chi ama il calcio sa che una delle espressioni più ricorrenti è che nel calcio non si inventa mai nulla di nuovo. Le regole in linea di principio sono quelle stabilite ormai quasi un secolo fa, le differenze  (se ci sono) sono dovute a variazioni o integrazioni su aspetti particolari, ma alla fine la storia è semplicemente questa: undici uomini in campo contro altri undici, un pallone che rotola, due porte da difendere o da violare (dipende dal punto di vista).

Poi c'è chi difende e chi attacca, chi cerca di fare di goal e chi cerca di impedirlo, chi costruisce gioco e chi distrugge quello altrui. Insomma alla fine il football (come lo chiamava mio nonno, grande appassionato della disciplina e grande estimatore di Levratto, Meazza e Piola; per lui la parola calcio indicava un movimento del piede e basta. Per gli inglesi invece il termine football ha un significato un po' più ampio ma va bene così) è quella roba lì.

Ma se c'è stata una squadra che ha cercato di mandare tutto a gambe all'aria, fregandosene delle consuetudini che volevano (e vogliono) i difensori arcigni spazzolatori di palloni e le mezzeali talentuose e dai piedi sopraffini, quella è l'Ajax di Amsterdam (e di conseguenza la nazionale olandese) degli anni 70.

 

 

Una squadra strabiliante dove i terzini attaccavano, i difensori centrali erano più bravi a costruire gioco dei centrocampisti avversari, le mezzeali davano manforte in difesa e gli attaccanti svariavano continuamente su tutto il campo mandando a gambe all'aria le difese altrui.

Una compagine di talenti straordinari, e il più “talento” di tutti si chiamava Joahnn Crujff. E ci ha lasciato proprio oggi ad appena un mese dal compiere il suo sessantanovesimo anno di età.

 

 

Cruijff era nato il 25 aprile del 1947 nella periferia di Amsterdam, famiglia povera ma dignitosa, che si sosteneva grazie a un negozio ortofrutticolo, ma la morte prematura di papà Manus li getta nella disperazione.

Il piccolo Johann ha solo dodici anni , è un ragazzino smilzo e dai piedi piatti (cosa che gli valse il soprannome di “papero d'oro”) ma si è già fatto notare nelle giovanili dell'Ajax. Va a parlare con il vice presidente della società e riesce ad ottenere per la mamma un posto di addetta alle pulizie. Lui stesso abbandona presto la scuola per dedicarsi al calcio a tempo pieno.

A soli diciassette anni è già in prima squadra, a diciotto è titolare, a vent'anni è capocannoniere con 33 reti in trenta partite. Comincia dunque la leggenda di una squadra straordinaria capace di vincere tre Coppe dei Campioni consecutive irridendo gli avversari. Dopo di loro ci riuscirà solo un'altra compagine di eccezionale valore, il Bayern Monaco di Franz Beckenbauer e Gerd Müller, ma praticando un sistema di gioco più tradizionale.

Ma torniamo ai Lancieri biancorossi con Aiace Telamonio nello stemma, un gruppo di talenti strabilianti che si chiamano Ruud Krol, Johan Neeskens, Wim Suurbier e Arie Haan (solo per ricordarne alcuni) . E un gradino sopra gli altri c'è lui, il profeta del goal.

E chi se ne importa se nel 1973, subito dopo aver vinto la terza Coppa dei Campioni, se ne va al Barcellona, perché nell'immaginario dei tifosi di calcio Cruijff indossa solo due maglie: quella biancorossa dei Lancieri e quella arancione della nazionale Olandese. Entrambe rigorosamente con il numero 14.

 

 

E non importa neanche che la nazionale Oranje nonostante quello schieramento di talenti da far impallidire qualunque avversario non sia riuscita a vincere la coppa del Mondo (due finali perse consecutivamente nel 1974 e nel 1978), perché se c'è una squadra che è riuscita a far piazza pulita di nazionalismi e antipatie (che nel mondo del calcio forse prosperano più che in qualunque altro sport) e si è conquistata l'ammirazione incondizionata degli appassionati dell'arte pedatoria di ogni latitudine è proprio quella.

Talmente bella  e soprattutto talmente fuori da ogni paragone per il suo modo di interpretare il gioco da entrare nella leggenda, scavalcare l'ambito calcistico e diventare un fenomeno sociale e di costume.

Quando si parla dei “mitici anni 70” a chi si pensa? A molte cose, ai Pink Floyd e ai Led Zeppelin, a David Bowie e a John Lennon, alla contestazione giovanile e alla guerra del Viet Nam, a Dario Argento e a Steven Spielberg, alle copertine di Urania disegnate da Karel Thole e a Ciao 2001 in edicola, ai fumetti dell'Eternauta e a Atlas Ufo Robot, e pure a un sacco di altro.

Ma lì in mezzo sicuramente ci troverai anche le maglie arancioni dell'Olanda e la numero 14 di Johan Cruijff.

La settima arte non poteva certo ignorare un tale fenomeno e il prodotto più bello lo abbiamo realizzato proprio noi italiani.

 

 

Il Profeta del Goal è un film ideato e diretto da Sandro Ciotti non per celebrare il calciatore ma piuttosto per raccontare l'uomo. Cruijff viene ritratto sia nei momenti delle partite, nelle sue azioni più spettacolari, sia nei suoi aspetti più familiari. Un film che riesce a raccontare a tutto tondo la figura di un personaggio la cui dimensione di campione sportivo era talmente straordinaria da rischiare di cancellarne la parte più comunemente “umana.”

Una pellicola che proprio per questo motivo potrà essere apprezzata anche da coloro che non sono soliti ai discorsi da bar sport .

E che torna utile per ricordare quello che probabilmente è stato il miglior calciatore europeo del XX secolo, secondo al mondo forse solo a Pelè.

 

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