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Il riso collettivo
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Il tema caldo di questi giorni è - inutile a dirsi - il film di Zalone, gigantesco successo ai botteghini, che sta macinando un record dietro l’altro. Gli incassi sono incassi, non si discutono. E se la gente si diverte non si può negare, non ci si può opporre. Il popolo paga e ride, a Zalone di questo va dato atto. 

Io ho fatto un esperimento: il film l’ho visto, ma non al cinema. L’ho guardato in una orrenda copia in streaming, illegalmente, a casa. Per vederlo da solo, per vedere l’effetto che mi faceva. È un filmetto caruccio, davvero niente di che, ma non ho riso mai, poi nella stanza è entrata la mia compagna, abbiamo guardato due minuti insieme e lei è scoppiata a ridere per una battuta qualsiasi, e ha fatto ridere anche me. Poi se ne è andata e sono tornato a osservare in silenzio.

Credo che a Zalone sa andata proprio bene: per una serie di alchimie corrette, probabilmente in parte casuali e in parte ricercate, gli è toccato di assolvere al compito di celebrare a ogni uscita un rito collettivo: quello di far ridere il popolo italiano. 

C’era una volta a Milano - non so ce c’è ancora - un locale dove si ballava sui tavoli. In genere una situazione così si verifica quando si scatena un entusiasmo eccezionale, quando qualcosa di travolgente accade e la gente perde le inibizioni. Bene, lì non era così: lì l’eccezionalità era il format. Si andava appositamente per ballare sui tavoli: la gente sapeva che sarebbe successo e riattivava l’eccezionalità, la chiamava e la otteneva.

C’era una volta in giro - e non so se c’e ancora - un guru indiano che praticava una sorta di terapia della risata. Il gioco consisteva nel ridere sforzandosi di farlo, senza motivo. Lui era piuttosto trascinante, aveva una risata idiota e coinvolgente. Provate anche voi, funziona: vi mettete insieme in tanti e iniziate a emettere i suoni tipici del ridere, dopo un po’ vi troverete con le lacrime agli occhi.

Penso che la cosa stia un po’ così. E come ho già detto la questione riguarda più la sociologia che la cinefilia: penso che il popolo italiano abbia bisogno di espletare il rito collettivo del riso collettivo. E che Zalone sia riuscito ad esserne l’officiante, con merito. Che il popolo rida (lo dico senza sentirmi altro dal popolo, sia ben chiaro): ridere fa bene. 

C’è però una cosa che mi infastidisce, moltissimo. Il fatto che spesso i commenti di chi esalta il filmetto di Zalone (che secondo me tale resta) irridano chi cerca di capire, di spiegare, di distinguere. Che si facciano forti di fronte a ogni critica dei risultati al botteghino. Che si dica che la critica è snob, che non capisce e non sa divertirsi. Mi infastidisce l’esaltazione dei numeri degli incassi come sinonimo di qualità, mi disgusta l’esaltazione dell’ignoranza di fronte alla cultura. Di tutto questo Zalone non ha colpa, naturalmente. Ma, come in ogni campo, i gusti si affinano con la frequentazione, con la ricerca, con l’indagine e la scoperta: è naturale che chi ha visto tanti film abbia affinato le sue capacità critiche, così come è naturale che chi ha studiato musica si infastidisca di fronte a una melodia trita. Ed è altrettanto naturale che chi assaggia e assapora piatti e vini man mano educhi il palato: non è snobismo, si chiama cultura. 

Che il popolo dunque rida, gli fa bene. Ma è necessario che dopo il popolo mangi, si riposi, che legga, si istruisca, si evolva. 

Se invece dopo aver riso (per altro ridendo del malcostume italiano, che quello è ciò che Zalone rappresenta) il pubblico-popolo si alza e rutta in faccia alla cultura e al cinema, inveendo contro lo *snobismo* che gli vorrebbe suggerire che c’è di meglio, ecco allora che quella risata non è servita a granché e che il malcostume additato nel film torna paradossalmente a farsi realtà in un loop vizioso: l’esibizione e l’orgoglio dell’ignoranza. Non ci serve e non porta da nessuna parte: è il nostro male, proprio quello che Zalone addita (se lo addita davvero, e di questo non sono certo: ho quasi l’impressione che rappresentandolo lo giustifichi e ne faccia un tema identitario, ma questo è ancora un altro discorso). 

Zalone non è Totò, non lo sarà mai, perché non è corpo. Una statuina di Totò alta dieci centimetri è e sempre sarà Totò, una statuina di Zalone alta dieci centimetri sarebbe un uomo pelato un po’ pingue simile a ogni altro uomo pelato e un po’ pingue. Irriconoscibile. E probabilmente tra trent’anni (o forse solo due) del film che oggi batte ogni record si ricorderanno gli incassi, ma nemmeno una battuta. Scommettete?

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