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A muso duro. Profilo di Josh Brolin.
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È Josh Brolin, ancora diciassettenne, a urlare «Geronimo!» volando nel vuoto dopo un lunga discesa in uno scivolo d’acqua sotterraneo ne I Goonies (1985). Emulato da ogni ragazzino dell’epoca entrando così nel mito.

Figlio di James Brolin e oggi figliastro di Barbara Streisand, ex marito di Diane Lane, con qualche problema giudiziario di condotta, Josh Brolin è oggi uno dei migliori volti duri e puri di un certo cinema vecchia scuola. Erede di mastini alla Charles Bronson, Lee Marvin e Clint Eastwood, anche Brolin è perfetto per parti da bastardo, da osso duro, da burbero, da uomo solitario che va per la sua strada. Complice un fisico robusto e massiccio e un viso da cane bastonato alla Nick Nolte, è perfetto per ruoli potenti, decisi e aggressivi, senza troppo spazio per derive comiche o romantiche.

Dopo il successo mondiale del film culto di Donner, Spielberg e Columbus, Josh Brolin si dedica soprattutto alla televisione in ruoli di secondo piano, dando il meglio di sé solo con I ragazzi della prateria (1989-1992) nel ruolo de giovane Wild Bill Hickcok, al fianco di Buffalo Bill (Stephen Baldwin) e di Billy the Kid (Ty Miller). Il paio lo fa invece con il film girato immediatamente dopo I Goonies e che lo vede protagonista assoluto di un tipico teen movie anni ’80 in cui faceva capolino il primo edonismo puberale oggi dilagante. Con Trashin’ – Corsa al massacro (1986), si prodiga in acrobazie da skateboard per combattere la rivalità tra due giovani bande losangeline sullo sfondo di una storia d’amore alla Romeo e Giulietta. La presenza fisica e ormonale del giovane molossoide sembrano destinarlo a un futuro da beefcake, ma le produzioni televisive che gli seguirono lo rilegarono alle seconde file degli attori del decennio.

Uscito dal tunnel catodico, Brolin inizia una buona carriera prettamente cinematografica partecipando a diversi film, sempre in ruoli di secondo piano, tra cui si ricordano titoli come Flashpoint (1997), diretto dal padre, Nightwatch (1997) remake del danese Nattevagten (1994) e diretto dallo stesso regista Ole Bornedal; e poi Mimic (1997), L’uomo senza ombra (2000) e Trappola in fondo al mare (2005). Film in cui, anche grazie alla regia, Josh Brolin con il proprio apporto attoriale e figurativo riesce a non passare affatto inosservato.

Così arriva il 2007 e il segmento Planet Terror del dittico Grindhouse, firmato da Tarantino e Rodríguez. Nello zombie movie del regista tex-mex è il suo viso già mezzo culto, la sua presenza scenica, l’alone storico che lo avvolge da I Goonies a giustificare l’operazione citazionista interna a un film che nasce proprio sul gioco postmoderno del collage emotivo e immaginifico. Grazie a questa riscoperta pop, Josh Brolin consolida la sua immagine di attore grezzo e burbero, in linea diretta con i grandi duri del cinema del passato che nel decennio degli ottanta venivano regolarmente fatti da parte dagli eroi muscolari dei film paramilitari.

Inizia così una nuova vita professionale fatta di grandi film, grandi ruoli e grandi registi. Si susseguono uno dietro l’altro titoli come Non è un paese per vecchi (2007), Nella valle di Elah (2007), American Gangster (2007), W. (2008) e Milk (2008) prima e unica candidatura agli Oscar. Una leggera flessione, anche giustamente fisiologica, e i titoli migliori cominciano a diminuire, i ruoli si fanno meno efficaci e il suo volto mastino riutilizzato anche nella commedia. Sono gli anni di Wall Street – Money Never Sleeps (2010), Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni (2010), Men in Black 3 (2012) e Gangster Squad (2013), film irrisolto, ma che ribadisce la totale efficacia di James Brolin ad una tipologia di ruolo ben precisa.

Vanno citati anche due western, a conferma che Brolin ha la faccia giusta. I fratelli Cohen lo trasportano nella loro personale rivisitazione de Il Grinta (2010), di nuovo in un ruolo carognesco e burbero, proprio poco dopo aver indossato i laceri abiti di Jonah Hex nell’omonimo film targato DC Comics e diretto da Jimmy Hayward sempre nel 2010. Massacrato dalla critica e snobbato dal pubblico, al film sull’antieroe gothic-western ispirato ai miti eastwoodiani degli anni ’70, concessi alcuni scivoloni tecnici e di scrittura, va il pregio di aver raccontato nel genere dell’identità americana per eccellenza, una storia di terrorismo interno, dove è il Paese a nutrire i suoi mostri. Va da sé che Brolin, con tanto di faccia ustionata, è spassoso.

Dopo tre anni di fisiologica flessione, tutto ritorna al suo posto. Di nuovo grandi film, grandi registi e grandi personaggi sempre resi con la solita classe: sembra che Josh Brolin non voglia mai lavorare, che i suoi personaggi siano sempre stanchi, che lavori solo per i soldi – e così afferma pure lui in un’intervista per l’uscita del controverso Everest (2015). Questa è la scorza mastiniana che esce dai suoi personaggi e dalla sua recitazione grugnita e a tratti lebowskiniana, caratteri più che evidenti in titoli come Labor Day (2013), il suo capolavoro attoriale, e poi Oldboy (2013) e Sin City – A Girl to Die For (2014), dove rimpiazza più che dignitosamente Clive Owen superandone l’efficacia figurativa. Seguono Inherent Vice (2014) e il bellissimo monumento all’America di oggi narrato in Sicario (2015), altro ruolo per il quale vale un’intera carriera; e poi Everest, la voce di Thanos in Guardiani della Galassia (2014) e in Avengers: Age of Ultron (2015); il ritorno con i Coen nel musical corale Hail, Caesar! (2016), il dramma criminale Three Seconds (2016) e anche The Legacy of a Whitetail Deer Hunter (2016) al fianco di Danny McBride del geek pack di Apatow, Franco e Gordon Green.

Richard Donner, due volte Woody Allen, due volte Oliver Stone, due volte Robert Rodríguez, tre volte i Fratelli Coen, Guillermo del Toro, Paul Verhoeven, Paul Haggis, Ridley Scott, Gus Van Sant, Jason Reitman, Spike Lee, Paul Thomas Anderson e il grande autore contemporaneo Denis Villeneuve: tutti grandi nomi che danno le misure di una carriera che sembrava arrancare nelle retrovie del prodotto televisivo e che invece è diventata una delle più interessanti e autoriali degli ultimi dieci anni.

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