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Classico, moderno. Fenomenologia di Eugenio Franceschini.
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Eugenio Franceschini, attore veronese di San Giovanni Lupatoto, classe 1991, nato in una famiglia di attori di strada e girovaghi, dediti al teatro popolare, al teatro ragazzi e agli spettacoli di marionette, è uno dei pochi e rari volti del cinema italiano di vero e clamoroso talento in cui testa/testo, corpo ed espressione autoriale di sé turbinano nello stesso vortice impetuoso. È un classico, già moderno.

Viene dal teatro e al teatro resta comunque proiettato, nonostante i molti impegni cinematografici e televisivi. Viene dalla commedia dell’arte il cui fascino è alla base di tutta la sua ispirazione artistica: centrale la figura di Arlecchino, il saltimbanco multicolore, libero e anarchico, motivato solo dall’appetito alimentare e sessuale. Eugenio non fa mistero della sua cultura di partenza, della sua formazione popolare e dei suoi sogni. Vive nel mito del Don Chisciotte cervantino (1605), cita Shakespeare con un tatuaggio sulla spalla sinistra, il “we are such stuff as dreams are made on” de La tempesta (1610), vorrebbe girare un film sulla Resistenza (a tal proposito gli consiglio, se non li avesse letti, i racconti di Giulio Questi di Uomini e comandanti pubblicati nel 2014 da Einaudi) e non fa mistero dei suoi trascorsi: attivismo politico di sinistra in un contesto fascista come la sua Verona, le droghe, l’abbandono del liceo e il suo carattere tenebroso, pensoso, timido e perfino malinconico.

La prima caratteristica, o dote attoriale, che si palesa in Eugenio è il breriano “corpo del ragasso”. Bel ragazzo dal viso pulito, fisico tonico, fisicità e plasticità dirompenti grazie anche alle buone basi di danza moderna e acrobatica, il tutto assemblato con rigore e coscienza attoriale. Ed è questo che colpisce in seconda battuta quando pensiamo a Eugenio Franceschini. Il "ragasso" è infatti molto preparato e motivato intellettualmente e con un’anima civile e politica generosa e ben chiara. Se in una ipotetica fenomenologia dell’attore veronese individuassimo come primi dispositivi attorici la tonicità fisica, il fare piacione e disinvolto, una predisposizione alla visibilità del corpo attoriale con nudi, shirtless moment, appetito sessuale quasi insaziabile, sorriso disarmante e cordialità del gesto dal risultato distensivo, non potremmo comunque tener slegate da essa anche le caratteristiche più intime che emergono dall’uso del segno corporale. La totale disponibilità e inibizione carnale è una concessione libertina di un animo votato al randagismo, alla vita zingara e popolare a cui appartiene: un marinaio di terra a cui non starebbero male i versi di Georges Moustaki/Bruno Lauzi per Lo straniero, successo discografico del 1969. La tonicità fisica è la conseguenza di un rispetto profondo per il proprio corpo, il vero tempio dell’attore, per il quale Eugenio lascia anche il rubgy, sport che l’ha educato allo spirito di gruppo, per esigenze estetiche legate al suo lavoro. Un amore e una disciplina per la sua professione che traspare dalla potenza distensiva del suo sorriso, un’arma di cui anche i registi meno capaci hanno fatto uso per utilizzare al meglio il giovane attore.

Eugenio gioca con gli stereotipi e mette il corpo davanti al personaggio. Un po’ barocco – Cervanes, Shakespeare… - l’attore veronese, o meglio lupatoto, traduce in gesti e in pose l’animo gentile e la serenità che deriva dalle piccole cose conosciute nell’infanzia e nell’adolescenza teatrale al seguito dei genitori. Un corpo e un volto che sono testi di un’idea di vita semplice e genuina, al pari del contributo intellettuale e politico che anima lo spirito di Eugenio, attore educato fin da bambino a sognare attraverso le forme e le ombre del teatro.

Infatti, nascendo e crescendo in una famiglia di teatranti, l’esordio teatrale non poteva che essere precoce: nel 1996, a 4 anni, partecipa a Il Barone di Munchausen e due anni dopo a Peter Pan, allestiti entrambi dalla Fondazione AIDA - Teatro stabile di innovazione Verona; nel 2000, per il Giubileo, partecipa a Arlecchino e suo figlio alla ricerca della luna tonda, dove sembrerebbe aver fatto un sogno, “la sua luna”, che non vuole ancora svelare, ma che continua a tenere come obiettivo (e forse io ho capito a cosa si riferisce); mentre tra il 2007 e il 2009, ormai già sedici-diciottenne, recita negli allestimenti di famiglia con la Viva Opera Circus del padre Gianni, oggi Compagnia Franceschini performingarts, con cui il celebrato attore veronese “dà vita ad una nuova esperienza professionale in cui sviluppare il lavoro compiuto in 35 anni nell’ambito del teatro per le giovani generazioni e quello popolare; sperimentare nuovi sentieri poetici, legati alla narrazione, la pittura dal vivo e la musica” (1): “L’impresario delle Smirne” di Carlo Goldoni (2007) e Aladino (2009).

Dopo uno stage formativo alla Paolo Grassi di Milano nel 2010 è uno dei diciotto ragazzi, su 800 candidati, selezionati per il triennio 2011-2013 al Centro Sperimentale di Cinema a Roma, nel corso coordinato da Giancarlo Giannini. Durante il triennio alla Scuola Nazione di Cinema, lavora nell’Evgenij Onegin di Puskin diretto da Eljana Popov e in Breth New Day presso il teatro Camploy, entrambi nel 2012, e sempre nello stesso anno passa in televisione come volto della pubblicità del “Borotalco finito? Sudore garantito!”.

È comunque nel 2013 che Eugenio Franceschini, il “ragasso”, fa il botto a teatro venendo scelto per il ruolo di coprotagonista al fianco di Leo Gullotta in Prima del Silenzio, testo del 1979 di Giuseppe Patroni Griffi per la regia di Fabio Grossi. Testo di disarmante attualità, dramma giocoso delle parti, con tensione omoerotica giovane/adulto, è uno spettacolo improntato sul valore della parola e sulla crisi dell’intellettuale che si scontra generazionalmente con la fisicità dei giovani. In questo contesto nasce il generoso nudo frontale di Franceschini durante una scena di doccia. Applauso.

Anche il cinema non tarda a scritturarlo e anche in questo caso l’esordio è di buon livello. Nel 2012 viene infatti scelto per Bianca come il latte, rossa come il sangue di Giacomo Campiotti, già buon narratore di giovinezze in crisi (Come due coccodrilli, 1994). È lo studente fascistello chiamato Vandalo che a più riprese se la prende con il “terzaiolo” Filippo Scicchitano. Nel film ha chiaramente poche scene ed essendo un volto nuovo non può nemmeno giocare di background; riesce ugualmente a portare al personaggio quella plasticità che gli addetti ai lavori hanno subito notato come la caratteristica principale di Eugenio.

Tant’è che l’impegno cinematografico successivo, Una famiglia perfetta (2012), di Paolo Genovese, lo ripropone senza veli in un rapido nudo posteriore, sempre per sottolineare la “visibilità” del giovane attore e la sua forte presenza scenica. Presenza che si fa strada anche tra due mostri come l’istrionico Marco Giallini e il più complesso e sottrattivo Sergio Castellitto. Eugenio invece, forse troppo legato al testo, sa dare il meglio di sé nei momenti più naturali e istintivi dei suoi personaggi, momenti in cui la freschezza del gesto è conseguenza di un agio attoriale, consapevolezza del proprio ruolo e dei propri limiti.

Nel 2013 partecipa all’ennesimo pasticciaccio di Carlo Vanzina interpretando il giovane protagonista di Sapore di te. Il film è veramente imbarazzante sia sul lato tecnico (sceneggiatura e regia) che su quello immaginifico. Il gioco al revival anni 80 naufraga in Versilia per colpa di personaggi più che stereotipati, disegnati con tratti improbabili e resi poi ancora più puerili da un reparto attori buono solo sulla carta, ma completamente fuori gioco – si salva solo il grande Mario Mattioli. Tra battute e snodi narrativi imbarazzi, Eugenio si ritaglia comunque un posto al sole grazie ad una delle sue caratteristiche vincenti, il sorriso, e sa così stemperare l’imbarazzo di una sceneggiatura che non porta rispetto né per gli attori né per il pubblico. Il suo personaggio, il classico bel ragazzo, tonico e irresistibile “che se le fa tutte”, per parafrasare l’amico e collega Matteo Leoni, è depotenziato di uno sguardo critico e autoriale dell’attore per venire in contro ad esigenze di copione (quale?) che non giovano alla resa finale del film, rischiando tra l’altro di ingabbiare Eugenio in un cliché misero che gli fa poco onore.

Il dramma si ripete con il successivo Maldamore (2013) di Angelo Longoni, film mediamente corale, dove non solo manca una sceneggiatura matura, ma dove anche gli attori perdono il loro mestiere stereotipandosi in modo puerile e dando purtroppo il peggio di sé. Solo Luca Zingaretti risulta in parte e piacevolmente fuori dal canone, per il resto ci tocca subite un rosario di luoghi comuni, cliché e tipizzazioni telefonate. Eugenio interpreta un giovanissimo gigolò per donne mature in cerca di veri e indimenticabili rapporti sessuali: «Mamma mia! Ma è stato… pazzesco!» tuona banalmente Ambra Angiolini dopo l’orgasmo. Anche in questo caso, come nel precedente film di Vanzina e un po’ anche in Genovese, Eugenio viene stereotipato come il giovane oggetto del desiderio, il ragazzo a cui “tutte la danno”, sempre per parafrasare Matteo Leoni. Un ruolo quindi nuovamente irritante, probabilmente pure lontano dalla realtà, che non fa onore all’attore, qui etichettato con un improbabile “scopatore seriale”. A parte chiedersi in che mondo vivano gli sceneggiatori per credere ancora a questa favola che i ventenni a letto sono migliori dei quarantenni, l’aspetto più deludente dell’operazione è che un validissimo attore come Franceschini debba sacrificarsi in questo modo agli occhi del grande pubblico. Segnale ulteriore di questa impossibilità di stereotipo è il modo goffo con cui Eugenio attraversa alcune scene, passando dal ridicolo al patetico, così come, in un lampo di genialità autoriale, sa essere istintivo e creativo, fresco e naturale.

Fortunatamente viene scelto per La luna su Torino (2014) del autore “magico” Davide Ferrario, uno dei pochissimi registi italiani capace di pensare per immagini e tradurle narrativamente senza risultare né stucchevole ne incomprensibile. Il film si focalizza sulle stralunate vicende di tre coinquilini interpretati da Walter Leonardi, Manuela Parodi e Eugenio Franceschini. Dei tre, il “ragasso” è quello su cui meno indugia la regia, dedicandosi di più alla vita bohemia di Leonardi e agli affari di cuore della Parodi, ma sa irrompere nell’impalpabile atmosfera lunare dei suoi coinquilini con tutta la forza plastica e fisica che lo contraddistinguono come attore: il pugilato, la danza acrobatica e i ravvicinati incontri con la tartaruga gigante sono alcune delle articolazioni narrative della propria figura attoriale. Purtroppo, anche a Torino, Eugenio passa per il ragazzo irresistibile che se le fa tutte, manco fosse Austin Powers (ironia).

Nel 2015, per la regia di Leonardo Tiberi, Eugenio dà il meglio di sé in Fango e gloria. Nel film per la televisione dedicato alla figura del Milite Ignoto con cui si celebrano i cento anni dell’inizio del primo conflitto mondiale, l’attore veronese interpreta un giovane ragazzo veneto che deve rinunciare alla sua gioventù, al suo amore e al suo lavoro per andare in trincea e morirvi da sconosciuto. Pur essendo un prodotto televisivo, frammischiato a vere immagini di repertorio, sorprende per la compostezza della recitazione di tutti gli attori impegnati nel progetto e per l’ambientazione riuscita della vita cittadina e della vita al fronte in quello scorcio di inizio secolo. La sobrietà che sfoggia Eugenio nei panni del Milite Ignoto gli rende finalmente giustizia. Presta la sua fisicità alla morte della fisicità stessa, in una contenuta interpretazione di un giovane spavaldo che la vita s’è portato via troppo presto.

Sempre nel 2015, oltre a partecipare con la solita generosità e curiosità in progetti come Io che amo solo te di Marco Ponti dove per l’occasione si cimenta con il pugliese e come Un bacio di Ivan Cotroneo dove interpreta l’amico più grande di un trio di adolescenti alle prese con bullismo, omofobia e crisi personali, prende parte ad un altro progetto televisivo: la sontuosa fiction di RaiUno, Grand Hotel. Purtroppo, la produzione, invece di doppiare l’eccellente originale spagnola, Gran Hotel (2011-2013) e distribuirla sul mercato italiano, ha preferito un remake nostrano che non poteva che essere inferiore all’originale e soprattutto attraversato tecnicamente dal tipico pressapochismo televisivo italiano e contenutisticamente dai soliti luoghi comuni. Manco a dirlo, a cavarsela bene è proprio Eugenio Franceschini che riprende la spavalderia popolana e prettamente fisica dell’interprete spagnolo, Yon González, tra i migliori attori europei della sua generazione (vedi link: //www.filmtv.it/post/21962/yon-gonzalez-l-attore-alfa) e la restituisce il meglio che può, pur consapevole dei limiti della scena televisiva. Per il resto, il confronto è nullo. Nell’originale spagnola avevamo attori fuera de categoría come Adriana Ozores, Manuel de Blas, Lluis Homar, Concha Velasco, Eloy Azorín e la bellissima Amaia Salamanca, in quella italiana gli “a me sconosciuti” (mea culpa) Marion Mitterhammer (guardatevi l’interpretazione della Ozores e ne riparliamo), Klaus Schindler (guardatevi l’interpretazione di Manuel de Blas e ne riparliamo), Emanuela Grimalda (guardatevi l’interpretazione della Velasco e ne riparliamo), Dario Aita e Valentina Bellé che sanno essere più genuini nonostante i limiti oggettivi.

Spero che la parentesi televisiva del ragasso si fermi con la seconda stagione di Grand Hotel e che possa continuare ad essere un grande attore fisico qual è, sicuro di sé e dalla plasticità non banale. Preferisce il teatro, e gli fa onore; ha obiettivi nobili e intellettualmente alti, e non si dimentica l’immaginario popolare in cui è nato e cresciuto né tantomeno la carica sovversiva del folklore e della commedia dell’arte. Eugenio è un ottimo attore, ancora forse un po’ troppo impostato nella voce – emblematico il confronto con il compagno di set Filippo Scicchitano in Bianca come il latte: Eugenio, che viene dal teatro e dalla Scuola Nazionale di Cinema, si percepisce più impostato nella voce e nei movimenti, mentre Filippo, arrivato al cinema per puro caso, è più naturale, fresco, spontaneo e genuino – ma ugualmente di ottimo attore si parla, ben cosciente del proprio passato e già del proprio futuro. Idee chiare e ben piantate lo aiutano a partecipare a progetti imbarazzanti senza perderci la faccia, anzi, dimostrando con una certa stonatura di non appartenere a quell’immaginario, di smarcarsi con ironia dalla figura dello “scopatore seriale” e quindi poter risultare più credibile e vero del suo personaggio.

Io, personalmente, non credo in dio. Credo nell’intelligenza, nella civiltà e nella responsabilità degli esseri umani. Credo pertanto nel cinema e nella sua potenza di rappresentare il mondo, la vita e l’uomo con pensiero critico e anche con leggerezza, soprattutto se a fare cinema sono persone come Elio Germano, Pierfrancesco Favino, Valerio Mastandrea, Alessandro Gassman e tanti altri tra registi e sceneggiatori di animo e di gran cuore, liberi e propositivi. Eugenio Franceschini è uno di loro.

Note.

(1) http://www.compagniafranceschini.it

Informazioni prese da:

http://www.ttagency.it/scheda.php?id=93&lang=ita

http://www.vogue.it/uomo-vogue/people-stars/2015/07/eugenio-franceschini

http://www.adnkronos.com/intrattenimento/spettacolo/2015/08/26/eugenio-franceschini-grand-hotel-messo-del-mio_4eYr7unIfEeuRjqxV9wLBO.html

http://www.vanityfair.it/people/italia/12/11/29/eugenio-franceschini-film-intervista-vanity-fair

http://www.cameralook.it/web/speciale-prima-del-silenzio-interviste-a-leo-gullotta-e-eugenio-franceschini/

http://www.chedonna.it/2014/01/31/cinema-intervista-eugenio-franceschini-protagonista-del-film-sapore-di-te/

Video:

La prima volta, cortometraggio. Esercitazione primo anno Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma - triennio 2012-2014. Regia e sceneggiatura: Lorenzo Caproni.

Pubblicità Borotalco, 2012.

Intervista di Giulio Rubinelli.

 

Grande Eugenio!

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