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Il Semaforo a Venezia
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Eduardo Valdarnini, Ondina Quadri

Arianna (2015): Eduardo Valdarnini, Ondina Quadri

 Il semaforo nasce come momento di pura evasione. Non c’è critica né approfondimento ma solo la sana e consapevole libidine di ciarlare del nulla, di sfogarsi di seguito ad un’intensa settimana cinematografica fatta di uscite in sala, film in televisione, dichiarazioni sui giornali ed inevitabili polemiche. Ogni fine settimana film o personaggi saranno presi di mira o premiati per qualcosa che li riguarda. Il meccanismo è semplice: tre semafori rossi per qualcosa da bocciare, tre gialli per qualcosa che ci ha lasciati perplessi e tre verdi per qualcosa da premiare. In più, ai semafori potrebbero aggiungersi anche due pass speciali, uno positivo chiamato All Access e uno negativo denominato No Entry, concessi in via del tutto eccezionale a chi si è distinto notevolmente per un verso o per l’altro. Questa settimana, in via del tutto eccezionale per il suo ritorno dopo la parentesi estiva, Il Semaforo è dedicato alla 72ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia, appena conclusasi.

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Compagine tricolore in concorso

Erano quattro i titoli italiani: Per amor vostro, A Bigger Splash, Sangue del mio sangue, L'attesa. Si sono rivelati, nel bene e nel male, quattro gradevoli sorprese. Di difficile comprensione (è il caso di L'attesa) o dannatamente kitsch (borderline è la definizione che più si addice al remake di La piscina realizzato da Guadagnino), non hanno disatteso le aspettative, rivelandosi in grado di brillare tra tanti titoli provenienti da cinematografie differenti. 

Juliette Binoche

L'attesa (2015): Juliette Binoche

 

Sesso

Il festival di Venezia sdogana il sesso in tutte le sue forme e varianti. Facendo arricciare il naso a coloro che si scompongono per un paio di tette. Al Lido abbiamo ammirato cunnilinguis in tutte le sue forme (da A Bigger Splash ad Anomalisa il sesso orale al femminile è sembrato un must), masturbazione (l'incipit di From Afar, il finale di Helmut Berger, Actor), sesso anale gay (lo stesso From Afar), blow job (così definito anche nella Napoli di Bagnoli Jungle), autoevirazione e pedofilia (Why Hast Thou Forsaken Me?), ermafroditismo e scrutamento della vagina (Arianna), linguaggio sboccato e sessocentrico (a partire dal "bifolco dal gran cazzo" di Lolo), situazioni estreme (il cimitero di Mountain), amplessi atletici con donne in gravidanza (Banat) e peni (flaccidi o eretti) in bella mostra, da quello di Ralph Fiennes a quello animato di Anomalisa.

Banat (Il viaggio)

 

Sorprese collaterali

A sorprendere in positivo sono anche le sezioni collaterali e non solo il concorso. Stupiscono la tematica di Mountain (che indaga il desiderio coniugato al femminile in una religione tutt'altro che aperta), l'antropologia di Tanna (fiction e documentario in salsa aborigena), Un monstruo de mil cabezas (spietata regia messicana e un'interprete che, pur venendo dal mondo delle telenovelas, si mangia in un solo boccone tutte le attrici più blasonate).

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Didascalismo

Lo spiegone e la didascalia forzata sono una piaga per il cinema. Non ci cascano solo gli italiani, però. Al finale banalissimo e sottolineato di Arianna si possono ad esempio contrapporre le diverse sottolineature (seppur eleganti) di The Danish Girl e il finale, costruito sulle doppie rivelazioni, di Remember. Come se gli spettatori fossero stupidi.

 

Atteggiamento prevenuto

Parte il logo Medusa e giù di fischi. Spesso l'obiettività sulla qualità di un film è oscurata dai pregiudizi che anche i giornalisti portano con sé. Accade così che L'attesa non venga apprezzato per i sorrentinismi (ma dove? ma quando?) o perché la Binoche è ancora una volta alle prese con l'elaborazione del lutto (come se fossero colpa del regista le scelte dell'attrice), che Equals venga deriso solo perché definibile come uno young adult distopico o che Beasts of No Nation venga descritto come televisivo (produce Netflix e a Fukunaga non si perdona il successo della prima stagione di True Detective).

 

Incomprensioni

I giudizi divergenti sono frutto del gioco dei festival. Un film può spaccare ma non deve essere frainteso nelle sue intenzioni. Accade così che qualcuno non capisca la satira di Pecore in erba, che pesi la filosofia buddhista di Heart of a Dog o le sue frasi da Baci Perugina, che si fraintenda il processo induttivo di The Endless River (dimostrando di non conoscere il regista), che non si analizzi la struttura da dramma lirico di Marguerite spacciandola per commedia, che si gridi al capolavoro per Non essere cattivo solo perché il regista è morto (il finale è tipicamente da fiction) o che si premi The Childhood of a Leader, opera complessa ma troppo ambiziosa nella struttura (con i suoi finali multipli) che la rende incomprensibile.

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Banalità sconcertante

Insieme a tanta qualità, Venezia ha presentato anche una serie di titoli che nella loro banalità hanno confuso la critica facendo gridare al capolavoro. Si veda ad esempio Anomalisa, storia talmente scontata da sembrare vista e rivista all'infinito. Però, firma Kaufman ed è in stop motion, quindi capolavoro sulla carta. Idem per Rabin, the Last Day di Gitai: un documentario talmente celebrativo da sfiorare la propaganda vecchio stampo (come se Rabin fosse stato un santo in vita); o per il greco Interruption, l'ennesima riflessione su quanto arte e vita siano inestricabili; o per il documentario Janis (è il dramma dei doc sui cantanti, visto uno li hai visti tutti). Per fortuna, poi, c'è anche la banalità non spacciata per capolavoro: Everest e Taj Mahal su tutti.

Alba Rohrwacher

Taj Mahal (2015): Alba Rohrwacher

 

Atteggiamenti divistici e fobia delle macchine fotografiche

Venezia permette agli adetti ai lavori incontri ravvicinati con registi, attorie e attrici provenienti da ogni latitudine. Alla disponibilità di molti (vedasi l'esempio Tilda Swinton, che ha fatto foto e autografi con tutti coloro che la attendevano fino alla darsena) si contrappongono però gli atteggiamenti di chi da divo rifugge tutto e tutti. L'elenco potrebbe essere lungo ma il premio antipatia lo conquistano ex aequo il cast di Arianna e la bella Stacy Martin (che fa rispondere la sua assistente, non degnando l'interlocutore nemmeno di uno sguardo). Diversa invece la situazione dell'attrice italiana, di cui non facciamo il nome, onnipresente a Venezia: la timidezza di fronte alla macchina fotografica delle persone e il suo eterno nascondersi rasentano quasi la fobia.

 

Problemi organizzativi

La Biennale ha indubbiamenti alcuni problemi organizzativi di non poco conto. A partire dal più banale - che fine ha fatto il casellario che tanto piace ai giornalisti vecchio stampo e che faceva collezionare gadget di varia misura e natura? - per passare ai più seri: perché non testare prima dell'inizio della rassegna gli ascensori per disabili? Perché non abolire l'orribile spot trasmesso costantemente prima delle proiezioni delle Giornate degli Autori? A che servono i mille controlli ai pass che monitorano gli ingressi in sala se ogni pass dà accesso a 350 proiezioni, umanamente impossibili da sfruttare in 10 giorni? A chi giovano i duplici e talvolta triplici controlli all'ingresso dello spazio transennato e il continuo soffermarsi sulle foto in maniera maniacale? Che, poi, perché non si cambiano le foto di cinquant'anni fa che gli accreditati oramai moribondi portano ancora al collo?

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Detrattori

I detrattori della line up del festival di Venezia, quelli che tre mesi fa si lamentavano di non trovare grandi nomi, dovrebbero fare mea culpa. Dimostrandosi più attenti alla firma dell'autore che alla qualità del contenuto, dovrebbero riconoscere di avere avuto un po' troppa fretta nel giudicare la rassegna. La stessa superficialità e voglia di denigrazione appartiene poi a una piccola (per fortuna) schiera di utenti che su WhatsApp lamentava la tanta attenzione che FilmTv.it riserva a Venezia. Lo si è fatto ogni anno e lo si fa per quasi tutti i festival italiani, che inviato vi sia Spaggy o no, memori dell'interesse che i post suscitano. Nei quindici giorni di resoconto veneziano, su 2035 post consultati le letture riservate a Venezia 2015 hanno raggiunto una percentuale cumulativa del 12,40%, dato elevatissimo che si traduce in numeri a 4 cifre. Senza contare le letture delle recensioni.

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Alberto Barbera

Le scelte di Barbera per la 72ma mostra sembravano incomprensibili. Le visioni, però, gli hanno dato ragione, considerando che quasi tutti i film del concorso stanno facendo il giro del mondo di festival in festival (dal Toronto al San Sebastian, passando per il London e il Busan Film Festival). Plauso quindi alle sue decisioni e alla volontà di fare da direttore artistico per un altro anno ancora.

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