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Incontro esclusivo con Massimo Zamboni - "Il nemico - Un breviario partigiano"
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Questa non è una intervista ma il racconto di un incontro, che per quanto mi riguarda mi ha solamente arricchita.

Conosco il lavoro di Massimo Zamboni da oltre trent'anni. Ne avevo 15 quando un compagno di scuola - tipo la famosa scena de “Il tempo delle mele - mi inforcò alle orecchie le cuffiette di un walkman tipico degli anni '80. La canzone che sentii rapita era “Tu menti” dei CCCP.

Dopo i CCCP ci furono i CSI che mi hanno accompagnata per i vent'anni seguenti (nonostante il loro scioglimento avvenuto nel 2001), fondatore di questi due gruppi storici -insieme al cantante Giovanni Lindo Ferretti - è Massimo Zamboni, autore di tutte le musiche e chitarrista del gruppo.

Oggi Zamboni, dopo 15 anni, ritorna con i POST-CSI (ancora insieme: Giorgio Canali-chitarra, Gianni Maroccolo-basso, Francesco Magnelli-tastiere, Simone Filippi-batteria e Angela Baraldi alla voce) e con loro collabora per un progetto intimo e molto interessante. “L'eco di uno sparo” il romanzo di Massimo Zamboni; “Breviario Partigiano” il cd e “Il nemico-Un breviario partigiano” il documentario di Federico Spinetti, sono uniti da un unico filo, che parte da una storia privata e personale (quella dello stesso Zamboni), per arrivare ad una riflessione più completa e ad una comprensione reale di quello che è il valore della resistenza oggi (quest'anno ricorrevano i settant'anni della liberazione dal nazifascismo) e dei nostri “nemici più intimi”.

locandina

Il Nemico - Un breviario partigiano (2015): locandina

Anche io ho fatto “pace” con Ferretti e Zamboni da qualche anno. La delusione per la loro separazione fu tale che per anni non volli saperne più nulla. La musica è però più potente di qualsiasi “rancore” e, grazie ai bellissimi lavori di Zamboni da solista, ho riscoperto una parte (di me) che mi mancava. Oggi torno con piacere a sentire Zamboni suonare dal vivo, sia con i POST-CSI che da solista o attraverso i concerti di Nada che è l'interprete di alcune sue canzoni che preferisco.

Ero preparata alla musica dei CSI, conoscevo la sua potenza emotiva nei miei confronti. Non sapevo che altrettanto forte sarebbe stato l'impatto con il documentario di Federico Spinetti “Il nemico-Un breviario partigiano”. Ho incontrato Massimo Zamboni ad un concerto dei POST-CSI, così non mi sono trattenuta e ho chiesto a Massimo se aveva voglia di parlare un po' con me di questo interessante e bel lavoro. La cosa che non potrò condividere con chi leggerà questo post è il piacere di sentire mescolare i nostri dialetti molto spiccati: lui decisamente emiliano, io senza ombra di dubbio toscana. Questo aspetto ha reso - almeno per me - il primo impatto un vero incontro, e questa sensazione mi ha accompagnata anche durante la telefonata che poi è seguita e che riporto qui per gli amici del sito.

Tutto è partito da un “semplice racconto”, un ricordo personale - legato alla scoperta della storia di tuo nonno fascista-repubblicano, ucciso dai partigiani - che poi è diventato un libro, in seguito un cd musicale e infine un documentario... Com'è cominciato il progetto? Sapevi già che sarebbe diventato così grande?

Ho incontrato Federico Spinetti, che oltre ad essere un regista è anche un musicologo.

In quel momento si trovava in Canada e stava facendo una ricerca sulla resistenza italiana. Era un progetto legato al mio territorio - io sto nel comune di Reggio - che coinvolgeva altri scrittori e persone. Abbiamo fatto una lunga e interessante chiacchierata, passato un pomeriggio insieme. In seguito le attenzioni si sono poste sulla mia persona e la mia storia. Per me non è stato semplice questa esibizione-esposizione, non è nel mio carattere.

Infatti, però ti ho visto molto spontaneo e partecipe...

Sì, ci siamo fidati gli uni degli altri, tutto è avvenuto in maniera molto partecipata. Oltre tutto c'è stato l'episodio dell'arrivo del pacco con i dischi dei CCCP, che è stato ripreso tutto senza averlo previsto. Ero veramente emozionato.

L'emozione si percepisce soprattutto quando - sempre dal documentario - si vede che scartabellando tra i documenti trovi uno scritto di tuo nonno paterno che prende le difese di quello materno ucciso e chiede giustizia. I tuoi nonni si conoscevano ed erano entrambi fascisti.

Sì, anche quella è stata una ripresa autentica. Ero lì che cercavo veramente cose e documenti, ed è saltata fuori questa lettera. Beh..è stato un vero colpo. Non so se fossero amici ma sicuramente si conoscevano, e la pensavano nella stessa maniera.

Quindi un documentario nel vero senso della parola...anche quando levi il post-it dalla prima foto ufficiale dei CSI, scoprendo finalmente il tuo volto e “ritornando nel gruppo”? Anche quello è avvenuto in maniera spontanea?

Beh...quello è stato un colpo di scena che è venuto bene davanti alla macchina da presa (si ride). In verità nella testa avevo già fatto pace con il gruppo e i suoi componenti. Levare il post-it dalla foto è stato un gesto “plateale” che mi sono tenuto per la scena, ma avevo già fatto pace con loro ed ero finalmente pronto ad andare avanti.

E' un po' questo il punto del progetto di Breviario? Comprendere e far pace con i propri “nemici”?

Direi proprio di sì. Dopo molta sofferenza c'è la voglia di comprendere le nostre pulsioni, di mettere ordine e ripartire. Partire dalle nostre storie per comprendere chi siamo veramente.

Massimo Zamboni, Francesco Magnelli

Il Nemico - Un breviario partigiano (2015): Massimo Zamboni, Francesco Magnelli

Nella seconda parte del documentario ci sei tu con i POST-CSI. Era previsto il coinvolgimento del gruppo nel progetto?

L'idea di “Breviario” mi è nata almeno 3 anni prima. Dopo un concerto a Torino, avevo in testa la frase 'Breviario partigiano nessun fucile in mano, la solida innocenza per viaggiare contromano. Breviario partigiano, nessun fucile in mano, la solita incoerenza che ci porterà lontano'. Ero in macchina che tornavo a casa e mi giravano queste frasi, non mi lasciavano. Dovevo capire che verità nascosta c'era dietro a quelle parole. Volevo arrivarci e dopo del tempo ho portato questo progetto ai CSI, con i quali avevo già affrontato le tematiche della resistenza in passato.

Com'è stato tornare a comporre con i CSI? Dalle immagini non sembra sia stata una cosa semplice.

Non è stato semplice per niente. Questa volta sono arrivato dal gruppo e avevo già delle canzoni pronte e complete, mentre solitamente in passato ci trovavamo a comporre partendo da zero, ognuno metteva del suo. Siamo perciò partiti dal mio lavoro e abbiamo sviscerato, ricomposto, rimesso e smontato, con non poche discussioni.

Dal film si vedono soprattutto le divergenze che hai con Giorgio Canali proprio sul tema del valore della resistenza oggi, sul festeggiare o meno il 25 aprile.

Sì, siamo su piani completamente opposti direi. E' stato difficile arrivare ad un risultato, ma ce l'abbiamo fatta. Conosco i CSI, avevamo voglia di arrivare ad un risultato. Ho confidato su questo.(A ragione, penso io)

Giorgio Canali

Il Nemico - Un breviario partigiano (2015): Giorgio Canali

E dal pubblico di oggi che risposte avete? Pensi che comprendano il senso di Breviario? O sia solo un pubblico di affezionati e fan? E' difficile parlare di resistenza oggi?

No, credo che ci sia una sincera onestà e voglia di comprendere da parte del pubblico. Ritrovarsi con i CSI è stata una cosa successa oggi, per convergenze di cose, non so domani se ci saremo ancora... non lo so davvero. Non penso che sia difficile parlare di resistenza oggi. Vedi? Se si vuole trovare a tutti i costi un torto e una ragione, un vero e un falso...allora si complica tutto. E' difficile quando si vuole trovare la perfezione dell'azione pura. Gli oppressi sono tanti, gli oppressori sono pochi. Bisogna rispondere a loro, agli oppressi, guardandoli negli occhi.

Come la canzone? (mi sto emozionando lo confesso)

Esattamente. Non è casuale il titolo di quella canzone.

Sempre dal film, mostri infatti proprio le foto sulle lapidi dei caduti partigiani di Reggio, è loro che guardi negli occhi?

Sì, è a loro che si devono delle risposte.

Oggi oltre che un musicista sei anche uno scrittore, hai mai pensato di scrivere per il cinema?

Ci ho pensato, e ho anche qualche progetto pronto... ma mi è mancato il tempo materiale per ora...e per il cinema ci vuole molto tempo. Con la scrittura ho trovato la mia strada. Scrivere mi ha aiutato a trovare le coordinate giuste, mi ha obbligato a fare i conti con un punto di arrivo.

Più che con la musica?

Beh sì. La scrittura mi ha adottato. La musica è più sfuggente, mentre le parole sono dirette e impongono una ricerca. Le parole vanno ponderate una a una, non possono essere casuali, ognuna ha un suo peso e una valenza... una consapevolezza.

L'eco di uno sparo” è il romanzo che narra la vicenda della morte di tuo nonno fascista ucciso dai partigiani. Mentre vedevo il documentario, riflettevo che io in verità non so nulla del passato dei miei nonni... come la pensavano, che idee avevano.

Troppo spesso capita di studiare la storia, con date e nomi. Di andare a visitare le lapidi a ricordo degli eccidi (cosa sacrosanta), ma se si riflette bene non si conosce chi siamo veramente, qual'è la nostra storia. In casa mia la vicenda di mio nonno era tabù, non si parlava mai di questa cosa. Sono dovuto andare a riprendere storie personali molto lontane ma sconosciute... per questo ho dedicato il libro a tutti gli sconosciuti.

La mia chiacchierata telefonica non si conclude qui... altre cose ci siamo detti, e forse è uscita la mia parte di fan che ho davvero stentato a far emergere per tutto il tempo. Per questo mi terrò le ultime cose dette solo per me. Credo di aver ringraziato Massimo Zamboni in privato un centinaio di volte, oggi lo faccio pubblicamente. Una persona disponibile e gentile, che mi ha fatto comprendere alcune cose di me; in passato con la musica, oggi anche con pensieri, parole e molte emozioni.

Lascio questo post con lo scritto “Ventinove febbraio”, tutto è partito da qui, e ancora percepiamo l'eco dello sparo...ognuno il suo.

L'ultimo giorno di febbraio dell'anno bisestile 1944, lungo quella che ora è una strada di elevata percorrenza ed era allora poco più di uno stradello aperto tra le campagne emiliane che non è difficile immaginare spoglie nel periodo e bene amministrate, abbondanti di olmi, di gelsi, di filari in attesa del disgelo, di aceri campestri, di pioppi, di qualche noce spettacolare; di quegli stradelli affiancati da una canaletta d'acqua di regime piena di vita naturale, alle ore 17.45, dunque ancora in luminosità piena, ma in buio di testimoni -ché a quell'ora si apprestano a mungere nelle stalle - ammazzano un uomo di quarantanove anni.

Gli sparano in tre; da dietro; in corsa.

Due proiettili scompaiono nella schiena, due nella regione addominale di sinistra.

L'uomo rientrava dalla città, e non è difficile pensarlo con la camicia, le bretelle, i pantaloni scuri con la cintola serrata sopra l'ombelico.

“Sicari”, li chiamano i giornali gli sparatori. E' “agguato” il loro procedimento.

L'uomo cade fulminato dalla bicicletta, una di quelle biciclette padane che appaiono nere, pesanti, con le gomme larghe per vincere la ghiaia. L'uomo cade sorpreso e assieme fulminato; e mentre il fratello più giovane sulla bicicletta a fianco si rivolta con la pistola e cerca di infilare gli assaltatori, il suo colpo si inceppa e quelli hanno modo facile di sfuggire, attraverso gli stradelli laterali.

Sempre di quelle nere, le loro biciclette. Sempre pesanti.

Mentre questo accade, e la ruota posteriore gira per aria e poi rallenta, e il silenzio dell'inverno sui campi smorza i fatti degli uomini, esattamente quando questo accade, io perdo mio nonno.

Le cronache degli uomini insegnano come si onorasse dei titoli di Squadrista, Fascista Repubblicano, Sciarpa Littoria, Marcia su Roma, segretario politico di parecchi Fasci della provincia. “Fedele fino alla morte”, scrivono. E indicano nei GAP gli sparatori.

Ho imparato quell'uomo nella mancanza familiare, dalle rare foto più che dai discorsi assenti; e riconosco come la sua mancanza abbia avuto un riflesso profondo nella mia educazione, quindi nella vita. Due cose sole posseggo di lui: il nome, che porto come secondo; e una giacca di tessuto ruvido di lana, il nero orbace della divisa autarchica.

Non so niente di più. Prima di questo libro, niente di più.

Una cosa so ora, che non sapevo: ognuno che vive, è un dono quotidiano per qualcuno. Ogni nascita un regalo.

Un'altra cosa so: l'eco di uno sparo, non si quieta mai.

 

Tratto da Massimo Zamboni, 'L'eco di uno sparo'-2015, Giulio Einaudi Editori S.p.A Torino.

 

Grazie sempre a chi mi conosce bene e che  mi ha permesso di vedere "Il nemico - un breviario partigiano" in tempi non sospetti.

 

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