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OLTRECONFINE SPECIALE CANNES: GIORNO 10 – I PREMI DEL CERTAIN REGARD – ULTIMO CONCITATO GIORNO A CANNES: 6 FILM TRA CUI L'ITALIANO CHE CI PARLA DELL'AMERICA, IL RIUSCITO “THE OTHER SIDE” E IL GRANDISSIMO APICHATPONG WEERASETHAKUL ED I SUOI FANTASMI
di alan smithee ultimo aggiornamento
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Siamo agli sgoccioli di un festival pieno di grandi nomi e di autori stimati e preziosi: forse di una rassegna che, per quanto attiene al Concorso, si è rivelata di minore intensità qualitativa rispetto allo scorso anno. Intanto, dopo Paulina che si è visto aggiudicare meritatamente il premio della sezione Semaine del la Critique,  la giuria del Certain Regard, presieduta da Isabella Rossellini, si è espressa col seguente verdetto:

NEWSLETTER # 22 - 23 MAI
FESTIVAL J 11
Festival de Cannes
 
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Palmarès Un Certain Regard 2015

 

Un Certain Regard 2015 a proposé dans sa compétition 19 films venus de 21 pays différents. Quatre d’entre eux étaient des premiers films. Le film d’Ouverture était An de Naomi Kawase.
Présidé par Isabella Rossellini (cinéaste - Etats-Unis, Italie), le Jury était composé de Haifaa al-Mansour (réalisatrice - Arabie Saoudite), Panos H. Koutras (réalisateur - Grèce), Nadine Labaki (réalisatrice, actrice - Liban), et Tahar Rahim (acteur - France).

« Nous, membres du jury, aimerions remercier le Festival de Cannes pour nous avoir invités à faire partie du Jury Un Certain Regard.
L’expérience d’avoir visionné dix-neuf films, en provenance de vingt et un pays différents reste en notre mémoire. Nous avons eu l’impression de prendre un avion et de survoler notre planète et ses habitants… N’importe quel anthropologiste nous envierait.
Nous aimerions remercier tout particulièrement Thierry Frémaux et son équipe pour leur incroyable gentillesse.
Je ne peux m’empêcher d’exprimer personnellement ma gratitude envers le Festival pour avoir choisi ma mère Ingrid Bergman pour l’affiche du 68e Festival de Cannes.
Mamma plane au-dessus de nous tous, réalisateurs et cinéphiles, tel un ange gardien.
Merci. 
»
Isabella Rossellini

PRIX UN CERTAIN REGARD
HRÚTAR(Béliers / Rams) de Grímur Hákonarson

PRIX DU JURY
ZVIZDAN(Soleil de plomb / The High Sun) de Dalibor Matani?

PRIX DE LA MISE EN SCENE
Kiyoshi Kurosawa pour KISHIBE NO TABI(Vers l’autre rive / Journey to the Shore)

PRIX UN CERTAIN TALENT
COMOARA(Le Trésor / Treasure) de Corneliu Porumboiu

PRIX DE L’AVENIR
MASAAN de Neeraj Ghaywan
Ex aequo 
NAHID d’Ida Panahandeh

 

Per quel che attiene il concorso riassumo la pagella completa che raggruppa tutti i giudizi della critica di (quasi) tutti i film delle due principali rassegne:

 

La mia ultima giornata a Cannes inizia al mattino alle 9 e si protrae per tutto il giorno tra la sala La Licorne e le Théatre Le Raimu, entrambi riservati ai cosiddetti “Cinephiles”: una giornata concitata composta da ben 6 film visti, quasi tutti belli od interessanti: un bel numero che mi avvicina ai ritmi frenetici tipici del TFF.

Roberto Minervini, quarto asso di un poker italiano inconsueto a Cannes per numero ma non certo per qualità, è l'italiano che ci racconta l'America buia, ignorante e ferina della grande periferia.

Dopo il successo di critica de Ferma il tuo cuore in affanno del 2013, presentato pure lui a Cannes, Minervini, presente a Un Certain Regard, prosegue con THE OTHER SIDE (Louisiana da noi), nella sua efficace narrazione frutto di una commistione tra documentario e fiction, per raccontarci della immensa periferia, o parte di essa: quella dei diseredati, dei tossicodipendenti, degli spacciatori, dei gruppi di balordi guerrafondai e amanti delle armi che si radunano per giocare alla guerra e, col pretesto di difendersi, inneggiano ad atteggiamenti ed azioni belliche che si inseriscono nella triste schiera del fanatismo non molto differente per stile e pericolosità a certe frange estremiste mediorientali, quelle che loro intendono combattere, da cui vogliono difendersi, finendo tristemente e con sconcerto per assumerne i comportamenti e le sembianze.

L'America dei grandi spazi che si perde nell'angusto territorio dell'ignoranza e della rassegnazione, dell'oblio a cui sono destinati vecchi rancorosi veterani che da eroi si sono ritrovati ad essere un peso morto per la società.

Il film, che non può essere semplicemente classificato come un documentario, avendo una sceneggiatura e dialoghi neppure troppo frammentari, e pure attori efficaci, pur se probabilmente presi dall'ambiente di cui si vuole parlare, non si ferma dinanzi a facili pudori e mette letteralmente a nudo un suo protagonista spacciatore, rendendolo l'occhio che ci illustra una deriva esistenziale che ricorda, per efficacia e stile, il cinema realistico e disarmante, potente e mirabile, dell'indipendente Jon Jost.

The other side - tra una carrellata sulle grandi distese e boschi immensi e abbandonati, tra i neon di locali equivoci dove spogliarelliste incinta ti aprono i loro pertugi segreti per farcisi infilare qualche pezzo da 5 dollari, tra roulotte arrugginite che diventano case di tutta una vita di improvvisazione giorno per giorno – diviene il baluardo devastante di una parte degli States che non può essere esposta ad immagine e simbolo della libertà e dei benefici dell'intraprendenza occidentale.

The other side, con le sue inquadrature potenti e anche ricercate, ma mai fini a se stesse, è un film tosto che affonda le radici nel cuore del problema e, pur senza volersi schierare né tanto meno avere l'ardire di formulare soluzioni, denuncia un malessere sempre più diffuso, una insofferenza che unita all'ignoranza e all'esaltazione da branco, può sfociare e sfocia in atti e situazioni di intolleranza e violenza inauditi.

VOTO ***1/2

Corneliu Porumboiu è uno dei più affermati registi romeni attualmente in attività. Il suo THE TREASURE, presentato a Un Certain Regard, è un film ottimo ed incalzante, una favola moderna che vede un padre affettuoso e partecipe nella vita del figlio, un genitore che si prodiga a raccontare e leggere storie e favole al suo figlioletto, coinvolto da un vicino di casa con grossi problemi finanziari, in una improbabile caccia al tesoro presso un vecchio casolare periferico.

Quando il vicino chiede aiuto al protagonista, e questi non riesce ad esaudire le sue richieste, l'uomo gli rivela che un suo antenato nascose, interrandolo in giardino, un ingente tesoro per salvaguardarlo dalla dominazione comunista. Chiede pertanto aiuto al vicino per riuscire a pagarsi un metal detector in grado di sondare la superficie del giardino ed iniziare le operazioni di scavo, promettendo al vicino la metà del bottino trovato.

Il film procede, ironico e a tratti pure scanzonato, in quella che diventa una folle ossessione, non molto dissimile alla visione infantile del figlio del protagonista, che immagina già il padre alle prese con forzieri e dobloni d'oro, cascte di diamanti e di collane di madreperla.

E il tesoro? Non voglio anticipare troppo, ma ci sarà un tesoro, e pure un finale geniale con cui il protagonista dimostrerà, nella sua apparente ingenuità, che il suo ruolo di padre ed educatore viene prima di ogni altro mestiere o responsabilità. The Treasure è davvero una bella sorpresa qui al Festival, che non fa che confermare le già positive considerazioni nei riguardi di un regista davvero dotato e da seguire. Il premio ricevuto dalla Giuria, “Un Certain Talent”, è appropriato e fin troppo esiguo per il suo bel film, profondo e dal finale sferzante ed a sorpresa.

VOTO ****

Da La Licorne, ove proietterebbero fuori concorso Le petit Prince in animazione, faavola che (orrore!) non mi è mai piaciuta e mi ha sempre inquietato, taglio temporaneamente la corda e, necessariamente automunito, mi trasferisco, lungo la zona periferica immensa che cinge l'entroterra di Cannes La Bocca, verso il teatro Le Raimu, una saletta da soli 200 posti che accoglie la proiezione di un film della Quinzaine di cui ho sentito parlare piuttosto bene. DOPE, di Rick Famuyiwa, interpretato dal quasi esordiente bravo e bello Shameik Moore e da Toni Revolori, il cameriere dalla faccia comicamente sfigata protagonista di Grand Hotel Budapest, è una storia tutta ritmo hip hop anni '90 (la vera passione del protagonista) che segna il passaggio dall'inquieto inaccettabile, tragicomico anonimato da parte di uno studente intelligente e dotato, ma considerato un nerd, a quello di un pusher vero e proprio, quando, invitato per caso ad una festa tosta da parte di un capo gang che lo ha preso in simpatia accettando la sua servile sottomessa disponibilità, il ragazzo si ritrova nello zaino una ingente quantità di droga in polvere e la necessità di portare avanti e creare un commercio su vasta scala ed on line in stile Amazon.

Divertente, tutto ritmo ed adrenalina, ma non meno inquietante, il film, forse un po' troppo lungo con le sue storie a corollario troppo dispersive e i suoi eccessivi personaggi secondari, regge bene un ritmo indiavolato e trova la sua forza nella validità di un gruppo di interpreti efficaci e perfettamente in parte.

Un nuovo ritratto di un'America, anzi di una Los Angeles dei sobborghi immensi che necessita di cani antidroga all'ingresso da scuola e in cui se vuoi risultare tosto ed essere considerato, devi scendere a patti con il tentacolare mondo dell'illegalità e dimostrare di saperlo dominare e cavalcare con la giusta disinvoltura.

VOTO ***

Tratto dalla commistione di due romanzi di uno scrittore indiano di nome Waryam Singh Sandhu, THE FOURTH DIRECTION, che dà il titolo al film e I'm feeling fine now, il film è ambientato nella regione attorno a Punjab nel 1984: un territorio teatro di una rivolta che oppone le forze governative a quelle eversive di stampo terroristico, finendo per sacrificare o almeno condizionare gravemente la vita degli innocenti che vivono da sempre attorno a quelle zone. La vicenda, dopo un inizio non molto chiaro di una fuga in treno, si concentra dalla parte di una famiglia di contadini ed allevatori che si vedono costretti a serrarsi all'interno dei loro possedimenti, per non dare adito alla polizia di collaborare con gli eversivi, e cercando pure di salvaguardarsi dalle azioni scellerate e violente di questi ultimi.

La famiglia, di stampo patriarcale, si identifica nella figura di un capo famiglia che cerca, come un chioccia, di proteggere tutto il resto della comunità. Un grosso ed affettuoso, ma ingombrante e sbraitante cagnone di famiglia, finisce per costituire un problema per il suo forte temperamento che ostacola le operazioni di controllo della polizia ed intralcia e spaventa i rivoltosi nascosti tra la vegetazione. Come sempre quando scoppiano i conflitti, saranno gli innocenti a rimetterci sopra ogni altra parte, e la violenza disegnerà il suo tratto doloroso e devastante nei visi di donne e bambini innocenti che guardano e non capiscono le ragioni di tutto questo inutile sfogo ed impeto di brutalità assassina.

Il film, in rassegna a Un Certain regard, risulta interessante ma male o poco comprensibilmente assemblato, e vira troppo presto, dopo un iniziale affresco della situazione drammatica di quei posti, a svilirsi in una storia privata che ha il solo pregio di illustrare modi di vita e civiltà a noi lontane, ma sviando un po' troppo bruscamente il discorso e senza riuscire nel finale a riprendere le redini di un discorso ben più generalizzato e dai risvolti storici complessi.

VOTO **1/2

E' dunque il momento di un grandissimo regista: Apichatpong Weerasethakul, quello della Palma D'Oro per Zio Bonmee, che torna a Cannes ospitato nella sezione Un Certain Regard col suo ultimo CEMETERY OF SPLENDOUR. Il gran regista tahilandese ci conduce all'interno di un ospedale da campo costruito, o meglio adattato da una scuola abbandonata per ricoverare una serie di soldati, afflitti da una misteriosa malattia del sonno che li costringe privi di sensi per gran parte del giorno.

Una piccola e storpia anziana signora, moglie di un soldato americano in pensione, si offre di accudirli durante il suo tempo libero, affezionandosi in particolare ad uno di essi che lei giudica molto ttraente, pargonandolo al Clark Kent di Superman, e che non riceve mai visite da nessuno. Coadiuvata da una medium accorsa sul posto per cercare di capire se ci sono ragioni intrinseche a questa malattia davvero molto strana e inspiegabile, la donna viene anche in contatto con i fantasmi di un cimitero che alcuni lavori in corso ed una ruspa stanno esumando involontariamente.

Sospeso tra i misteri della vita terrena e di quella trascendentale, il cinema di Weerasethakul è un concentrato di enigmi e situazioni che spaziano dalla contemplazione alla considerazione della propria anima, del proprio intimo messo a nudo nel cercare di aprirsi ai misteri che ci circondano e per trovare pace e tranquillità quando anche il fisico inizia a continua a non rispondere a dovere ai richiami della salute. Ecco allora che i fantasmi benigni di vite precedenti sopraggiungono a darci sollievo allientando, tra tubi fosforescenti e cangianti di colore, le menti tormentate in un sonno benefico e misterioso a cui forse anela anche la nostra sventurata e storpia protagonista, vittima di sofferenze indicibili e tormentata anche durante le sue scarse ore di sonno.

Un cinema mistico e intimo che risulta spiazzante, impegnativo, indecifrabile, ma anche estremamente affascinante se ci si lascia prendere dalla contemplazione e dalle lunghe riprese potenti e in qualche modo estatiche del gran regista tahilandese.

VOTO ****

In Concorso, VALLEY OF LOVE è il mio ultimo film qui a Cannes. Due mostri sacri del cinema francese, Huppert & Depardieu, una d'una magrezza quasi preoccupante, l'altro all'opposto gonfio oltre ogni aspettativa; una location d'eccezione: la Valle della Morte, nel deserto del Nevada, uno dei luoghi più caldi e suggestivi al mondo, già teatro di ambientazioni cinematografiche d'eccezione (Zabriskie Point di Antonioni su tutti). Un figlio suicida fa in modo che una doppia lettera indirizzata ai genitori separati, entrambi attori famosi, sopraggiunga loro dopo sei mesi dalla morte e li inviti a recarsi un giorno prestabilito proprio nella Death Valley per avere la possibilità di rincontrare il suicida. Dubbi perplessità, rancori mai sopiti, ma soprattutto la speranza, inverosimile e assurda ma necessaria per potersi aggrappare ad uno spiraglio che riesca a lenire un dolore inaccettabile, fa in modo che i due trascorrano qualche giorno assieme tra il calore infermale di un luogo incredibile dalle atmosfere lunari e luciferine che si alternano ad una natura a tratti rigogliosa ed artificiale.

L'incontro in qualche modo ci sarà e lascerà ad entrambi le stigmate della speranza e dell'emozione di un abbraccio definitivo ma consolatorio e struggente.

Due attori “monstre” ed una location unica riescono a supplire le deficienze coscienti di una messa in scena che vuole mantenersi scarna ed essenziale. Il film riesce a toccare le corde dell'emozione nel suo epilogo mistico e blasfemo da di grande impatto.

Depardieu è immenso soprattutto fisicamente ma è interessante e curioso, forse sin tenero considerare come ciò non costituisca affatto un problema dell'attore che si concede in tutta la sua pingue debordante fisionomia sudando ed ansimando veramente. Il dolore di un padre che perde il figlio tra l'altro, è una tragica sensazione che l'attore ahimé conosce sin troppo bene e nel vederlo stanco ed accalorato, prima scettico poi emozionato dopo il tocco magico subito a seguito dell'incontro, non può non lasciarci qualcosa dentro, La Huppert è isterica ma più contenuta del solito e la sua sofferenza di madre devastata dal dolore ma anche capricciosa e volubile appare coerente e credibile, sin toccante.

Nicloux dirige per sottrazione e la sfida risulta forse un po' manierata, costruita a tavolino, ma di sicuro impatto scenico ed emotivo; ancor più se lo spettatore, come nel mio caso, ha avuto modo di visitare quei luoghi straordinari e scenografici.

VOTO ***1/2

 

 

 

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