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NON ENTRATE IN QUEL CAMPO DI GRANO. L'America rurale e il mito orrorifico dello spaventapasseri
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Pur non essendo un’icona fondamentale del genere – vampiri, zombi, licantropi, fantasmi, vanno sempre per la maggiore – lo spaventapasseri ben si presta a veicolo di orrore e perturbazione.

La caratteristica principale è il suo aspetto. Ricorda quello della mummia e in alcuni casi estremi anche quello di un morto vivente ed è strettamente collegato simbolicamente al mito del revenant. La fissità della maschera, i vestiti stracciati, l’interno inorganico di paglia e segatura completano il coté orrorifico dotando il “mostro dei campi di grano” di quella impersonalità inquietante che è la tipica facoltà della pediofobia, ovvero la paura per le bambole. Perturbazione che possiedono non solo le bambole, ma anche manichini, giocattoli o mostri dell’immaginario comune come Michael Myers, Jason e altri mascherati.

A connotarlo ulteriormente come icona horror è la sua appartenenza al mondo rurale, da cui deriva il manto ancestrale che lo avvolge di mistero e paure arcaiche. È noto come i popoli delle campagne ricorrano alla superstizione per scacciare il maligno, per ringraziare la natura, guarire, profetizzare e ovviamente propiziare i raccolti e la fertilità in generale. Se davvero volessimo rintracciare l’origine del racconto del terrore non dovremmo chiedere alla Radcliffe o alla Shelley né tantomeno a Poe o Lovecraft, ma al folklore contadino, alle leggende popolari e alle fiabe. Tant’è che la versione più antica della favola di Cappuccetto Rosso, depurata dalle morali di Perrault e dalle edulcorazioni dei Grimm, è un racconto breve, inquietante, cannibalico, pedofilo e senza speranza alcuna.

Il folklore popolare arriva da lontano, si perde nella notte dei tempi, in un altrieri che Bachtin direbbe epico, ormai perfettivamente distante dai nuovi ricettori e per questo preso a modello indubitabile. Le mostruosità che arrivano dalla campagna sono pregne di cultismo pagano sopravvissuto alla dittatura cristiana, nascono dalla terra, dalle bestie, dalla natura e dai suoi fenomeni; incarnano la lascivia di uomini e donne nati e vissuti a stretto contatto con il mondo animale e ne sono la rappresentazione libidica e anche ludibrica.

Il culto per il guardiano delle messi arriva dalla mitologia norrena, precisamente dalla zona dello Jutland, la Scandinavia meridionale e la Germania settentrionale – come drammatizzano molto bene in uno degli episodi più riusciti di Supernatural, “Scarecrow”, 2006). Senza entrare nel dettaglio: i popoli autoctoni di queste terre, adoravano dei come i Vanir, che viaggiavano su carri per benedire i campi. Questo conferma la natura stanziale ed indigena dei cultori, strettamente legati alla terra e alla fecondità, con tutto un sostrato culturale ben radicato nell’elemento terrico che va dal nazionalismo all’intolleranza per lo straniero.

Senza conoscere l’evoluzione, la fusione e la confusione di religione, superstizione ed immagine moderna dello spaventapasseri, si può ugualmente affermare che da quel lontano dio di fertilità sia derivata, dopo l’arrivo della cristianità, l’odierna figura del guardiano delle messi, lontano parente della divinità pagana, oggi ridicolizzato e depotenziato nella sua mise. Con l’abbigliamento povero e contadino, lo spaventapasseri si presenta così detronizzato davanti al nuovo dio cristiano. Che possa essere anche questo un motivo della sua rinascita come icona horror?

La cultura popolare non è stata poi così avara dello spaventapasseri. Innanzitutto, lo si trova in ogni cultura e latitudine con nomi diversi certo, a volte anche diversi da località a località – espantapájaros, espantalho, épouvantai, espantaocells in catalano, espantallo in galego, sperietoare de ciori in rumeno, scarecrow in inglese con le varianti locali come hay-man in Inghilterra, hodmedod nel Berkshire, murmet nel Devon e mommet nel Sussex, assùconapuzones in sardo, spagnaturi in calabrese, buatass in piemontese, spaventapàsser in milanese, tao-tao nelle Filippine, vogelscheuche in tedesco e vogelverschrikker in danese (vogel- sta per uccello) fino all’orang-orangan sawah indonesiano. In latino è il più pratico terriculum avium.

La sua radicata presenza in ogni cultura lo rende immagine universale del legame di un popolo con la sua terra oltre che simulacro di terrori ancestrali. In diversi paesi è infatti tradizione bruciare in un grosso falò un uomo di paglia, él veggión, il vecchione, per propiziare le messi. Siamo stati certamente più abituati a tremare con mummie, vampiri, uomini che diventano lupi o morti che tornano dall’oltretomba, ma anche lo spaventapasseri, loro strettissimo parente “ritornante”, gode di un certo utilizzo nella cultura popolare.

Lyman Frank Baum lo sceglie per esempio come uno dei personaggi del suo celebre Il meraviglioso Mago di Oz del 1900, dove l’uomo di paglia, sprovvisto ovviamente di cervello, ne chiede uno al potente mago. Mentre nel 1941 appare tra i cattivi di Gotham City lo Spaventapasseri Jonathan Crane, grande scienziato delle paure umane: grazie ai suoi potenti gas le fa emergere nelle sue vittime. Da un lato abbiamo così uno spaventapasseri simbolo di ignoranza (contadina?), buono, gentile e umile che vuole però entrare nella modernità; dall’altro invece abbiamo la traduzione criminale e terroristica della sua basilare funzione: fare paura.

Non c’è però traccia nella letteratura di settore di uno spaventapasseri assassino. Sembra sia materia prettamente cinematografica. Se escludiamo i racconti amatoriali che si possono trovare in rete o romanzi come Lo spaventapasseri (Bruno Morchio, Garzanti, 2013) e L’uomo di paglia (Michael Connelly, Piemme, 2009) in cui lo spauracchio non è reale e serve solo per arricchire simbolicamente la storia, oppure le numerose fiabe e libri per bambini, ci resta solo Spaventapasseri viventi, l’avventura numero 20 della serie “Piccoli Brividi” (Robert L. Stine, Mondadori, 1995).

È il cinema ad aver dato i natali a questa mostruosità. Lo spaventapasseri nasce quindi come immagine orrorifica nella modernità del novecento pur essendo icona arcaica del mondo contadino. Un altro aspetto interessante della sua epifania horror è l’America. È infatti il cinema americano ad aver attribuito allo spaventapasseri caratteristiche perturbanti. Non senza motivo. Se pensiamo all’America rurale, quella dei grandi campi di grano e di mais, la sonnolenta provincia dell’interno del paese, persa in se stessa, con i suoi ritmi, i suoi tempi, le sue tradizioni e le sue origini, tutto volto alla preservazione del passato, alla conservazione dell’immagine pioneristica dell’America bianca e protestante. Grandi fattorie, vasti campi seminati, pick-up, uomini in salopette di jeans, pannocchie in padella, acquavite, la canicola, il sudore, il fienile, la mietitrebbia e tutto il resto dell’iconografia agricola simile dopotutto a quella europea, sono l’architettura di un mondo visceralmente legato alla terra. Una terra che dà sostegno, una terra che va amata, lavorata, curata e nutrita. Un mondo custode di vecchi segreti e vecchie ritualità che ne perpetuano il futuro. Diversamente la rovina.

Ecco che l’immagine abbruttita dello spaventapasseri, non solo simboleggia il mondo povero e superstizioso che lotta per la sua sopravvivenza, ma simboleggia anche il ritorno puntuale di un rimosso, di uno spettro, di un orrore atavico creduto sepolto e custodito gelosamente dalla comunità contadina. È quello che succede per esempio nel primo film che adotta la maschera dello spaventapasseri come immagine horror, The Dark Night of the Scarecrow (1981) dove un gruppetto di redneck razzisti uccide un uomo di colore che per sfuggire al linciaggio si era messo al posto di uno spaventapasseri: crivellato di colpi, tornerà per vendicarsi.

 Se pensiamo invece all’esempio meglio riuscito dell’intero sottogenere, ovvero Jeepers Creepes (2001; 2003; 2015) la serie diretta da Victor Salva con il demone carnivoro, i tanti sottotesti sviscerabili vanno oltre la prima lettura di mostruosità arcaica del mondo contadino con le sue superstizioni e i suoi orrori e toccano temi come l’incesto, la crescita, l’omoerotismo – il Creeper del secondo episodio si lecca i baffi a guardare i ragazzi della squadra di football mezzi nudi – e le vicende hanno un respiro narrativo più vasto dell’episodizzazione del topos.

Dallo scult al cult, lo scarecrow killer movie modula di volta in volta temi cari alla cinematografia americana come la vendetta, uno scheletro nascosto, una concrezione di paure ataviche piuttosto che la vivificazione di una superstizione, di un angelo castratore qual è dopotutto il custode dei campi di grano. Insieme ai bigfoot/sasquatch/yeti e ai pagliacci assassini, lo spaventapasseri è tra le maschere preferite dall’horror di serie B, quello che paradossalmente è più vicino al retroterra culturale dei suoi fruitori di quanto lo siano le simbologie intellettuali del cinema di esportazione.

Purtroppo, la povertà di molte produzioni non rende onore a una figura che, di volta in volta comparabile con il demone, l’orco o l’uomo nero, porta con sé un corredo tematico di singolare fascino orrorifico e carnale di cui l’America rurale non sembra volersi liberare. Se facciamo caso, le grandi metropoli come Los Angeles e New York sono il territorio dei serial-killer, delle mafie, di vari criminali o di soggetti psicolabili spersonalizzati dalla grande Babele, mentre la quasi totalità dei film del terrore è ambientata in sonnolenti cittadine di provincia, magari comunità isolate, in cui il sostrato culturale derivato da tale isolamento addizionato ai ritmi della natura, all’incedere delle stagioni e all’influenza istintuale del mondo animale crea l’ambiente ideale per la concrezione mostruosa di un agente terrorifico.

L’America rurale, con il suo fascino e con le sue tare, è il ventre molle del paese, è la sua istintività. Non è solo la culla del pioniere e dell’uomo pratico dalla stretta di mano possente, ma anche il rovo intricato di segreti e bugie che affonda le radici nel passato violento e sanguinoso del paese stesso. È il grande irrisolto americano che Leslie Fiedler aveva sempre dimostrato nei suoi scritti e che ciclicamente torna a mietere le sue vittime per purificare la comunità colpevole. Lo spaventapasseri, tra le tante maschere, è la più strettamente collegata a questo passato, ma anche la meno utilizzata dal genere di appartenenza, soprattutto nella sua parte più autoriale. Ciò non cambia la sostanza: guardatevi bene dall’entrare in un campo di grano.

Filmografia.

1981 – The Dark Night of the Scarecrow

1988 – Scarecrows

1992 – Dark Harvest

1995 – Night of the Scarecrow

1996 – Psycho Scarecrow

2001 – Jeepers Creepers

2002 – ScarecrOw

2003 – Jeepers Creeper 2

2004 – ScarecrOw Slayer – Caccia a Scarecrow

2004 – ScarecrOw Gone Wild – Il Ritorno di Scarecrow

2004 – Dark Harvest

2004 – Dark Harvest 2: The Maize

2004 – Dark Harvest 3: Skarecrow

2006 – “Scarecrow” (Supernatural, episodio 1x11)

2007 – Hallowed Ground

2009 – The Messengers II: The Scarecrow

2011 – Husk

2013 – Scarecrow

2015 – Jeepers Creeper 3: Cathedral

 

Link utili:

//www.filmtv.it/playlist/682979/raccontare-il-terrore-ii-le-mostruosita

//www.filmtv.it/post/30914/kill-clown-kill-il-cinema-dei-pagliacci-assassini

 

 

Gallery.

Dark Harvest, 2004.

Jeepers Creepers, 2001.

The Dark Night of the Scarecrow, 1981.

Scarecrow, Supernatural, 2006.

Husk, 2011.

Scarecrow, 2013.

Scarecrow, 2002.

 

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