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Addio a Francesco Rosi
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Sembra ieri quando, entrato in aula per l'ennesima lezione sulla storia del cinema, nel giorno convenzionalmente dedicato alla visione della pellicola, l'assistente del prof, in un'aula al solito affollata all'inverosimile, disse: "Oggi vediamo un film sulla guerra... che non è un film di guerra. Buona Visione!". A metà frase buona parte del consesso (specie le ragazze), pensarono bene di abbandonare l'aula; alla fine della stessa frase, per i reduci, la curiosità era montata anzichennò.

I titoli di testa recitavano: UOMINI CONTRO... UN FILM DI FRANCESCO ROSI.

 

 

Cosa c'entra uno come Rosi, uno che (devo ammetterlo) avevo solo blandamente studiato su qualche manuale di storia del cinema per via dei suoi film denuncia, con un film bellico? La frase buttata lì dall'assistente pian piano ebbe un senso.

Il film mi apparve fin da subito come un atto di denuncia contro il sistema bellico, con il suo mix di sovversione, incertezza, paura, machismo, amor patrio, ma anche stupidità ed odio. Un atto di denuncia soprattutto personale. Un punto di vista indefesso, applicato all'argomento "guerra", parimenti (lo scoprii nei giorni successivi, quando, strabiliato da "Uomini Contro", andai a recuperare qualche VHS sui film di Rosi) era stato per il biografico "Il caso Mattei", nonché per "Salvatore Giuliano". Scoprii il film denuncia, che poi, di fatto, fu proprio Rosi a creare... 

Vidi poi, e fu una vera foglorazione, "Le mani sulla città".

Grande città del Sud, dialetto inconfondibile. Corruzione. E fino a qui, pensai, capirai che novità... Poi notai il modo di trattare l'argomento, lo stile. Laddove il regista mediocre avrebbe edulcorato, Rosi getta benzina. Il ribrezzo per una politica che difronte ai soldi perde la propria bandiera (siamo negli anni di Berlinguer e Almirante, mica di Scilipoti e Mastella!) anziché risultare qualunquistico porta ad una rassegnazione debilitante. Insomma, nessuno meglio di Rosi seppe dire, senza strombazzamenti né circonlocuzioni, che destra e sinistra, quando si tratta di certe torte, mangiano alla stessa maniera, mangiano tutto e divorano fino alla fine...

 

 

Lo stile di Francesco Rosi, schivo, diretto, formalmente asciutto e socialmente devastante, ma soprattutto tanto tanto coraggioso, era un esempio. Inimitabile e, forse per questo, inimitato.

"Le mani sulla città", oltre a rappresentare uno stile (anche di narrazione) inflessibile, fu anche la summa di un'idea. Pessimistica e rassegnata, ma non per questo meno efficace o noiosa. Prima dei titoli di coda (e non, come in altri film, prima di quelli di testa, quasi a mo' di lavata di mani), Rosi decide di piazzare una frase, una variazione sul tema classico "ogni riferimento è puramente casuale". Il genio di Francesco Rosi, nonché l'arguzia ed il coraggio degli sceneggiatori Enzo Provenzale, Enzo Forcella e soprattutto Raffaele La Capria (che con Rosi rischiò la pelle per anni al catasto ed all'ufficio tecnico di Napoli, ad indagare ed impicciarsi dei fattacci della città), trovarono una chiosa magistrale. Che dice tutto (per chi vuole capirla) e non dice niente (per chi avrebbe la voglia di occultarla). Prima dei titoli di coda la frase dice: “I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, autentica è invece la realtà sociale ed ambientale che li produce.Chapeau!

In più, anche il ricorso storico crociano è arguto, con quell'ultima scena, in fondo, non così dissimile da quella d'apertura. Quasi a dire che non cambia, né forse cambierà, mai nulla.

 

Da quel giorno, che sembra ieri, ma purtroppo non lo è, ho capito che un autore, quando ha talento, travalica i generi, piega alla sua maestria ogni cliché, fornisce nuova luce anche alle idee più ritrite. Da quel giorno ho capito che il talento di un autore può stare anche esclusivamente nel coraggio e nella caparbietà che risiedono nell'animo e nella coscienza di un uomo.

La recente morte di Francesco Rosi, a pochi giorni da quella di Pino Daniele, ha messo fine ad uno strano connubio che da quel giorno all'università, nell'altrettanto affollato autobus per il ritorno a casa, mi venne alla mente. Che non è applicabile solo alla realtà partenopea o campana, ma che purtroppo è trasversale e vive dappertutto.

"Napul' 'è mille culur'. Napul' è mill paure. [...]. Napul' è na carta sporca... E nisciuno se ne mport'... e ognun aspett' 'à ciort...

Francesco Rosi, che riposi in pace, a ciort (la sorte) non l'ha mai aspettata. Ma l'ha sempre sfidata. Sapeva che Napul (ma potremmo dire l'Italia degli ultimi decenni) è na carta sporca, e ha dimostrato che a lui importava cambiare le cose. In silenzio e con costanza. Come nel suo stile di autore autentico ed esemplare.
 
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