Espandi menu
cerca
Franco Piersanti, compositore e Maestro: l'intervista
di Database
post
creato il

L'autore

Database

Database

Iscritto dal 31 gennaio 2005 Vai al suo profilo
  • Seguaci 212
  • Post 227
  • Recensioni 8
  • Playlist 32
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

L’occasione per questa intervista nasce da una curiosità: l’aver saputo che a Milano, alla Civica Scuola di Musica Claudio Abbado, il compositore Franco Piersanti e lo storico e musicologo Sergio Miceli terranno, a partire dal prossimo gennaio 2015, un corso di musica per film pensato come un vero e proprio master di composizione di musica per il cinema: una specializzazione che prende dei musicisti, formati o in formazione, e li porta in un percorso di studio e crescita progressivo e concreto, al punto che al suo termine, nel saggio finale, gli allievi vedranno le loro composizioni eseguite dalla storica orchestra milanese dei Pomeriggi Musicali, molto amata e di grande tradizione.

Nascono molte domande. Cosa vuol dire scrivere per immagini? Come lavora un compositore quando il suo compito è mettere la propria musica al servizio di un film? E, soprattutto, come si insegna a farlo?

Ci risponde Franco Piersanti, compositore italiano che entra - per la vastità della sua produzione, per la qualità delle opere  a cui lavorato e per la fama che si è guadagnato - nel ristretto novero dei nomi più quotati tra quelli dei compositori italiani che hanno lavorato per il cinema e per il teatro degli ultimi decenni. Collaborando con autori come Moretti, Amelio, Von Trotta, Olmi, Crialese, Lucchetti e Bertolucci, vincendo per tre volte i David di Donatello (per il Ladro di bambini, Lamerica e Il caimano, con il quale ha vinto anche a Cannes), Piersanti - che vanta anche una lunga attività di docente -, non è solo tra i più accreditati in Italia a sostenere un corso di questo genere: per noi la sua presenza rappresenta anche l’occasione di indagare più a fondo nell’attività del compositore, nelle sue trasformazioni, nei suoi compiti e nelle sue libertà. Il tutto nel rapporto con le altre figure creative - il regista innanzitutto, ma anche il montatore - che concorrono a definire la forma e il carattere finale di un film.

 

Iniziamo dal silenzio. L’altra sera ho rivisto in tv Amour, di Haneke. Poco prima al cinema avevo visto l’ultimo dei film dei Dardenne. In entrambi i casi solo musica diegetica, e pure pochissima. Pensavo a questa intervista e mi chiedevo: ma cosa pensa un compositore di colonne sonore dei film senza musica? Gli viene voglia di mettercela? Se la immagina?

Sinceramente no. Non c’è un film privo di musiche che io abbia visto e che mi abbia fatto pensare che mi sarebbe piaciuto modificarlo e aggiungervi della musica. Del resto va anche detto che è proprio il silenzio il punto di partenza di un compositore: il film viene visto da noi in una versione ancora “sporca” con il sonoro in presa diretta, non lavorato, eppure questa è la condizione migliore per farsi “fecondare” dalle immagini. Alle volte è anche molto difficile pensare che ci sia una musica che parta e che si sviluppi in maniera estranea alla naturalezza di certi momenti del film. Ma poi bisogna tenere conto dello stile, della storia, del tipo di musica che si concepisce… È l’aspetto più delicato e soggettivo, questo, sia per il regista sia per il compositore. Io sono più per l’asciuttezza: è per una sorta di pudore e per il timore di apparire retorico.

Mi sono fatto l'idea che i suoi riferimenti siano molto alti, molto nobili. Che si tratti di orchestrare o di usare piccoli ensemble mi pare di leggere tra le righe tanta musica del primo Novecento, con un gusto speciale per la ricerca timbrica. È così? Quali sono i suoi riferimenti, le pietre miliari dei suoi ascolti?

Tanti, troppi per essere citati. Bisogna anche dire che, nonostante scrivere musica per il cinema sia un bellissimo lavoro, io mi sento compositore tout court e quindi come tale mi sono sempre mosso alla ricerca di una mia voce personale. Questa si costruisce nel tempo, con l’ascolto e con lo studio, anche se è certo che tanta musica colta del Novecento sia rimasta in me come una guida. Ma quando si comincia a scrivere, a lavorare sulla propria espressività, tutto si modifica lentamente. Le mie predilezioni… dovrei dire Britten, Stravinsky, Prokofiev ma anche altri musicisti contemporanei. Poi, sa, va anche detto che quando scrivo musica non la penso vincolata al suo uso nei film, anzi: a volte è anche lontana dalle immagini.

La mia è musica che nasce dalla suggestioni del film, ma le travalica e va ben oltre ai suoi bisogni. È solo dopo che la declino alle esigenze emotive e dinamiche del film.

 

Ma quindi, entrando anche nello specifico di questo corso che inizierà a gennaio, cosa insegna agli aspiranti compositori al di là degli aspetti tecnici, al di là delle tecniche di scrittura e di orchestrazione? Quale l’approccio alla composizione che insegna e consiglia?

Fondamentalmente a pensare innanzitutto alla musica. Scrivere per le immagini ha sicuramente a che fare con un talento, che può esistere o no. La fusione tra immagini e musica è sempre magica e alle volte musicisti che non hanno mai realizzato colonne sonore producono risultati efficaci. Si può provare a teorizzare un comportamento e a identificare atteggiamenti che aiutino nel compito. Poi c’è l’analisi, che ovviamente si basa anche su conoscenza storiche, rivolte a identificare cosa valga la pena di apprendere e conservare. Tutto questo viene insegnato nel corso. Ma il momento centrale - quello della creazione - è qualcosa che ha una gestione estremamente privata e personale e verso la quale ho molto rispetto.

Quindi il suo metodo prevede un lavoro basato in qualche modo sul “lasciarsi attraversare” dalle immagini anziché scrivere “sopra ad esse”?

Assolutamente. Del resto bisogna anche conto tener del fatto che le scelte sono sempre del tutto soggettive: se si desse la stessa scena a musicisti diversi ne uscirebbero ipotesi completamente differenti. 

Questo non presuppone però una grande libertà del compositore? Come si fa se ci sono autori e registi che chiedono una certa musica, un certo mood, esplicitando dei paletti molto precisi? Le è sempre stato possibile usare questo metodo di lavoro che mette la creatività personale del musicista al centro della sua ispirazione?

Un regista può avanzare richieste molto precise o lasciare molta libertà, oppure può essere anche in grado di provocare delle possibilità da percorrere. La maniera migliore è quella di non partire mai con il dare tutto per scontato, pensando che ci si troverà davanti a qualcuno che ha comunque e sempre l’ultima parola. I rapporti in realtà devono sempre essere dialettici e se con un regista si instaura una dialettica corretta, come deve essere, spesso e volentieri le idee si nutrono anche del confronto. 

Eppure tra gli autori italiani principali con cui ha lavorato c’è sicuramente chi ha la fama di essere votato ad esercitare un grande controllo sul proprio lavoro…

Lo so che lei dice così perché pensa a Moretti.

Be’ sì. Lo ammetto. C’è un po’ una leggenda sui comportamenti di Moretti sul set.

Sì, sì, ma sa… in genere, l’unica parte nella lavorazione del film in cui un regista deve un po’ affidarsi è proprio la musica, a meno che non si tratti di un autore che davvero conosce e “pratica” a fondo musica per conto suo. Ma, tranne eccezioni, arrivano tutti quanti fino a un certo punto: di più non possono. Devono stare assolutamente a ciò che un compositore gli propone. Possono porre dei limiti, ma non possono far da sé, altrimenti lo farebbero. È difficile materializzare quell’astratto che è la musica. 

Quali sono i momenti cruciali di questo rapporto tra due creatività?

Ci sono alcuni momenti affascinanti: innanzitutto quello in cui un regista ascolta una proposta per la prima volta e magari se ne innamora: quando la risente in sala, montata sulle immagini ed eseguita con l’orchestra, può anche esser che gli prenda un’accidente perché sente davvero la trasformazione compiuta di un concetto musicale, che magari aveva ascoltato fino ad allora eseguito solo con il pianoforte. Per quanto un regista sia intelligente, sensibile, preparato, quello è per lui sempre un piccolo trauma: è il suo film che vede, finalmente vestito di musica. In più questo è un momento di non ritorno perché tutto è già stato realizzato. È un momento davvero delicato.

Per questo, ai miei allievi, ripeto sempre che il motore, il cuore del rapporto tra musicista e regista è la fiducia che si instaura: quando c’è quella, c’è la base per poter anche superare i momenti difficili.

Si dice che la musica sia un linguaggio universale, ma in realtà ci sono sempre di mezzo sensibilità diverse. E ci sono anche persone che non hanno educazione o cultura musicale, o magari semplicemente non hanno “visione” musicale. Le è mai capitato di lavorare con qualcuno che di musica proprio non capiva nulla?

Si figuri… vorrà sapere i nomi naturalmente. (ride)

No, affatto. Mi interessa di più sapere come si supera quel momento.

Bene, tanto per cominciare se si ha a che fare con qualcuno a cui davvero passa tutto attraverso, gli passerà attraverso sia il bello sia il brutto, quindi quello che proponi gli andrà bene comunque. Così sei tu che devi decidere cosa è meglio per il film, perché poi è quello davvero lo scopo. Non fare bella figura.

E questo alla fine sembra il caso più felice…

Be’ quello più felice è quando c’è davvero una corrispondenza. E per corrispondere bisogna essere in due, magari anche sapendo rinunciare. Questo l’ho capito davvero con l’esperienza. Quando si parla di umiltà non si parla di una parola vuota. L’umiltà nel nostro mestiere sta nel sapere che ciò che si scrive, anche se ci sembra straordinario, sia qualcosa a cui si può anche rinunciare. Perché è l’esigenza del film quella che alla fine conta.

Il film al centro di tutto, insomma… Ma non le è mai capitato invece di aver scritto una colonna sonora che le sembra riuscita e di cui è fiero anche se il film per il quale è stata scritta alla fine non le sembra affatto valido?

Questo può succedere. Però non è che io accetti tutti i film, anche quelli che non mi piacciono… Ma può succedere: bisogna anche sapersi accontentare.

Visto che siamo arrivati al tema della riuscita e del successo… Lei ha vinto dei premi importanti per colonne sonore importanti, però magari molti la conoscono per le musiche di Montalbano - musiche che tra l’altro,va detto, sono anche molto coraggiose e raffinate per una serie tv destinata a un grande pubblico. Ne è contento? Le va bene? Lavorare per la tv è stato come lavorare per il cinema?

Il caso di Montalbano - oltre ad altre esperienze (perché ci sono stati registi televisivi con i quali sono entrato molto in sintonia) - è stato davvero programmato: volevo fare qualcosa proprio per la televisione dove vincesse la qualità della proposta.

La televisione è sempre molto bistrattata dal punto di vista musicale. Ci sono ragioni economiche, c’è la costante paura che la gente cambi canale e quindi qualsiasi elemento che possa contribuire a disamorare il pubblico - fosse anche una scelta coraggiosa - è temuto, mentre al contrario si punta moltissimo su tutto ciò che si spera possa trattenerlo. Io non so se una musica, magari accattivante, abbia davvero questo potere. So solo che ho proposto qualcosa che ritenevo essere fuori dai cliché, contando anche sulla fiducia del regista. Certo la popolarità della televisione…  Al cinema è più difficile ottenere tanto. È anche vero che… Insomma. ho fatto più di cento film ma alla fine sembra che abbia fatto soltanto Montalbano… (ride) Resta comunque una grossa soddisfazione.

È proprio a questo che alludevo. Parliamo allora un po’ degli spettatori. Capita che alcune colonne sonore di successo siano quelle che usano musiche di repertorio: alle volte è più facile ri-conoscere che conoscere. Ma è anche vero che alle volte le musiche di repertorio “usano” le immagini, si sovrappongono ad esse anziché mettersi al loro servizio. Possiamo dire che una colonna sonora composta sia più rispettosa del film e che lo accompagni meglio?

Penso che sia una questione drammaturgica, nel senso che è ormai costume che la musica di repertorio sia presa tanto per mettere qualcosa di accattivante, per decorare. Spesso l’uso che se ne fa è un po’ selvaggio: si dice “mettiamo canzoni che appartengono più all’oggi”. Oppure si ragiona pensando che il film non abbia bisogno di un commento musicale apposito, dedicato. Ma è una tendenza, assolutamente: una tendenza che dipende dalle scelte del regista, a volte anche di quelle della produzione. D’altro canto in genere si tratta di film dove francamente non saprei dove mettere le mani. E allora è bene che ci abbiano messo le canzoni.

Ci sono però autori importanti che hanno usato in maniera imponente le musiche di repertorio: pensiamo a Malick, a Kubrick. Cosa hanno fatto scrivere? Pochissimo.

Parliamo di altre faccende però. Se poi tutti vanno appresso a le scelte dell’uno o dell’altro… di nuovo entra in gioco la questione della tendenza. Si ricordi anche che spesso, oltre alla tendenza, c’è una questione di praticità: l’80% dei film oggi viene montato già con della musica sotto, per vedere “come sta” e facilitarsi il compito. E come fanno a montare la musica non avendola ancora? Devono per forza usare brani già esistenti. È talmente facile ora arrivare in moviola e mettere cento pezzi di musica. Quando io iniziai, ancora negli anni ’80, mettere una musica di appoggio era una grande complicazione, anche economica. Era una pratica che non si usava: nessun montatore di quelli storici avrebbe mai pensato di usare musica d’appoggio. Anche perché sembrava una mancanza di rispetto verso il compositore.

Oltre tutto è un grande danno: mi è capitato spesso di arrivare in moviola e trovare interi film farciti di musica di repertorio in appoggio. Poi quando arrivi con la musica che hai scritto sono dolori perché al momento delle sostituzioni non funziona più niente agli occhi e alle orecchie del regista e del montatore, che hanno già visto il film in una prima versione.

Certo. Ormai la visione si è inquinata. È notevole comprendere come anche da questi aspetti che riguardano alla fine delle pratiche concrete del fare il film scaturiscano conseguenze artistiche non indifferenti. Oltre che l’inserimento di difficoltà in un percorso già complicato e lungo.

Anche apprendere questi dettagli della lavorazione diventa determinante. Ma le persone a cui insegnerà nel suo corso sono già a conoscenza di tutto questo? Che competenze devono avere?

Un minimo di selezione viene fatta, ma è soprattutto sulle competenze musicali. Chiediamo loro che abbiano il quinto anno di composizione e di presentare qualche composizione scritta. Ovviamente se c’è già un minimo di preparazione sulla composizione di musica per immagini tanto meglio. Non è possibile pensare a una presenza massiccia: già 15 o 18 persone potrebbero essere tante. Anche perché è sì un corso d’insieme ma c’è anche un rapporto con il singolo: ci troviamo a lavorare molto sul tentare di sviluppare e trasmettere il senso dell’intuizione, dell’immaginazione e questo si fa all’interno di una relazione.

A che punto arrivano le persone al termine del percorso?

Diamo loro delle scene - l’anno scorso è stato un piccolo corto di animazione - e devono musicarle. È l’epilogo di lungo training con varie tecniche che partono anche da immagini statiche - quadri, fotografie - e che culmina con l’esecuzione dei pezzi degli studenti da parte dell’Orchestra dei pomeriggi Musicali di Milano.

Ma esiste qualcosa di simile nel mondo?

È stato fatto, ma sempre in un’ottica più modesta, diciamo, magari con ensemble contenuti. È un corso di cui vado fiero: ne ho fatti tanti ma è la prima volta che mi è capitata questa possibilità. Anche la partecipazione articolata su sei mesi, così lunga, è anomala. Ho visto quanto giova ai partecipanti. Di solito corsi di questo tipo, per ragioni pratiche ed economiche, hanno al massimo una durata di una ventina di giorni, noi nei sei mesi del corso milanese riusciamo ad avere un’evoluzione importante, compiendo insieme agli allievi un consistente cammino. 

 

Per chi desidera ulteriori informazioni sul corso di Franco Piersanti e Sergio Miceli, che inizierà il 29 gennaio 2015, qui il bando di ammissione

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati