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TFF GIORNO 9: LES JEUX SONT FAITS. MANGE TES MORTS STREGA PURE LA GIURIA TORINESE, OLTRE CHE I FRANCESI A CANNES. GIORNATA DI VOLTI, DI NEVROSI, MANIACALITA' E DEPRESSIONI:SCLAVI/HOUELLEBECQ/COLNAGHI: IL MALESSERE O IL DISAGIO CHE FORGIANO L'ARTISTA.
di alan smithee
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locandina

Eat Your Bones (2014): locandina

 

Distante da ogni più realistica previsione da parte del nostro “gruppo” cinefilo, il crudo (sin dal titolo) Mange tes morts si aggiudica, non certo a sproposito, il premio quale miglior film, lasciando completamente privo di ogni anche minima considerazione quell'ottimo Violet che molti di noi (io in testa) considerano il film più bello di un concorso quest'anno decisamente piuttosto sottotono.

Pertinente il premio agli attori di Felix et Meira, un po' meno tutti gli altri, compresa la folgorazione esagerata per il nerd ungherese del Reisz (Gabor...non certo Karel, ahimé), “For some inexplicable reason”, decisamente sopravvalutato.

L'ultima giornata festivaliera tuttavia non finisce di regalare emozioni: una giornata in cui la mia programmazione subisce, per la prima volta, delle variazioni, non riuscendo ad accedere alla visione di due film della New Hollywood a cui tenevo molto: The Jericho Mile di Michel Mann e Melvin and Howard di Jonathan Demme sono presi d'assedio e entrare in sala mi risulta impossibile.

Ma la mattinata si apre all'insegna dell'horror: anzi, dell'horror più riuscito e potente tra tutti quelli (mediamente buoni) visti nella rassegna After hours: si tratta del lettone/estone M.O.ZH – THE MAN IN THE ORANGE JACKET di Aik Karapetian.

locandina

The Man in the Orange Jacket (2014): locandina

71 tesissimi e concisi minuti di terrore sano e puro per raccontarci l'invasione, silenziosa ma letale, di uno degli operai portuali licenziati da un potente magnate dell'economia del posto, nel castello del padrone: sorpreso con la giovane amante, massacrato con un punteruolo e incelofanato con meticolosità.

Dopo di ciò l'uomo, un ragazzo vestito della sua giacca arancione catarifrangente, si impossessa del maniero divenendone il padrone, facendosi contagiare dal piacere delle comodità, dai vizi e dalla bella vita.

Un cambiamento nel ragazzo che non lo renderà esente da una minaccia letale: quella di sé stesso o del suo fantasma che inconsciamente non accetta quel cambiamento.

Gran regia, grandi inquadrature con un inizio folgorante sul porto, quando la prima inquadratura si fissa su tre ganci che dondolano sullo sfondo di un cielo cupissimo, foriero di disgrazie e di una violenza incontenibile. Un gran bell'horror che surclassa tutti gli altri visti sino ad ora.

VOTO ****

Della New Hollywood quest'anno riesco a vedere due piccoli film difficili da rintracciare, entrambi accomunati dalla tematica della guerra del Vietnam, vista agli albori dell'intervento americano, o in seguito nella figura di uno dei molti reduci.

Nel primo caso mi riferisco al film di Ted Post VITTORIE PERDUTE, ma il titolo originale, Go tell the Spartans, diviene la cosa migliore del film, alludendo alla differenza numerica sfavorevole dei protagonisti rispetto agli avversari, un po' come quella epica dei 300 spartani nella guerra delle Termopili, e per l'occasione associata alla condizione di un plotone di marines americani intervenuto all'inizio del conflitto civile tra Vietnam del Nord e quello del Sud, che si allea ai sudvietnamiti per cercare di far cessare la rivolta. Non sapendo quelo a cui sarebbero ndati incontro gli “invasori americani”, qui sottoposti ad un accerchiamento da parte di un esercito locale in netta superiorità numerica.

Low budget, fortemente voluto dal protagonista Lancaster, bolso colonnello al comando, Vittorie Perdute non mi sembra un film memorabile, per quanto lucido e infarcito di tattica militare, e forse proprio per questo fastidioso per quel clima guerrafondaio e di impudente superiorità che trapela da ogni situazione narrata.

VOTO **1/2

 

Di tutt'altra finezza narrativa, per quanto decisamente rozzo e girato alla meglio, l'esordio registico dell'attore David Carradine, il più famoso della più recente dinastia di attori Carradine, il Kill Bill tarantiniano per intenderci. AMERICANA piccolo film misconosciuto, fortemente voluto dall'attore, da lui finanziato con i proventi del successo riscontrato in quegli anno del telefilm Kung-fu di cui era protagonista-mattatore.

Il ritorno di un reduce silenzioso e solitario nei territori d'origine, spinge lo sconosciuto a fermarsi in un desolato paesino con al centro una vecchia giostra abbandonata, che l'uomo si convince a ristrutturare, forte della sua innata capacità manuale/tecnica.

Lo fa senza scopi di lucro, accendendo sospetti sui paesani che non possono credere che l'uomo agisca per fini lontani da un banale ma peraltro nemmeno illegittimo tornaconto personale, ed innescando reazioni rabbiose e violente dove l'ignoranza e la cattiveria, l'arroganza e un sentimento di odiosa intolleranza finiscono per condurre il mucchio alla follia prepotente ed usurpatrice.

Metafora sin troppo evidente del corso della vita, la giostra diviene strumento di riscatto e il perno che potrebbe far tornare la pace e la fratellanza in una comunità resa arida dall'ignioranza e dall'individualismo.

Una regia ingenua e poco accorta non rovina un film fatto col cuore, in cui David Carradine, granitico ma pacifico, diviene quasi un messia di pace che ha ben compreso a sue spese le follie della prevaricazione e della guerra. Al suo fianco, una giovanissima e seducente Barbara Hershey, all'epoca sua compagna, impegnata a rendere la figura di una ragazza libera, sessualmente aperta, continuamente seguita da branchi di cani randagi che non la abbandonano mai, donna facile forse, ma con un cuore pulsante come pochi da quelle desolate terre incolte, che la conduce verso chi può amarla veramente. Girato nel '73, uscì solo nell' 81 e rimase un prodotto pressoché misconosciuto, dunque prezioso documento intimo e personale del Carradine attore e regista, che vale di più di quanto apparentemente conceda.

VOTO ***1/2

Daniele Segre

Il viaggio di Carlo (2014): Daniele Segre

Oggi è, per puro caso, una giornata dedicata ai volti, ai personaggi, agli artisti che raccontano loro stessi, le loro inquietudini, il loro malessere di vivere o l'incapacità di rapportarsi ad una realtà che non li rappresenta, dalla quale anzi hanno necessità di estraniarsi, magari dando vita alle performances creative che li hanno resi unici e fatti conoscere al mondo intero.

IL VIAGGIO DI CARLO è un piccolo intenso documentario in cui il regista Daniele Segre ricorda il “suo” attore Carlo Colnaghi, a 15 anni dalla sua scomparsa, dopo la rinascita fisica e morale che un film come Manila Paloma Blanca ha rappresentato per lui.

Un attore “enfant prodige” proveniente dal Piccolo di Milano, caduto troppo presto in una forma di depressione che lo ha spinto alla deriva, in territori che parrebbero senza via di ritorno.

Segre segue il suo attore in viaggio in treno verso Venezia, dove Colnaghi si apprestava a presenziare per il film della sua rinascita citato sopra.

Un documentario che evidenzia la deriva fisica e morale in cui è crollato Colnaghi uomo, solo e costretto all'indigenza, attraverso un percorso verso uno stato depressivo in cui alcuni spezzoni del film Manila Paloma Blanca divengono il perfetto veicolo di rappresentazione di un percorso distruttivo che corrispondeva alla realtà.

Toccante e necessario documento commemorativo di un grande attore tormentato.

VOTO ***1/2

locandina

Nessuno siamo perfetti (2014): locandina

NESSUNO SIAMO PERFETTI è il prezioso omaggio/testimonianza che il regista Gianfranco Soldi ha reso di Tiziano Scalvi, celebre scrittore di fumetti e genitore di Dylan Dog. Personaggio quasi fantasma già dai tardi anni '80 quando il celebre personaggio tratto dalla sua fantasia macabra ed accattivante, faceva ingresso nei sogni, ma soprattutto negli incubi di quasi tutti i lettori appassionati di fumetto.

Lo Sclavi che riusciva a rendere meglio di chiunque gli incubi più agghiaccianti come momenti di serrata estasi, attanagliando nelle sue pagine fitte di macabre di avventure al limite tra horror e paranormale, frotte lettori irrimediabilmente appagati, si rivela - e non è certo un mistero svelato da questo intenso e toccante documentario – come un percorso doloroso personale, un calvario di rinuncia del ragazzo che fu ad ogni tipo di contatto umano ed affettivo sia con la propria famiglia (il pessimo rapporto con una madre rigida ad un passo dalla crudeltà psiocologica, confessato con una sincerità quasi disarmante) e col mondo circostante.

Un esilio forzato in cui il lavoro della scrittura diviene il mezzo unici ed indispensabile per sopravvivere ad una vita e ad un modo di vivere che non si riesce ad accettare.

La testimonianza di uno Sclavi maturo e “in pensione”, forse colto da una calma almeno apparente garantita da un isolamento salvifico in una tenuta in campagna con la sola compagnia di canie gatti, è intervallata da immagini affascinanti ed enigmatiche di ombre maligne che si materilizzano nella loro inconsistenza tra i grattacieli spigolosi di una metropoli che schiaccia ed opprime, mentre i cieli sono sovrastati da “stormi” di capodogli fluttuanti e da dirigibili senza controllo che sfiorano torri di cemento armato fino quasi a schiantarcisi sopra.

Chi lo ha conosciuto, direttamente o indirettamente, ha modo di rendere testimonianza, e tra le immagini, spezzoni significativi del bel film dello stesso Soldi, quel Nero così pulp ed innovativo con Castellitto e Chiara Caselli che tanto mi piacque ad inizio '90, diviene un veicolo essenziale per catapultarci nel mondo davvero molto cinematografico dell'immaginario unico e stupefacente di uno dei più grandi creatori di incubi della letteratura contemporanea italiana e mondiale, umile ma irresolutamente fermo sulle proprie intransigenti posizioni.

Sempre sul filo delcrasoio ad un passo dalla depressione e dalla caduta nelle tenebre che egli ben conosce.

VOTO ***1/2

locandina

The Kidnapping of Michel Houellebecq (2014): locandina

L'ENLEVEMENT DE MICHEL HOUELLEBECQ

Il celebre scrittore Michel Houellebecq viene rapito a Parigi e portato in una casa in periferia, dove viene legato e costretto a vivere in una intimità familiare composta dai suoi tre corpulento rapitori (due dei quali culturisti) e di due anziani coniugi.

Entrato in sintonia graduale con i ritmi delle giornate languide trascorse a fumare, a parlare, a celebrarsi o schernirsi con una disarmante ironia che ormai conosciamo come caratteristica determinante di questa irresistibile e controversa figura d'artista, lo scrittore comincia a trovare necessaria la sua permanenza in quel contesto.

Rinunciare alla libertà in cambio di momenti genuini e reali di contatto umano con personaggi certo bizzarri ed eticamente molto discutibili, ma comunque veri e reali, concreti e necessari ben più del mondo falso ed egocentrico dell'intellighenzia in cui lo scrittore dovrebbe smarcarsi di continuo.

Esilarante per la naturalezza in cui Houellebecq riproduce se stesso, indolente, vigliacco, meschino ma irresistibile, vero, umanissimo e timidamente comico, il film è certamente un secondo capitolo dell'altrettanto esilarante ed inquietante Near Death Experience passato a Locarno 2014, ma se possibile ancora più personale ed eccentrico, satira feroce sullo stato, sulle ideologie e sulle prospettive dell'esostenza quotidiana, alterata dall'egocentrismo e dalle mire di raggiungimento dei seganli tanto decantati e venerati di un status symbol e di un potere che ci illudono di aver raggiunto l'immortalità.

VOTO ***1/2

scena

Le beau danger (2014): scena

LE BEAU DANGER è il discutibile tentativo di illustrare l'opera ed il pensiero dello scrittore rumeno esule sopravvissuto ai campi di sterminio Norman Manea. L'idea di veicolare al cinema una sorta di "ebook" inframmezzato da rade immagini, neanche tutte determinanti o comprensibilmente attinenti al discorso narrativo che appare su uno schermo bianco e lapidario, non ha nulla di cinematografico, e costringe lo spettatore ad un tour de force massacrante necessario per reggere il ritmo di una narrazione anche complessa in cui ognuno dovrebbe cimentarsi privatamente, ognuno seguendo i propri ritmi personali e le proprie riflessioni immancabili e necessarie viste le argomentazioni trattate. Pollice decisamente verso.

VOTO *

Constantin Dita, Victor Rebengiuc

The Nostalgic Mechanics of Randomness (2014): Constantin Dita, Victor Rebengiuc

Per finire segnalo un cortometraggio toccante e delicato del notevole regista rumeno Costantin Popescu, dallo splendido titolo: THE NOSTALGIC MECHANICS OF RANDOMNESS.

Un'opera che dimostra una volta per tutte come spesso le parole siano superflue per suggellare un'intesa che sictraduce in un aiuto reciproco, materiale o morale che sia.

Titi è un ex aviatore in pensione, vedovo da quattro anni, e piuttosto solo. Trascorre le sue giornate in casa col suo pappagallo ed è solito svagarsi inforcando il suo bel sidecar d'epoca BMW per recarsi al cimitero a trovare la defunta consorte.

Un giorno come tanti, mentre sta pure dando un passaggio ad un suo vicino disabile in carrozzella, trainandolo dietro il suo veicolo fino all'ospedale per un controllo, il vecchio si imbatte in una giovane prostituta violentemente percossa dal suo sfruttatore. Fermo ad un semaforo, l'anziano si vedrà la fanciulla rifugiarsi nel sedile accanto al suo per sfuggire alla violenta colluttazione.

La ragazza finirà per accompagnarlo, muta e discreta, sino al capezzale della moglie, aiutandolo a rendere più gradevole quel metro quadrato di giardino che cinge la tomba n cui è sepolta.

Casualità, intervento del destino cieco, contatti improponibili a prima vista che si sviluppano e maturano via via che il tempo passa, tramite la tolleranza ed il buon senso, non certo tramite discorsi o parole a vuoto, inutili o inappropriate.

Aiuti materiali e morali reciproci, che divengono l'unica possibilità di instaurazione di un contatto tra due persone troppo differenti in età, costumi e cultura, per poter coesistere e comunicare.

Cinema neorealista come è ancora possibile ritrovare in certi paesi dell'Est come la Romania.

Un piccolo grande affresco intimo e delicato, toccante e sin struggente, fotografato in un bianco e nero che lo rende indimenticabile. Un modo ineccepibile ed appropriato per concludere questa straordinaria ultima avventura festivaliera torinese.

VOTO ****

 

 

 

 

 

 

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