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TFF 2014 GIORNO 2: IL CONCORSO AFFILA LE UNGHIE E CONVINCE CON VIOLET. GIORNATA INCANDESCENTE TRA HORROR, CAMERE AZZURRE, WOODYALLEN LACCATI E UNA ORIGINALE PERSONALE A MICKLE, REGISTA DEL CONTAGIO
di alan smithee ultimo aggiornamento
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"IO, GOYA E GAIA"...non è proprio il titolo di un film, ma l'occasione, già sperimentata l'anno scorso, per documentarvi o raccontarvi che i cani sono ufficilmente ammessi nelle sale cinematografiche. Oggi Goya, il simpatico e bel puffetto peloso della utente Gaiart ha "visto" o sopportato ben 3 film uno di seguito all'altro, dividendosi tra le ginocchia della padrona e le mie.

Una positiva azione contro la discriminazione e l'abbandono di animali, ma mi chiedo cosa sarebbe successo se anche qualcun altro avesse avuto la medesima idea di presentarli alla sala press del cinema Classico con il suo amico a quattro zampe: finiva probabilmente a botte, come in un film di Bud Spencer e Terence Hill. Per fortuna, almeno ieri, tutto ciò ci (mi) è stato risparmiato.

Io, Goya e Gaia

 

La mattina inizia leggera, ed è buona cosa, considerato quello che ci spetta dopo. Leggero certo, ma una scommessa vinta, che toglie di torno un luogo comune legato ad un preciso periodo dell'anno.

La notizia buona di Ogni maledetto Natale è che quando si parla, almeno cinematograficamente ma non solo, della festa più conosciuta dell'anno, si finisce per scadere nella mediocrità del “cine-panettone”, mentre questo film dimostra che se ne può parlare senza scadere nella volgarità e nella rozzezza ormai da anni dilaganti, soprattutto durante quel periodo.

La notizia che tutti sappiamo, e dunque la conferma, è che il Natale è per tutti (tranne i bambini e qualche credente osservante) il periodo più deprimente, caotico, schizofrenico, irragionevole dell'anno: spendiamo un fume di soldi in cose inutili, siamo perennemente in coda (anche al cinema, incredibile), festeggiamo e abbiamo modo di ritrovare persone, parenti e pseudo amici che in realtà vorremmo tenerci distanti.

 

locandina

Ogni maledetto Natale (2014): locandina


 

Lo sa bene Massimo, che viene pure rapinato da un Babbo Natale borseggiatore; circostanza che tuttavia gli consente di incontrare Giulia e di innamorarsene.

L'idea di passare il Natale in famiglia di lei dopo solo dieci giorni che si conoscono non lo attira affatto, ma come dire di no alla ragazza che lo ha fatto innamorare? Il paese dei genitori di Giulia è in capo al mondo e la cascina ove abitano un aggregato umano e fisico di grezzaggine e grevità, complici i fratelli della bella ragazza, e tutto il parentado.

 Non finisce molto bene quell'avventura tragicomica, che i tre registi raccontano con verve e dovizia di particolari e macchiette, personaggi divertenti ed azzeccati davvero irresistibili.

La vicenda si sposta quindi a casa di Massimo, che scopriamo erede di una delle famiglia più prosperose del paese, imprenditori del settore alimentare legato ai prodotti natalizi: dinastia in cerca di un successore dopo i presunti fallimenti gestionali del fratello maggiore e dopo che il protagonista si è allontanato scegliendo di occuparsi di “microcredito” a favore del ceto più bisognoso. 

Ciarrapico, Vendruscolo e Torre, padri televisivi e cinematografici di Boris, e dunque prima di tutto uomini della Tv, tornano al cinema con una spassosissima commedia retta da un cast di attori strepitosi che fanno da corollario indispensabile ai due pur volonterosi volti televisivi impegnati nei ruoli principali: e dunque nomi come Pannofino, Mastandrea, Morante, due Guzzanti (entrambi strepitosi da star male dal ridere!), Giallini, Fresi, Sartoretti sono impagabili e coadiuvano la coppia un po' standard Cattelan/Mastronardi che tuttavia brilla per impegno. 

Certo la fotografia televisiva è davvero bruttina e piatta, ma la storia doppia con glia attori strepitosi di contorno impegnati nei doppi ruoli dei parenti grevi di lei e in quelli dei sciocchi futili ricchi di lui, è l'idea vincente della divertente commedia. Quella che ci fa tornare a pensare che la parola Natale possa essere collegata a qualche concetto di intelligenza ed impegno, e non solo rumore, volgarità e stupidaggine.

VOTO ***

 

locandina

Los Hongos (2014): locandina

 

Intanto in sala Reposi 2 proiettano il tenero e riuscito LOS HONGOS, che vidi quest'estate a Locarno in compagnia dei giovani dinamici interpreti. Se vi va di sapere qualcosa in proposito cliccate qui

VOTO ***1/2

 

Nel frattempo io mi butto sull'horror, e faccio piuttosto bene perché si tratta di un bell'horror: IT FOLLOWS ci sta bene poi per aprire una delle rassegne a mio avviso più interessanti del festival: “After hours”, appunto. Una storia che ricorda (magari solo di sbieco) l'ultimo Carpenter (The ward, visto in anteprima proprio qui a Torino qualche anno orsono) e il cui sviluppo parrebbe nelle corde di un giovane Cronemberg.

 

locandina

It Follows (2014): locandina


 

Jay è una bella ragazza bionda desiderata da molto coetanei che, durante una notte d'amore consumato in macchina con un ragazzo frequentato da poco tempo, contrae da lui una strana malattia: anzi una sgradevolissima sensazione: quella di vedere una entità che prende forma e fisionomia di persone che si atteggiano a zombie, che la inseguono per eliminarla.Il ragazzo che l'ha contagiata la informa che lui se ne è liberato senza volere scaricando l'essere su di lei, e che essa stessa potrà toglierselo di torno facendo sesso con un altro partner. Ma le cose si complicano, anche quando le sorelle di Jay, un amico del cuore eternamente innamorato della ragazza ed il belo del quartiere si offrono di aiutarla, esponendosi in prima persona ad un pericolo che essi possono solo intuire ma non percepire.

Un nemico insolito che segue la vittima designata per ucciderla, come spiega anche l'inquietante scena iniziale della fuga di una malcapitata ragazza, portatrice del morbo nel quartiere ove vive la protagonista. Il film americano opera seconda di David Robert Mitchell è piuttosto ben fatto, forte di inquadrature molto studiate ed interessanti, a volte persono pittoresche ed insolite in un horror, e con scene ed apparizioni di questi esseri morti viventi che incutono davvero spavento. 

Certo verrebbe maliziosamente da pensare cosa potrebbero aver fatto al posto del pur bravo giovane regista due mostri ineguagliati come i citati Carpenter e Cronemberg; ma a ben vedere si tratta di un quesito inutile e poco concreto sul quale conviene glissare.

VOTO ***

 

Il concorso oggi inizia benissimo con VIOLET.

 

 

locandina

Violet (2014): locandina

Bikers quindicenni che volteggiano agili e piroettanti tra le piste sinuose a loro dedicate: uno di loro assiste per caso, ma non ha il coraggio, la forza, l'ardire di intervenire, all'accoltellamento di un suo amico in un centro commerciale. Che muore dissanguato sotto i suoi occhi increduli e terrorizzati, immobile, incapace di reagire, come in preda ad un panico o paralizzato da un incubo ad occhi aperti. 

La regia ci mostra tutta la lunghissima estenuante scena ripresa freddamente ed impersonalmente, quasi crudelmente dalle cineprese localizzate per la sorveglianza del luogo pubblico. 

Jesse non riesce ad elaborare, una volta a casa, nessun particolare di quell'avvenimento, e presto viene considerato un codardo ed allontanato dal gruppo dei suoi amici che lo interrogano e desiderano avere risposte, particolari, chiarimenti.

Il ragazzino vaga tra casa sua e quella dei genitori del ragazzo morto, cercando comprensione e cercando anche di confortare personalità distrutte da un dolore inaccettabile. 

Violet è un film difficile ed ostico, antinarrativo, intransigente, potente e coraggioso che sperimenta un linguaggio di colori, dei primi piani, della fotografia ostentata nei colori saturi, e dove le azioni, i movimenti, sostituiscono il linguaggio o ne diventano parte, riducendo il dialogo ad un surplus confinato ai limiti dell'indispensabile.

Violet è un film che riflette sui tentativi di elaborazione di un lutto, sulla necessità di trovare la strada per andare avanti.

Violet è un film che devasta interiormente e lascia dentro un dolore e una desolazione che sembrano incolmabili.

VOTO ****

 

Si procede con coerenza, in termini di qualità con un bel poliziesco tedesco: THE KINGS SURRENDER.

locandina

The Kings Surrender (2014): locandina

 

Una squadra speciale entra in azione, cercando di prendere alla sprovvista tre spacciatori asserragliati in un appartamento popolare: qualcosa va storto perché i malviventi sorprendono la polizia iniziando col fuoco, anziché reagendo alla colluttazione, e provocando morti e feriti: due banditi morti, un poliziotto gravemente ferito. La squadra speciale sotto accusa e polemiche per i metodi violenti utilizzati per risolvere il caso. 

Poi altri due poliziotti sono trovati morti crivellati in un sottopasso, e due bande rivali di diverse etnie si fanno la guerra nascondendo segreti che coinvolgono loschi affari in cui sono implicati pure alcuni poliziotti. Infine un ragazzino che sa troppo e svela alle persone sbagliate anche cose che non corrispondono al vero, costituisce la miccia che farà esplodere una vera e propria guerra di quartiere in cui pure la polizia è divisa tra conniventi corrotti e coloro che vogliono andare a fondo nel marcio che si è creato.

Un poliziesco tedesco dinamico e ben diretto questo Kings surrender, concitato e sin troppo sfaccettato in personaggi e storie che qua e là finiscono per confondere un po', mantenendo tuttavia desta l'attenzione grazie ad un abile dosaggio del ritmo, dell'azione, e della suspence.

Quasi un prodotto di genere, recitato con efficacia, sia pure senza colpi d'ala evidenti, da un gruppo di giovani volti accattivanti e dinamici che sembrano provenire dalla televisione, ma diretto e recitato con una vena autoriale insolita per un prodotto aperto ad un pubblico anche vasto.

VOTO ***

 

Festa Mobile ci aspetta per due appuntamenti:

INUPILUK: ovvero “gangster” in lingua lappone: è il nomignolo che tutti i compaesani iniziano a dare a due eschimesi una volta che questi tornano nelle loro terre desolate e magnifiche in seguito ad un viaggio in Francia, ospiti del figlio di un viaggiatore da tempo stabilitosi in quelle terre ghiacciate sulla cima del globo.

 

scena

Inupiluk (2014): scena

Il ragazzo vive a Parigi, è appena stato lasciato dalla fidanzata, ed accetta l'offerta del padre di accogliere i due lapponi che non parlano una parola di francese, né di inglese né di qualsiasi altra tranne il loro incomprensibile ed ostico idioma.

Sebastin Betbeder, non nuovo a Torino, racconta in un corto divertente e simpatico, tenero come lo sono a volte gli uomini nella complicità dei momenti difficili o imbarazzanti, questo meeting "forzato" di culture e razze variegate, le difficoltà di comunicazione, l'idea bizzarra o geniale di registtrare i due e di far tradurre tutti i loro pensieri in differita dal padre tramite skype, ed altre divertenti bizzarrie come l'ossessione dei due nordici per gli alberi ed i piccioni, due forme di vita per noi banali e scontate, ma per loro totalmente nuove e irreali. 

VOTO ***

 

locandina

La chambre bleue (2014): locandina

Piccolo film tenero e curioso che introduce LA CHAMBRE BLEU, curioso adattamento low cost ed attualizzato ai nostri giorni del celebre romanzo scandalo di Simenon. Visto questa primavera a Cannes, l'ultimo film da regista di Mathieu Amalric lo trovate qui

VOTO ***

 

locandina

Whiplash (2014): locandina

 

 

Un altro film sorprendente già visto alla Quinzaine cannese è WHIPLASH, opzione del pubblico al Palais Croisette e vincitore del premio del pubblico al Sundance. Se volete trovate le mie impressioni qui

VOTO ****

 

locandina

Magic in the Moonlight (2014): locandina

 

Oggi è pure il giorno di Woody Allen (MAGIC IN THE MOONLIGHT), che dopo il riuscito Blue Jasmine non poteva non seguire la tradizione e offrirci un prodotto a mio giudizio minore, laccato, capriccioso e un pò inutile. Liberi di pensarla diversamente ovviamente e come sempre. Sarà un successo: in Francia il film ha spopolato. Se vi interessa potete leggere qualcosa cliccando qui.

VOTO **1/2

 

La giornata concitata si conclude con la prima metà della personale sul talentuoso giovane regista JIM MICKLE.

Primo dei quattro film che completano, cosa mai avvenuta sino ad ora, la personale completa che il festival dedica a questo promettente giovane regista, allo stesso modo di quel che fece anni addietro per il danese Nicolas Winding Refn, esploso alla notorietà poco dopo.

Mickle esordisce con un film di genere a bassissimo costo, girato, ci racconta, in buona parte nella cucina della casa della sua migliore amica.

Locandina Mulberry Street

Mulberry Street è la via ove è incentrata una vicenda tesa inerente un contagio apocalittico in cui nella metropoli alcuni ratti cominciano a salire in superficie contagiando barboni e malcapitati, e diffondendo un'epidemia che li trasforma in mostri mutanti con il muso pronunciato da topo, affamati di carne, aggressivi ed in stato incosciente come zombies.

Dai primi casi isolati si arriva ad una vera e propria ecatombe: strade deserte, macchine abbandonate, corte marziale ed esercito che spara a vista.

 

Jim Mickle

We Are What We Are (2013): Jim Mickle

 

In una fatiscente palazzina segumo i tentativi degli abitanti, poveri ma solidali, che cercano di combattere il nemico sempre più potente ed invasivo: un vedovo prestante, in attesa della figlia, proprio in quei giorni di ritorno da una missione militare in Medioriente, una avvenente barista con figlio adolescente che marina la scuola, due vecchi pensionati, un gay geloso del prestante vedovo, corteggiato dalla bionda barista, ed un'altra manciata di personaggi formano la squadra che deve sopravvivere al massacro e all'orda di esseri affamati che li asserraglia in spazi sempre più angusti.

Jim Mickle (primo a sinistra) intervistato da Emanuela Martini (a destra).

 

Tra Rabid e Rec, il film girato al risparmio si fa apprezzare per il ritmo coinvolgente che coglie lo spettatore, l'abile tecnica di ripresa che prevede immagini vorticose e stacchi frequenti a supplire l'impossibilità di agire più di tanto con trucchi e make-up, peraltro dosati con cedibilità e molta cura.

Per Mickle un ottimo esordio in un genere che il regista in futuro vorrà continuare a ripercorrere.

VOTO ***

 

Si prosegue e conclude con STAKE LAND. 

Opera seconda di Jim Mickle, questa volta forte di un budget meno irrisorio dell'esordio di Mulberry St, e dunque libero di aprire la sua ripresa ad un horror on the road che riprende le tematiche apocalittiche del contagio, trasferendole a proporzioni globali.

I vampiri hanno invaso gli States e probabilmente tutto il mondo: un uomo tenace e risoluto salva la vita ad un adolescente, a cui i mostri hanno appena massacrato la famiglia, e si offre di accompagnarlo fino in Canada, dove la situazione parrebbe essere sotto controllo.

 

locandina

Stake Land (2010): locandina

 

Il cammino è tortuoso e difficile, e il clima di attesa e le necessità di reazione consentiranno al ragazzo di divenire un abile difensore di vite minacciate dai mostri assetati di sangue.

“La terra dei pali” diviene un territorio di morte e desolazione ove non resta che fuggire e trovare riparo altrove.

 

Connor Paolo

Stake Land (2010): Connor Paolo

 

Parabola ad ampio respiro della ricerca affannosa del luogo ove trovare felicità e calma dopo i travagli di una vita, l'opera seconda di Mickle non rinuncia ad un tocco ironico che aiuta ad alleggerire i toni e a rendere più spettacolare questa caccia concitata ad un nemico sempre in agguato che non molla la presa, e che non è nemmeno l'unico elemento da combattere, quando scaltri sopravvissuti si organizzano per comandare laddove la legge ha perso ogni sua autorevolezza.

 

scena

Stake Land (2010): scena

 

Gran mestiere di un regista che, armato di mezzi più capienti, dà libero sfogo alle sue notevoli intuizioni visive e alle proprie interessanti doti e stili narrativi.

La sceneggiatua è opera del regista, coadiuvato anche stavolta come in Mulberry St dal suo attore protagonista, Nick Damigi.

Tra gli attori coinvolti, cominciamo a vedere una ritrovata Kelly McGillis, che tornerà con Mickle nel successivo ottimo We are what we are.

VOTO ***

 

Per oggi direi che può bastare. 


 

 

 

 

 

 

 

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