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Luna Gualano: Intervista esclusiva
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Qualche settimana fa negli scaffali dei negozi homevideo e nei siti di streaming pirata ha fatto la sua comparsa Psychomentary, un mockumentary a sfondo sociale (più thriller psicologico che horror) diretto dall’esordiente Luna Gualano. Da quel momento, il film si è trasformato in una hit grazie al passaparola sul web. Nessun comunicato stampa che in pompa magna ne annunciasse l’uscita ma solo l’apprezzamento dei viewer (centinaia di migliaia in una sola settimana, dicono le analisi statistiche) ha fatto sì che l’opera in breve tempo si trasformasse in un grande successo. E potevamo mai farci sfuggire l’occasione di conoscere da vicino la regista?

Intervistare Luna Gualano è più uno spasso che un lavoro. Sono rare le occasioni in cui una regista, seppur al primo lungometraggio, si mette a disposizione per una chiacchierata senza limiti: dal suo Psycomenthary si passa facilmente a discussioni legate al cinema italiano, a punti di vista sulla fruizione in streaming delle pellicole e a disappunti sulla distribuzione cieca di molte opere. Ride spesso mentre si racconta e ci racconta il suo lavoro, apparendo solare anche a chi può sentirla e non vederla. Non lasciatevi intimorire dalla foto di backstage che ama adottare come identificativa dei suoi profili sui social network, in cui è intenta a divorare viscere: Luna è un fiume in piena di simpatia e disponibilità.

Per la prima volta qui sul sito leggerete un’intervista anomala. Il corpus, unico e scorrevole alla lettura, è frutto del differente lavoro di tre persone: l’entità Redazione (qui rappresentata da Spaggy) e gli utenti “reporter” Maghella Bradipo68, tra i più ferrati sul genere horror.

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Luna Gualano

 

Luna, partiamo un po’ da te. Vivi a Roma, dunque viene spontaneo chiederti se sei romana.

No, sono di origini pugliesi ma vivo a Roma da ormai tanti anni. Sono una dei tanti romani di adozioni ma sono nata a Foggia.

Terra di autori la Puglia…

Si, soprattutto negli ultimi tempi. Ci sono molti registi che si stanno dando da fare: nonostante si sia cresciuti lontani dal mondo del cinema, abbiamo il cinema dentro. Anche se, è da sottolineare come negli ultimi anni la Puglia si sia dotata di diversi eventi, festival e rassegne, legate alla settima arte. Giusto per citare un evento, a dicembre sarò al Foggia Film Festival dove Psychomentary è finalista. Non ricordo eventi del genere quando ero adolescente o prima di spostarmi a Roma: c’era molto disinteresse all’epoca.

Quando è scattata in te la voglia di far cinema?

Ho studiato recitazione sin da quando ero piccola, avevo voglia di diventare attrice. Poi, quando ho iniziato a recitare, mi son resa conto che non era quello che volevo: desideravo stare dietro la macchina da presa e ciò mi ha portato a muovere i primi passi come regista. Ho iniziato a dirigere anche relativamente tardi, avevo 26 o 27 anni quando ho iniziato a impegnarmi seriamente nella regia. I primi lavori sono stati video musicali e spot ma appena ho potuto mi sono lanciata su altro: nascendo come attrice, la cosa che desideravo maggiormente era poter dirigere attori parlanti e questo in spot o videoclip è limitato.

Ho visto che hai curato, tra le altre cose, uno speciale su una serie di film per la tv in cui erano impegnati numerosi figli d'arte: ma davvero il cinema italiano sta diventando una cosa per figli e parenti d'arte? 

Purtroppo l'Italia ha sempre strizzato l'occhio ai legami parentali. Comunque non credo sia sempre necessariamente un male: conosco dei "figli d'arte" con tantissimo talento (giusto per fare un esempio Cesare Rascel e Adelmo Togliani) che possono addirittura essere sottovalutati a causa del cognome che portano. Insomma, non generalizzerei: se ti dai da fare, sgomitando qua e là c'è posto per tutti.

E come attrice, invece, quali esperienze hai avuto?

Le mie esperienze sono state soprattutto a livello di studio. A Foggia studiavo teatro, anche perché non c’erano altri campi più settoriali, mentre a Roma ho studiato a lungo alla Duse e ho recitato in un film horror autoprodotto mai uscito, tremendo, che mi ha fatto capire quali errori non vanno mai commessi su un set. E poi tanti piccoli lavoretti e cortometraggi, niente di importante o degno di nota, che mi hanno permesso dopo come regista di calarmi nei panni degli attori. In Italia, questo è un aspetto molto sottovalutato dal punto di vista registico: non sempre i direttori riescono a mettersi nei panni degli attori e a capirne le loro esigenze o il loro rapporto con la storia e il come questa viene raccontata. Mi è capitato di lavorare con attori che si lamentano proprio di ciò: in Italia, ci si sente spesso poco “diretti” dai registi. Per fare il regista bisognerebbe come minimo fare un corso di recitazione o avvicinarcisi in maniera molto pratica: se non sai cosa vuol dire recitazione, come puoi pensare di guidare qualcun altro? Non devi necessariamente essere Al Pacino ma la capacità di dirigere bene gli attori, secondo me, dipende anche dal sapere cosa significhi essere un attore e dall’averlo provato sulla propria pelle. Si rischia altrimenti di “non dirigere” gli attori ma di dedicarsi solamente alle inquadrature, ai movimenti di camera, al montaggio, disinteressandosi del contenuto. Purtroppo, è un tipo di approccio che discende dalle produzioni televisive nostrane, che non hanno nulla a che vedere con i prodotti tv delle altre nazioni e in cui la recitazione viene sacrificata o mortificata.

Psychomentary invece è fondamentalmente un film di attori. Pochi e sempre in scena. Dell’assassino, non vediamo nemmeno il volto. È una scelta questa?

Considera che tutto il film è stato girato, pensato e preparato in pochissimo tempo. Dovendo girare con doppio ciak, abbiamo dovuto adeguarci a molte cose. La maschera del killer, inizialmente, era a mezzo volto e ripresa dalla commedia dell’arte: l’ho voluta cambiare con quella del medico della peste fondamentalmente per coprire la bocca dell’attore. In questo modo, tutte le parti del killer sono state girate una volta sola per esser poi doppiate in studio. Se non avessi optato per la maschera integrale, non sarei riuscita a terminare le riprese in tre settimane e mezzo…

Psychomentary nasce come un vero mockumentary, è il killer a montare tutta la storia per mandare un messaggio. Sarebbe stato un controsenso mostrare il suo volto: se sono io il colpevole, non mi faccio riprendere dalle mie telecamere. Tra l’altro, non lo interpreta nemmeno un attore professionista ma lo porta in scena la stessa persona che si è occupata del mixaggio dell’audio e della scelta dei brani: Emiliano Rubbi (Ra-B), un produttore musicale che collabora con me, oltre che a essere il mio compagno nella vita. Trovare un attore professionista disposto a recitare in un film low budget e bilingue, in un contesto dove non si sarebbe mai visto in faccia, era una missione quasi impossibile: nessuno avrebbe mai accettato a meno che di non raddoppiare il cachet e con il nostro budget limitato non potevamo di certo permettercelo. Con Emiliano abbiamo impiegato pochissimo tempo per le riprese, le battute sono state inserite in post-produzione e tutte le riprese con dialoghi tra il killer e il capitano di polizia sono state realizzate con qualcuno che dava le battute al capitano, interpretato dal bravissimo Gianluca D'Ercole, prima di essere montate in studio con la voce del killer.

Quando si dice ‘di necessità virtù’…

Assolutamente. Tutto il film è ‘di necessità virtù’. Ogni singolo istante.

 

 

Chi è che ha deciso di mandarlo direttamente in homevideo e di non tentare la via dell’uscita in sala?

Purtroppo, è stata una scelta della produzione su cui non ho avuto molta voce in capitolo. Sarebbe potuto andare in sala ma è stato deciso di farlo uscire direttamente in dvd. Di certo, aveva delle possibilità che non sono state sfruttate. Nonostante si tratti di un iper low budget e abbia i suoi difetti, Psychomentary avrebbe potuto raccogliere 100 piuttosto che i 20 che sta raccogliendo.

In compenso, appena sbarcato nei siti di streaming illegale, troppo spesso additati come il male maggiore dell’universo cinema, Psychomentary è diventato una hit.

Ti sorprendo: sono molto contenta di ciò. Può sembrare un controsenso ma vederlo “piratato” mi ha resa felice. Vedendo anch’io molti film in streaming, mi sono esaltata nel vedere il mio e, soprattutto, nel leggere le critiche. Del resto, più gira e più sono contenta: da regista, realizzare un film e tenerselo nel cassetto è quasi inconcepibile per me. Mi dà il nervoso non far vedere il mio lavoro.

Sei la prima persona che mi dice di essere contenta di essere stata “piratata”…

Credo che lo streaming sia la pubblicità del nuovo millennio. Guarda ad esempio la serie tv The Walking Dead: la prima puntata della seconda stagione ha avuto ascolti cinque o sei volte maggiori di quelle della prima serie. Questo perché il passaparola della gente ha spinto chi non aveva visto la scorsa stagione a recuperarla in streaming. Agli appassionati o ai feticisti dell’oggetto ad esempio non interessa di averlo visto in streaming: per loro non cambia nulla, correranno lo stesso ad acquistare il loro dvd. Chi non si compra il dvd non l’avrebbe comprato neanche senza lo streaming. Sono convinta che lo streaming gratuito andrebbe sfruttato di più, anche per pubblicizzare le proprie opere. È come una forma di promozione, no? Il problema è un altro: la gente, semmai, andrebbe educata a comprar poi le cose belle come segno di sostegno nei confronti di chi le ha prodotte. Ma non va negata prima la possibilità di vedere ciò che poi andrà a comprare.

Resto del parere che Psychomentary per via del suo contenuto sociale (le vittime della strada e il risarcimento delle assicurazioni) molto forte sarebbe dovuto andare in sala o avrebbe dovuto ricevere un trattamento migliore di quello che ha avuto. Non è l’horror splatter che va tanto di moda e poi non lascia nulla…

Di questo bisogna dare il merito allo sceneggiatore, Giorgio Amato. Il suo è uno sguardo inedito su un certo tipo di temi. È stato etichettato come horror dalla produzione ma non credo che si possa definire tale. Al limite, se dovessi inserirlo in un genere, parlerei di thriller sociale. L’obiettivo di Psychomentary non è quello di creare stati di tensione ma è quello di documentare e di denunciare: in molti nella visione non colgono quest’aspetto. Non c’è né l’intento di spaventare né di tenere tutti sul filo. A differenza dei mockumentary in cui si è soliti creare tensione usando la soggettiva della vittima, in Psychomentary lo spettatore segue il killer.

 

Psychomentary: Roberta Radossi

 

Un film a “basso costo”, in cui tu hai avuto molti ruoli, non solo quello di regista...

Nasco dai videoclip, sono abituata a lavorare anche a “basso costo”. In Psychomentary mi è capitato di fare qualsiasi cosa, dal sistemare i cavi, al montaggio, alla fotografia... Tuttavia, non gradisco particolarmente quest’approccio al lavoro e credo possa essere controproducente per chi è all'inizio.

Nei miei primissimi lavori, anche se piccoli, investii tutto il budget disponibile nella troupe. Mi circondai di ottimi tecnici e artisti, pagando anche di tasca mia, e da loro ho avuto modo di imparare tanto. Molti si affacciano alle prime esperienze volendo fare tutto da soli, io consiglio di fare esattamente l'opposto. Se si ha anche una piccola possibilità di budget, investirlo tutto in una buona troupe, il risultato sarà migliore, e si sarà fatta veramente “scuola”. Poi ovviamente si deve essere disposti a fare di tutto, altrimenti non si è in grado di comprendere le difficoltà che gli altri ruoli su un set incontrano.

Parlami del cast: attori alla loro prima esperienza? Da dove proviene il tuo gruppo di lavoro?

Penso che investire sulle persone che devono lavorare con te abbia sempre un suo “ritorno”, per questo cast in particolare ho avuto davvero fortuna. La maggior parte degli attori sono professionisti a inizio carriera. Dopo soli dieci giorni che avevano ricevuto il copione e la sceneggiatura, sono iniziate le riprese... che erano appunto sia in italiano sia in inglese.

Tra gli attori c'è anche una Giulia Gualano... parente?

Sì, mia sorella, che è stata davvero bravissima, sapevo che era adatta per quella parte (Giulia Gualano interpreta la dott.ssa Di Rosa). Conoscevo già Roberta Radossi (la figlia del senatore), che successivamente ha lavorato con me anche in Father Mario -Exorcism Tutorials, una serie web [in calce alla pagina, ndr].

La sorpresa è stata Gianluca D'Ercole, il protagonista (il capitano dei carabinieri): una vera rivelazione non solo per la bravura ma anche per la disponibilità totale che ci ha messo. Eravamo a girare in febbraio, faceva freddissimo... e come sai c'è una scena lunga in cui lui è completamente nudo... beh, ti assicuro che faceva davvero freddo e non c'era il minimo riscaldamento. Guarda... quando si lavora a low budget è davvero importante circondarsi di persone che ti danno la forza, soprattutto nei momenti di tensione che inevitabilmente si vengono a creare.

 

Psychomentary: Gianluca D'Ercole

 

Beh, credo che comunque dipenda anche da chi sa creare il gruppo, il regista è fondamentale in questo!

Ho sempre cercato di creare un buon clima, chi lavora con me, anche se ha un ruolo più importante di un altro, non si deve permettere di avere atteggiamenti da “superiore”... altrimenti con me non lavora più.

Ci sono alcune scene in Psychomentary che avrebbero potuto essere molto più splatter ed esagerate, la tua scelta è stata quella di non eccedere, perché?

Purtroppo certe scelte sono condizionate dai costi. Costi e tempi sono due elementi che influenzano tantissimo la riuscita del film. Per Psychomentary gli effetti speciali sono curati da Riccardo Montella, che ha vinto il premio al Tohorror Film Fest del 2013 per i migliori effetti speciali. [Psychomentary di Luna Gualano a quello stesso festival ha vinto il “Premio Anna Mondelli” per la miglior opera prima , ndr].

Una cosa che mi ha colpito del tuo film è la scelta delle musiche, veramente anticonvenzionali: ce ne puoi parlare?

La selezione musicale è stata fatta assieme a Ra-B. Grazie a lui, ho avuto modo di scoprire tantissimi artisti della realtà capitolina. In Italia spesso non ci si rende conto di essere circondati da veri e propri talenti, che meriterebbero palcoscenici più vasti e una notorietà molto maggiore di quella che spesso hanno.

Quali sono le tue ispirazioni in campo registico?

Ho veramente troppi "miti", sarebbe veramente dura citarli tutti.. In generale adoro l'"eccesso", se proprio dovessi citarne solo un paio. Direi Tarantino e Rodriguez.

Hai una certa esperienza nel campo del videoclip, in futuro ti vedi più regista di cinema e televisione o di video musicali?

Amo la musica ma credo che, ad un certo punto, qualsiasi regista finisca per sentirsi un po' stretto nei panni del "regista di videoclip". Adesso sto guardando verso il cinema, ma il mio vero sogno sarebbe produrre e dirigere una serie horror italiana.

Quali sono i tuoi progetti futuri e a che cosa stai lavorando adesso?

Attualmente sto lavorando alla pre-produzione del mio secondo lungometraggio, un horror (in questo caso mai definizione fu più "azzeccata") intitolato Confiteor. Si tratta di un progetto un po' inusuale per l'attuale panorama italiano.

 

Psychomentary: Emiliano Rubbi, backstage

 

Come vedi la scena horror italiana?

In realtà sono molto ottimista. Vedo un sacco di nuovi nomi affacciarsi a questo genere. L'unica "nota dolente" è che spesso questi registi vengono considerati maggiormente all'estero che in patria. Purtroppo il pubblico italiano è estremamente critico nei confronti dei propri connazionali e dimentica che, spesso, pur di tenere "vivo" il genere, molti registi sono disposti a lavorare con pochissimi mezzi o addirittura ad autoprodurre i propri film.

Perchè in Italia si investe solo in commedie e non in altri generi come si fa altrove?

Le commedie si rivolgono a un pubblico molto più vasto rispetto ai film di genere. Se investi su un prodotto di nicchia devi necessariamente rivolgerti anche al mercato estero per poterci guadagnare e generare un profitto. Purtroppo la maggior parte dei produttori nostrani è ancora molto "diffidente" verso il mercato globale, che richiede altri accorgimenti rispetto a quelli che bisognerebbe avere in una produzione rivolta esclusivamente al circuito italiano. Fortunatamente sto costatando che molti produttori stanno cambiando mentalità, anche spronati dalle nuove leve.

Sei una rarità soprattutto qui in Italia: regista donna di un film horror. Pensi che questo possa agevolarti o no nella tua carriera?

Sinceramente non penso né che mi possa agevolare né il contrario. In realtà non mi piace essere etichettata come “regista donna”, penso che una persona sia semplicemente un regista, senza specificarne il sesso. Spesso sono le stesse donne che fanno le registe a ghettizzarsi da sole, pretendendo “attenzioni” differenti. Mi è stato anche rimproverato che nel mio film non ci sono ruoli femminili di spicco, che non ho voluto mettere la figura della donna in risalto. Io mi sono semplicemente concentrata sulla storia. Un bel film horror splatterone non deve avere necessariamente ruoli femminili impegnati! Per fare un horror devi solo avere voglia di raccontarlo, senza pensare se sei una donna o meno. Penso seriamente che il grosso limite delle registe donne siano... le registe donne. Quando ero più piccola, e iniziavo questo lavoro, la mia troupe era spesso di soli uomini.

Ovviamente mi vedevano giovane, inesperta e donna... ma quando dopo una prima mezz'ora hai dimostrato di non avere crisi isteriche, di non essere una pazza e di avere le idee chiare e la voglia di lavorare e che sei in grado di saper fare ... beh, il rispetto vien da sé. Spero sinceramente che si possa arrivare ad una equità non pensando di essere donne, ma solo delle registe.

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