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ROMA CITTA' CINEFILA: FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA - GIORNO 3 – l'Eden, Lucifero e la vampira.....per non tacere di Escobar
di alan smithee ultimo aggiornamento
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locandina

A Girl Walks Home Alone at Night (2013): locandina

 

 

Siamo purtroppo già alla fine di questa breve ed entusiasmante avventura cinematografica romana; breve certo, ma tuttavia dai ritmi non meno serrati di quelli riservati agli altri festival che ho recentemente frequentato.

Giornata intensa (7 film uno dietro l'altro) e piuttosto interessante, come cercherò di sintetizzarvi (parola grossa) qui di seguito.

Al mattino un Richard Gere in stato di indigenza apre la maratona con l'ultimo film dell'interessante regista Oren Moverman, già responsabile dei due piuttosto riusciti The messenger – Oltre le regole e del thriller Rampart. Il film è TIME OUT OF MIND.

Troviamo il divo nei panni, per lui inusuali, considerata anche la bella presenza esteriore che continua imperterrita ad accompagnarlo pure oltrepassati i sessanta, di un uomo ormai anziano, da anni caduto in disgrazia e condotto in caduta libera verso un baratro che sembra non avere mai fine.

Richard Gere

Time Out of Mind (2014): Richard Gere

Vedovo precoce, ha cominciato a bere e gli è stata sottratta la figlia appena dodicenne, affidata alla nonna materna; poi ha perso il lavoro, poi la casa, ed ora vive in stato di completa indigenza occupando case sfitte, cercando asilo nelle sale d'attesa dei pronto soccorso, o presso il Bellevue Hospital, il più grande centro newyorkese di accoglienza per senza tetto. Cerca anche di trovare una nuova occupazione, ma la totale mancanza di documenti d'identità o di persone che possano garantire le sue generalità, non gli consente di frenare questa caduta verticale senza fondo.

Un tentativo estremo di approccio con la figlia barista, con lui fredda e disillusa – come darle torto - lascerà almeno aperto un barlume tenue di speranza all'orizzonte, senza diradare troppo la corte di nuvole nere che si staglia da tempo all'orizzonte e tutto intorno all'uomo.

Moverman ha l'intelligenza di filmare senza fronzoli ed elementari disincanti, e la fortuna di avvalersi, per una volta in un film americano di medio budget, di uno script che riesce a rimanere lucido e schietto senza perdersi nei facili sentimentalismi melensi e nella subdola retorica in cui gli americani spesso si perdono irrimediabilmente. La pellicola dunque, pur scontando tempi eccessivamente lunghi ed un ritmo decisamente blando se non a tratti soporifero, ha la coerenza di restare leale alle proprie intenzioni, senza edulcorare e illudere per piacere a tutti i costi: infatti proprio per questo il film in sala è piaciuto poco, ma questo aspetto è – mi spiace fare sempre il bastian contrario – il valore più forte di una pellicola a suo modo coraggiosa e coerente.

VOTO ***

 

Si esce dalla sala solo per rientrare nella stessa dove, ancora una volta per il concorso “Cinema di oggi”, è il turno dell'italiano I MILIONARI, di Alessandro Piva, il regista dei già positivi se non belli Mio cognato ed Henry, quest'ultimo in concorso al TFF qualche anno fa. I milionari è la risposta napoletana al calabrese Anime nere, e racconta trent'anni d'Italia camorristica con le gesta di una famiglia che riesce a tenere, appunto per tre lunghi decenni, le fila economiche della grande città campana con il commercio di stupefacenti e di ogni attività clandestina all'infuori dello sciacallaggio alle spese dei commercianti.

Francesco Scianna, Valentina Lodovini

I milionari (2014): Francesco Scianna, Valentina Lodovini

L'ebbrezza del potere che non è nemmeno fine a se stessa, ma il tentativo di rendere borghese, finalmente in una condizione di agiatezza (che si esprime anche ed efficacemente in arredamenti e oggettistiche kitch e pesanti di interni che ricordano o danno molto l'idea della ricchezza caduta dal cielo e gestita con i gusti semplici e ridondanti di chi l'ha sempre sognata), una famiglia semplice che ha sempre vissuto arrangiandosi; una moglie che non vuole sapere, che ama il marito boss ma solo a patto che costui tenga separate l'attività dalla famiglia: separate si, ma confinanti nello stesso quartiere. Tre fratelli che si riducono ad uno, il consapevolmente avvenente e un po' piacione "Alendelon", ovvero il superstite dei tre ed il creatore dell'impero: una organizzazione che ad un certo punto deve affrontare il problema di come gestire materialmente tanta carta moneta, destinata a marcire nei depositi clandestini ove viene custodita. Il mercato della droga, quello dei diamanti, utilizzati per alleggerire la gestione delle suddette banconote; i clan rivali e traditori: la scelta di divenire un collaboratore della giustizia, salvando la famiglia ed andando a vivere sotto mentite spoglie in un posto lontano al nord del paese.

Piva procede con piglio in un racconto secco e ben orchestrato, magari tutt'altro che nuovo e magari meno affascinante e pittoresco del cupo e già citato collega contemporaneo Anime nere ancora in sala dopo gli entusiasmi veneziani.

Francesco Sanna offre una interpretazione molto fisica, nervosa e convincente, e la coppia completata da una credibile ed opulenta, ma anche sexy Valentina Lodovini, funziona ed appare attraente, ma pure credibile.

VOTO ***1/2

 

Di corsa in pullman sulla “linea cinema” mi trasferisco, solo temporaneamente, dal Parco della Musica al cinema Barberini per riacciuffare (e faccio solo che bene!) quel piccolo gioiello in bianco e nero che è A GIRL WALKS HOME ALONE AT NIGHT. Un horror western che parla di vampiri come lo farebbe Jarmush, ma non nello stile del suo ultimo bel film con medesime tematiche (Only lovers slept away), ma piuttosto col disincanto affascinante alla Stranger than paradise; un film saggiamente citazionista che ci presenta un protagonista maschile che mima sfacciatamente James Dean de Il gigante (con in sottofondo i tentacoli meccanici di quei dinosauri di ferro delle strutture che estraggono petrolio dai pozzi nel deserto, o anche il Marlon Brando in canottiera di Un tram che si chiama desiderio). Una vampira vestita come Belfagor (attori e costumi sono ispirati alla cultura iraniana da cui provene la talentuosa regista) si aggira per le strade polverose di Bad City, (una Sin City che non ha bisogno dei cartoon per risultare un posto fuori dal mondo) alla ricerca di derelitti a cui succhiare il sangue, abbandonandoli senza vita lungo un canalone senza che nessuno ne denunci la circostanza.

Arash Marandi

A Girl Walks Home Alone at Night (2013): Arash Marandi

La ragazza incrocia per caso la vita di un ragazzo che fa il giardiniere e che ha sudato molto per guadagnarsi i soldi per comprarsi una fiammante auto d'epoca, che poi il sexy pusher truzzo e crudele con le prostitute,  che è solito rifornire il vigliacco del padre drogato del ragazzo, gli sottrae per rifarsi dei debiti del debosciato genitore quasi sempre in stato comatoso od incosciente.

I due (James Dean e la vampira) diventano amanti e, dopo alcune vicissitudini, decidono di scappare insieme portandosi appresso un gattone pacioso stupendo che il ragazzo aveva raccolto per strada per far sentire meno solo il padre, vedovo e perso nel vizio della droga.

Grandi atmosfere noir, una vampira che si sposta in skateboard sottratto ad un bambino minacciato di morte (un effetto stupendo, nella notte cupa che il b/n rende affascinante e paurosa come il famoso fantasma del Louvre), più un nuovo James Dean iraniano, per un film americano recitato da attori spesso affascinanti, vestiti con i costumi locali dei paesi islamici, ma trasferiti in un Far West senza tempo molto sinistro ma del tutto originale e sorprendente. Un film che potrebbe divenire un cult ed una regista da tenere d'occhio con molta attenzione.

VOTO ****

 

Rientrato al Parco della Musica in soli quindici minuti, il tempo di un pasto frugale ma necessario, mi porta all'ora dell'atteso e già annunciato come controverso LUCIFER, del belga Gust Van Der Berghe, ambientato in un messico rurale anch'esso senza tempo come il texas posticcio del film precedente.

Il diavolo compare sulla Terra sotto le mentite spoglie di angelo dal viso sinistramente caprino e asimmetrico, e insidia una famiglia composta da una anziana donna di nome Lupita, sua nipote, e il fratello della prima che si finge disabile per far lavorare le due donne, che allevano un piccolo gregge di pecore traendone il minimo sostentamento, e quindi farsi servire come un vigliacco.

scena

Lucifer (2014): scena

Il demonio semina zizania costringendo il vecchio a camminare per far credere ad un miracolo, mentre la sorella anziana perde la fede che la sorreggeva e la nipote, sedotta dal maligno, resta sedotta, incinta e ovviamente abbandonata. Girato quasi interamente con uno schermo ridotto ad un cerchio, che ovalizza le immagini sui contorni e in qualche modo rende l'idea di una vicenda corale che riguarda l'intero globo, pur partendo dal luogo più remoto e nascosto del mondo, il film eccentrico e spigoloso del giovane controverso regista belga, apre la via ad un percorso complesso e difficile che disorienta e lascia interdetti.

La pellicola, che si preannuncia ispirata alle tematiche dantesche della colpa e della espiazione, dei tre regni eterni a cui venir destinati, ricorda un po' le tematiche dei grandi misteri e dogmi delle prime pellicole di Reygadas, ed è stata accolta con un certo distacco da una platea piuttosto scettica e disorientata; inoltre è suddivisa in tre atti, Paradico, Peccato e Miracolo, sempre con un preciso riferimento anche strutturale alla opera trina dantesca: capitoli che sono a tutti gli effetti le fasi diaboliche, mascherate per divine, di una macchinazione malvagia ai danni di una umanità in buona fede ma credulona e facilmente soggiogabile, sempre pronta a sperare in un riscatto, anche a costo di trovarsi più condannata e compromessa di come lo era prima dell'avvento del sedicente nuovo messia. Tenuto conto che il premo quest'anno lo attribuisce il pubblico (e qui non faccio commenti che è meglio), posso anticipare con una certa disinvoltura che il singolare film non otterrà alcun riconoscimento.

VOTO ****

 

Un cartoon irlandese delicato e piacevole dal titolo SONGS OF THE SEA, è quello che ci vuole per alleggerire un po' i toni tornando bambini e facendosi prendere da una bella favola nordica a base di bambine dai poteri magici e nascosti: caratteristiche tali da rendere una piccina di esse, la muta Saoirse, una “selkie”, creatura mezza umana , mezza marina, grazie ad una segreta ereditarietà di caratteri di provenienza materna, e che si manifestano putroppo nel momento in cui la genitrice muore senza aver spiegato tali circostanze alla piccolina.

locandina

Song of the Sea (2014): locandina

Saoirse perde l'uso della parola dopo il lutto in famiglia e viene condotta col fratello in città dalla nonna, una energica donnetta che agisce di cuore, ma non può arrivare a capire cosa nasconde la nipote. Il manesco fratellino maggiore si rivelerà ben più maturo di quanto appaia in effetti e, assieme al suo enorme cagnone, formeranno una squadra improvvisata, ingenua ma affiatata per recuperare gli oggetti, perduti negli abissi marini, che possano completare la trasformazione della piccola in una vera leggendaria selkie.

Songs of the sea è un affascinante favola a cartoni animati dalle suggestive atmosfere nordiche, dal disegno stilizzato e un po' rigido che tuttavia appassiona e cattura grandi e piccini attorno ad una natura selvaggia ed incontaminata di un paradiso naturale da sogno.

VOTO ***1/2

 

EDEN è il più recente film della valida giovane regista francese Mia Hansen-Love: un'opera che andrebbe vista in una sala sgombrata di poltrone: tutti in piedi a ballare i ritmi coinvolgenti anni '90 di quel genere ibrido dance-elettronico nota anche come “Garage”. Nonostante la stanchezza del sesto film affrontato pressoché ininterrottamente, il ritmo dance della splendida (almeno per me) colonna sonora invita a tenere il tempo, crea entusiasmo anche quando il film affronta vicende un pò cupe che contraddistinguono un ventennio di vita del nostro protagonista. La storia dei due DJ che hanno inventato la dance acustica accompagnata da vocalist d'eccezione, diffusa nei locali dopo averla suonata nelle feste private, coinvolto masse verso un nuovo mondo di intendere la disco. Una musica dove i suoni dell'elettronica si fondono con la potenza della voce, valorizzando ritmo e tonalità dance accattivante che noi ex ragazzi degli anni '90 ben ricordiamo con una certa nostalgia.

La musica con cui sono nati i famosi Daft Punk, quella degli italiani Eiffel 65, quella dei Clean bndits di oggi. i Daft appaiono a fine film col sottofondo delle note melanconiche ma ritmate del loro disco più recente.

locandina

Eden (2014): locandina

Il film segue i passi di Paul, i successi e la caduta quando si ritrova DJ troppo anziano senza aver sfondato come vorrebbe, pieno di debiti, di dipendenze da cocaina, di donne spesso bellissime (una è Greta Gerwig che sembra vivere un secondo capitolo di Frances Ha, l'altra la splendida iraniana Golshifteh Farahani), con cui egli ha percorso strade fondamentali della propria esistenza senza mai riuscire ad arrivare ad una traguardo definitivo. Un film drammatico in cui i dolori e gli insuccessi si annientano davanti al ritmo indiavolato ed affascinante di una musica che può essere considerata a buon titolo vuota ed artificiale dagli esperti in materia, ma che ha dalla sua la gioia di un ritmo travolgente che incendia le membra allontanandoci, solo momentaneamente, quasi come una droga innocua che non crea dipendenze pericolose, dai dispiaceri delle difficoltà e dei dolori di cui sono piene le esistenze e le quotidianità. Una colonna sonora magnifica che incendia di emozioni noi quarantenni che nei '90 ballavamo quelle musiche e che comprerò subito. Tra gli altri interpreti, oltre al combattuto protagonista Felix de Givry, l'ormai celebre trentenne mai cresciuto Vincent Macaigne, ormai una celebrità in Francia, davvero bravissimo e la biondona fatale Laura Smet, viziata e spendacciona coi soldi degli altri, che porta alla rovina il nostro debole DJ. 

VOTO ****

 

ESCOBAR: LOST PARADISE segna l'insolito esordio del noto attore italiano Andrea Di Stefano (Il principe di Homburg di Bellocchio, Angela di Roberta Torre, Cuore Sacro di Ozpetek) alla direzione di un'opera internazionale. In un festival come quello di quest'anno caratterizzato da esordi italiani a largo respiro (proprio ieri il valido Last Summer di Leonardo Guerra Seragnoli), scoprirne uno con attori e divi americani del calibro di Benicio Del Toro, lui che dopo il “Che” di Soderbergh si trova inevitabilmente di nuovo alle prese con un biopic su un personaggio di cui nessuno potrebbe immaginare altri se non lui a ricoprirne le vesti, dà una certa immagine nuova, onore e orgoglio ad un cinema come il nostro spesso anche apprezzato internazionalmente, ma non certo aperto e votato alla internazionalità. Citiamo Del Toro ma avreste dovuto sentire le grida selvagge delle ragazzine quando nell' immenso Auditorium Santa Cecilia la voce di presentazione pronuncia il nome del divetto tanto apprezzato conosciuto come Josh Hutcherson. Onore al merito di tanta riuscita, ma qualche dubbio sin dal titolo, almeno quello che circola in Italia, che vede il nome di Escobar campeggiare prima di ogni altra parola.

 

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Escobar: Paradise Lost (2014): locandina

La figura controversa del più noto, spietato e potente trafficante di droga colombiano infatti, viene quasi messa in secondo piano nel raccontarci le gesta di contorno, ovvero quelle di un ragazzo canadese che, giunto nelle spiagge tropicali del paese della droga per aprire un locale sulla spiaggia assieme al fratello da dedicare ai surfisti, si imbatte ed innamora di una nipote di Escobar, venendo a contatto col criminale e divenendone, suo malgrado, uno stretto confidente.

La vicenda, sceneggiata anche dalla validissima Francesca Marciano, filmata anche con una certa destrezza ed un ritmo da blockbuster americano che appare anche coerente col prodotto di largo consumo, rimane tuttavia a mio avviso eccessivamente legata ad una storia di contorno che svia dal personaggio carismatico che a tutti (o quasi) interessa, e che è quello del brigante, sviluppato e reso coerentemente da un Del Toro mastodontico, animalesco e che mette davvero paura, ma che tuttavia non ha il tempo (non gliene viene proprio dato) per coltivare e rendere la sua figura il personaggio a tutto tondo, tremendo e controverso quale è stato il pericoloso narcotrafficante. Un boss dotato di slanci di generosità e di furie senza pietà che rendono davvero contraddittoria ed ambigua la sua figura, meritevole di un baricentro più focalizzato su di lui e meno sul ragazzino canadese vittima di una personalità malvagia e straripante. Nulla si accenna al mercato della droga che lo ha reso una potenza, nulla riguardo alla sua organizzazione e rete di smercio per tutto il mondo. Un episodio familiare ed un incubo per un ragazzo canadese e la sua famiglia prescelti per confezionare un thriller di cassetta piuttosto concitato, ben diretto da in Di Stefano che tutto pare fuori che un esordiente, ma anche scontato e dagli esiti prevedibili. Onore al merito e meritati applausi di stima al regista promettente ed abile dalla platea di una sala Santa Cecilia piena fin quasi al tutto esaurito, ma comunque, nonostante tutto, un sapore acidulo in sottofondo come di delusione per quel che poteva essere il film sul narcotrafficante più famoso nelle mani di un attore sanguigno e unico come Del Toro.

VOTO **1/2

 

Per completezza di cronaca inserisco altri due film presenti qui al Festival di Roma e da me già visionati in quanto usciti nel mercato francese. Due titoli peraltro molto attesi come l'ultimo thriller di David Fincher, GONE GIRL e l'ultima prova da protagonista del compianto Philiph Seymour Hoffman ne A MOST WANTED MAN.

Ah dimenticavo!!! pure la baracconata Marvel dei GUARDIANI DELLA GALASSIA!!

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