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Venezia 2014 - Giorno 10: Ultimi colpi e premi collaterali
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E così ci siamo. I giochi sono fatti e nessun altro film inedito ci aspetta. Il venerdì, da sempre, segna per gli accreditati stampa la fine del festival di Venezia. Certo, mancano ancora le premiazioni che contano ma per quello ci sarà tempo sabato sera, momento in cui scopriremo chi sarà l’erede di Sacro GRA di Gianfranco Rosi. Per oggi, invece, dobbiamo accontentarci del premio Jaeger-Le Coultre Glory assegnato a James Franco, presente quest’anno fuori concorso con il penoso The Sound and the Fury. Il nostro Alan Smithee con la sua recensione è stato magnanimo: tra i viali del Lido, invece, ci si chiede a cosa serva invitare i suoi film. La risposta arriva da una inviata di una nota rivista fashion: il red carpet. Altrimenti chi osannerebbero le ragazzine?

 

Per la cronaca, le Giornate degli Autori hanno assegnato il loro premio Venice Days: è andato a Ritorno a L’Avana, l’opera meno convincente dell’intera filmografia di Laurent Cantet. Questa la motivazione della giuria presieduta dal regista Diego Lerman: «Con un luogo e un tempo delimitato, il regista riesce a realizzare un racconto emotivo e complesso su come affrontare i segreti del passato». Il premio del pubblico vede vincitore The Farewell Party di Tal Granit e Sharon Maymon mentre il riconoscimento Label Europa Cinemas è andato a I nostri ragazzi di Ivano De Matteo.

 

La Settimana della Critica ha invece assegnato il Premio del Pubblico Rarovideo al film serbo No One’s Child di Vuk Ršumovic. Una piccola nota sui premi spetta anche al premio L’Oréal per il volto emergente nel cinema: ad aggiudicarselo è stata Valentina Corti, a cui abbiamo portato fortuna con la nostra recente intervista.

 

La mattinata, come da abitudine, si apre con un film in concorso, l’ultimo. Si tratta di Good Kill di Andrew Niccol, un’opera che racconta dello stress di un pilota di F-16 costretto dal progresso delle tecnologie a guidare droni impiegati nella guerra contro l’Afghanistan del 2010. A parte la storia che definire fascista è un eufemismo, con annessa morale retorica, il nuovo lavoro di Niccol paga pegno: arrivato in un momento storico in cui Stati Uniti e Medioriente sono nuovamente ai ferri corti, il film si è giustamente meritato i fischi della sala stampa e l’indignazione generale per il modo in cui superficialmente si descrive la guerra. Sicuramente, non lo vedremo in zona palmares, nonostante Ethan Hawke ce la metta tutta per sembrare convincente (non riuscendoci). Qui, la recensione.

 

Good Kill: Photocall

 

Fortunatamente, dopo ci siamo ritemprati con la visione fuori concorso dell’italianissimo Perez. di Edoardo De Angelis. Non un film perfetto, spesso ingenuo e scontato, ma capace di inchiodare alla sedia con un Luca Zingaretti perfettamente in parte e lontano dall’eco del commissario Montalbano televisivo. «Mi ha sempre affascinato la zona grigia in cui criminali e persone per bene si incontrano: è la zona non geografica più vasta dell'umanità. I criminali, per come li ho conosciuti, non esibiscono la tessera della propria associazione a delinquere ma si rivelano solo all'occorrenza. Spesso, sono insospettabili. Al tempo stesso, le persone per bene, così come le ho conosciute, sbandierano la loro purezza ma, messe alle strette da circostanze coercitive o mosse dalla convenienza, spesso si sporgono nella zona grigia. Perez non sbandiera la propria purezza, naviga a vista nelle acque grigie del tribunale, dove l'unica verità è la verità processuale. La verità assoluta, lì, non importa a nessuno. Il tribunale di Napoli e l'abitazione di Perez sono nel Centro Direzionale, un quartiere che assomiglia al protagonista di questa storia: una promessa mancata di ricchezza e progresso. Ho voluto fotografarlo vuoto, freddo, come un'antitesi alla città. Ai piedi dei grattacieli imponenti di vetro e acciaio, ho schiacciato la figura di un avvocato d'ufficio, un uomo curvato dal peso della prepotenza e dell'insuccesso. Il viso di Perez è segnato dalla tristezza, gli occhi sono cerchiati di rosso perché la sua immobilità viene turbata dal pericolo e, per fare ciò che deve, Perez non dorme. La macchina da presa è inquieta, sempre in movimento, insegue i personaggi, si infila negli ambienti sperimentando una grafia inedita grazie al supporto di strumenti prototipo sviluppati appositamente assieme al direttore della fotografia Ferran Paredes Rubio. Ho voluto raccontare il tormento di un individuo sull'orlo di perdersi che, di fronte all'estremo pericolo, trova la forza di diventare padrone del proprio destino». Questa la nostra recensione.

 

Il pomeriggio ci porta in mondi lontani: si vola fino in Georgia per parlare di povertà e crediti con Line of Credit di Salome Alexi, storia di una quarantenne che si ritrova creditrice in mezzo a un circolo vizioso senza fine (recensione). Le Giornate degli Autori scelgono di congedarsi invece con un titolo italiano: Patria di Felice Farina, libero adattamento dell’omonimo libro di Enrico Deaglio. «Il libro da cui è nata l’idea del film l’ho comprato appena uscito, citato in un’ennesima serata di discussioni sull’anomalia politica berlusconiana. Le perplessità si stavano facendo universali, così come la sensazione di un cambiamento ormai irrimediabile; molti riflettevano su cosa fosse successo. Il bisogno di raccontare in qualche modo il Paese si è condensato d’istinto nelle emozioni della lettura, nel racconto di trent’anni di turbinosi cambiamenti che cercano di rispondere alla domanda che i due protagonisti si pongono all’inizio del film: “come siamo finiti così?”. Un arco di tempo così denso di fatti importanti non si può raccontare nel tempo di un film: questo era l’ostacolo da superare. Ho tradito le forme del documentario con un esperimento, inseguendo la memoria di un film amato, che è Hiroshima mon amour di Resnais: quel modo di legare i frammenti di repertorio allo svolgersi di un racconto presente, quel fonderli in una sola cosa sincronizzando le emozioni della Storia a quelle dell’azione scenica. Il risultato è indefinito, come indefinito è l’oceano di ombre e luci della memoria. Durante il montaggio abbiamo scelto di affidarci sempre più a questo movimento, evitando di attribuire ai personaggi ricordi o evocazioni, e ricercando invece le emozioni possibili perché fossero queste ultime a rivelare il racconto», spiega il regista. Qui, la recensione.

 

Patria: Francesco Pannofino in sala tra il pubblico

 

Gran chiusura in serata con le tre ore fuori concorso di The Golden Era, attesa biografia della scrittrice Xiao Hong, realizzata dalla cineasta cinese Ann Hui. «Sono affascinata dalla biografia di Xiao Hong da quando ho casualmente scoperto i suoi romanzi negli anni '70. La sua è stata la vita della "artista romantica" per eccellenza: ha trascorso l'età adulta spostandosi da una città all'altra, ha sofferto a causa di storie d'amore tragiche, era dotata di un talento prodigioso ed è morta spaventosamente giovane di tubercolosi. Ma non sapevo come fare per trasformare la storia di questa esistenza in un film. Se ben ricordo, è stato nel 2006 che Li Qiang mi ha detto per la prima volta che era interessato a scrivere una sceneggiatura su Xiao Hong. Abbiamo concordato di sviluppare insieme il progetto e si è messo a lavorare al copione da solo. La scrittura lo ha impegnato per due anni e mezzo», afferma la cineasta. Questa la recensione.

 

La nostra avventura termina, dunque, qui. Tante sono le persone che vorremmo ringraziare. Innanzitutto, Database, che dall’ “alto” ha sempre provveduto a soddisfare ogni nostra esigenza. In secondo luogo, gli uffici stampa che ci hanno permesso di lavorare con tanto materiale da mettervi a disposizione (ma sì, anche quell’ufficio stampa che ci ha quasi “maledetti” per un’opinione non gradita) e in taluni casi osannati. Infine, voi che in tanti ci avete letto e regalato l’energia per essere svegli anche con tre ore di sonno per notte. Un ultimo particolare ringraziamento personalissimo va ai miei compagni di avventura: a Alan Smithee, per avermi sopportato e supportato anche nei momenti più “nervosi”, e a EightAndhalf, per avermi contagiato la sua voglia di scoprire un mondo inedito che troppo spesso tendo a dare per scontato.

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