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Le vie del cinema sono (in)finite #1 - Punto Omega
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Quanto è forte il legame tra mezzi espressivi diversi, e precisamente tra parola scritta e immagine filmata? Tanto, a volte troppo. Facile soffermarsi su film tratti da libri, banale e scontato il confronto dei due diversi strumenti espressivi. Ma se un romanzo è strutturalmente impossibile da trasformare in film? Perché alcuni libri, pur provocando nel lettore immagini nitide, restano incatenati alla carta e resistono alla trasposizione cinematografica? La domanda è nata dopo la lettura di un libro di Don DeLillo (intervistato da FilmTv.it), autore decisamente corteggiato dal cinema non sempre con risultati degni (si veda al proposito questo post fonte d’ispirazione, sempre qui su FilmTV).

Il libro in questione si chiama Punto Omega ed è un libricino (acquistabile qui per chi non ce l'avesse) di poche pagine, denso, affascinante e dall’immagine facile, che tuttavia non è stato ancora toccato dal cinema a differenza di altre opere dello stesso scrittore. Perché? Rispondere a questa domanda è esattamente l’obiettivo di questo post, primo numero di una rubrica che si occuperà di libri off limits per il cinema.

 


Punto Omega
racconta di un regista che ha deciso di girare un documentario su un teorico della guerra ultrasettantenne di nome Elster. Dopo averlo inseguito e corteggiato per anni, un giorno decide di andarlo a trovare a casa, nel deserto americano, per discutere di come sarà questo suo film, del taglio che vuole dare all’intervista e infine anche di questioni teoriche e filosofiche sulla guerra e sull’uomo,  nella speranza che Elster abbia le chiavi d’accesso a verità nascoste alle persone normali.

Alla vicenda del documentario, che si articola in un prima (in che modo il regista è arrivato nel deserto), un durante (le chiacchierate tra i due) e un dopo (l’arrivo di Jessie, figlia di Elster, che poi scomparirà nel nulla) si sovrappone una vicenda apparentemente disgiunta ed estranea che vede un uomo di identità ignota girovagare in un museo in cui viene proiettata un’opera realmente esistente di Douglas Gordon, ossia una pellicola in cui Psycho viene proiettato a velocità rallentata, ovviamente muto, in modo da durare un totale di 24 ore.

 

Il legame con quest’opera è particolarmente importante nell’economia del libro, perché porta alla luce uno dei temi principali che è il Tempo e la sua diversa scansione a seconda del contesto e della percezione personale, al di là dei due capitoli (l’introduzione e il finale) da cui poi si capirà il legame della vicenda nel museo con la storia di Elster e del regista.

 

Cominciamo dagli elementi filmabili di Punto Omega, ossia quelli che, durante la lettura, si traducono immediatamente in pellicola.

  1. I riferimenti a Psycho.
    Una storia che spiega se stessa usando un film o un suo derivato ha ovviamente un gran fascino dal punto di vista di uno sceneggiatore e/o di un regista. Proiettare Psycho muto e rallentato obbliga lo spettatore a rendere volontario l’atto del guardare, e a porsi delle domande, le stesse che in qualche modo si porranno Elster e regista nell’arco delle loro conversazioni.

    Era questo il senso. Vedere quello che c'è, finalmente guardare e sapere che stai guardando, sentire il tempo che passa, essere sensibile a ciò che accade nei più piccoli registri di movimento.

    Il tema su cui rendere attivo il proprio sguardo sarà la guerra ovvero la sua necessità, ma il meccanismo è uguale. Qualsiasi film che non usi il linguaggio cinematografico in modo invisibile e lineare obbliga lo spettatore a farsi parte attiva, a muovere e modulare lo sguardo per cercare significati. Sfruttare la visione di un film decisamente noto per farlo, per indirizzare lo spettatore, è un elemento potente di resa cinematografica immediata.

  1. Gli scenari visivamente impattanti.
    I due capitoli iniziale e finale sono ambientati in un museo, mentre lo studio sulla realizzazione del documentario si alterna tra alcune premesse ambientate in città (prima della partenza del regista) e tutto il resto della vicenda tra i due uomini, localizzata nel deserto e precisamente nella casa sperduta dove vive Elster, in cui avviene la maggior parte della storia. Da subito l’immaginario del lettore vola verso immagini del deserto e della provincia meridionale americana, condizionato dai film su secessione e schiavismo - un portico afoso, una sedia a dondolo mollemente oscillante, l'aria che quasi non si muove - magari contaminato da un’atmosfera rarefatta in stile Zabriskie Point, con i suoi silenzi rotti dal solo ronzio di mosche su carcasse di animali. Col procedere del racconto qualsiasi forma vivente, a parte i personaggi direttamente coinvolti, passano sullo sfondo lasciando in primo piano un paesaggio immoto e minimale in cui anche le emozioni paiono prendersi tutto il loro tempo per affiorare. Se i personaggi fisici, umani, del libro sono quattro, il Paesaggio è il quinto così come il Tempo è il sesto.

  2. La scansione e il significato del Tempo.
    Il discorso sul tempo che si faceva prima è particolarmente intrigante dal punto di vista cinematografico, perché permetterebbe di inserire in un'ipotetica sceneggiatura una sovrapposizione di piani diversi legati però dal comune denominatore della dilatazione temporale. L’esempio di 24 Hour Psycho è infatti fondamentale per interpretare anche le conversazioni tra Elster e il regista. Non a caso il vecchio analista dichiara più volte di avere una percezione alterata del tempo che passa, che è frutto della sua scelta di allontanamento dal mondo frenetico della città. Gli sembra in questo modo di poter decidere a quali momenti dare risalto, in quali periodi o parti della giornata concentrare il proprio tempo mentale. In questo modo vive più attivamente e dall’interno le sue giornate, senza il distacco dalla realtà di cui ha sempre accusato le persone per cui lavorava, quelle a cui prestava la sua consulenza in ambito bellico. Ma le considerazioni sulla guerra fanno parte degli aspetti infilmabili del libro, quindi se ne parlerà in seguito.

    Lei disse: - Il solito terrore. Cos'è il solito terrore? - Qui non c'è, il calcolo minuto per minuto, quella cosa che sento quando sono in una città. È tutto incastrato, le ore e i minuti, parole e numeri ovunque, così diceva, le stazioni ferroviarie, gli itinerari degli autobus, i tassametri, le telecamere di sorveglianza.
    Tutto ruota intorno al tempo, tempo cretino, tempo inferiore, la gente che controlla l'orologio e altri aggeggi, altri sistemi che aiutano a ricordare. È il tempo che scorre via lentissimamente dalla nostra vita.
    Le città sono state costruite per misurare il tempo, per togliere il tempo dalla natura. C'è un eterno conto alla rovescia, diceva. Quando hai strappato via tutte le superfici, quando guardi sotto, ciò che resta è il terrore. È questo che la letteratura vuole curare. Il poema epico, la favola prima di andare a letto.

 

  1. La struttura per flashback.
    La narrazione della convivenza tra regista e teorico utilizza molto spesso lo strumento del flashback, al punto da finire a volte perfino per confondere i piani temporali. Questo è ovviamente un aspetto molto cinematografico, soprattutto perché affidare parte della narrazione al flashback significa superare agevolmente la teatralità e la pressocché totale unità di luogo dell’intero libro.

  2. La forte caratterizzazione dei personaggi.
    Per quanto brevemente delineati i personaggi di Punto Omega appaiono da subito caratterizzati in maniera molto netta al punto da lasciare decisamente una misura indietro il personaggio del regista, la cui definizione pare zoppicare leggermente, al confronto. O meglio, la cui caratterizzazione discende da elementi meno netti e dunque passibili di maggiore margine di interpretazione. Per compiere un ulteriore passo avanti nel ‘gioco’ del salto da libro a film, chi legge questo post è invitato a contribuire a una playlist aperta in cui immaginare il fantacast dei quattro personaggi.

 

E veniamo agli elementi di debolezza (ovviamente, solo nell’ottica cinematografica) che rendono difficile pensare una trasposizione di questa storia in immagini.

  1. È fondato su analisi teoriche difficilmente traducibili in immagini.
    Legato al discorso sul Tempo c’è quello che è il vero nucleo della storia, ossia la riflessione sulla necessità della Guerra. Elster incolpa i suoi datori di lavoro, i governi che lui stesso definisce aziende criminali, di non conoscere davvero la guerra, di non averla mai vissuta, di essere poco a conoscenza dei territori fisici e geografici in cui si consumano, di ragionare e, quel che è peggio, decidere vite e destini di intere zone del mondo in una modalità che si potrebbe definire “guerra per videogame”, in cui la percezione è alterata, appiattita o semplicemente bidimensionale. Una freddezza che si traduce in inadeguatezza quando si tratta di scegliere strategie e di prendere decisioni giuste. Le riflessioni di questo tipo, che sono poi quelle che il regista vorrebbe fargli raccontare nel documentario, sono complesse e difficili da rendere in un film, a meno di far ricorso a lunghe parti dialogate o spiegate che però sono il tipico escamotage filmico che ricalca la parola scritta senza adattarla al mezzo.

  2. Prevalenza di dialoghi rispetto all’azione.
    È un libro, e quindi ovviamente è lecito aspettarsi una gran parte di dialogo rispetto all’avanzamento dell’azione vera e propria. Ma proprio per il carattere delle parti dialogate è ancora più difficile ipotizzare una resa scenica. L’unica parte che forse si potrebbe agevolmente svincolare dal dialogo potrebbe esser rappresentata dalle conversazioni che si svolgono a proposito del documentario che in sede di sceneggiatura potrebbero essere tradotte in frammenti del documentario stesso come se fosse stato girato realmente o anche solo come proiezione prelevata dall'immaginario del regista, con una struttura che somigli a un flash forward interrotta a tratti dalla voice over di Elster che commenta le parti su cui non si trova d’accordo.

  3. Le riflessioni personali del regista.
    Analogamente ai dialoghi, le elucubrazioni mentali del regista, quando ragiona sulla forma del documentario o si perde nei propri voli pindarici, sono difficili da trasferire in immagini senza che diventino monologhi didascalici. Stessa cosa per i richiami alla sua vita privata, che puntellano le riflessioni tra un dialogo e l’altro. Per inciso questo porta a un doppio ordine di problemi, perché, come si diceva, il regista è il personaggio meno caratterizzato, e questo anche perché gran parte del suo carattere discende appunto da queste riflessioni. Alcune sono molto potenti (Mia moglie una volta mi disse: - Cinema, cinema, cinema. Se fossi ancora un po' più denso saresti un buco nero. Un fenomeno, - disse. - La luce non ha via d'uscita.) ma altre sono decisamente complesse da rendere visivamente a meno di adottare uno stile un po’ visionario o astratto in cui però potrebbe essere facile tradire lo spirito originario del personaggio. Certo, l’alternativa è compiere una scelta arbitraria e colmare i vuoti decidendo che tipo di personaggio possa essere, ma non è l’oggetto di questa riflessione.
    Ogni tanto prendevo la macchina per conto mio e andavo in cerca di remoti punti d'origine dei sentieri e poi me ne stavo seduto in auto, a evocare il film, a girarlo, con lo sguardo fisso sulle distese desertiche d'arenaria. Oppure mi inoltravo con l'auto fino al fondo di stretti canyon altissimi, passando sulla terra dura e spaccata, la macchina che galleggiava nel caldo, e pensavo al mio appartamento, due stanzette, l'affitto, le bollette, le chiamate senza risposta, la moglie che non c'era più, la moglie separata, il portiere strafatto di crack, la signora anziana che scendeva le scale camminando all'indietro, lentamente, un'eternità, quattro rampe, all'indietro, e io non le ho mai chiesto il perché.
    Queste in effetti sembrano tutte scene da comporre fra loro in un montaggio che somigli a un flusso di coscienza. Ma non sarebbe affatto semplice rimanere fedeli al personaggio.

  4. Il finale sospeso / irrisolto.
    Il libro ha un finale, anzi una specie di doppio finale che ricongiunge logicamente le parti della narrazione. È perfettamente riuscito nell’ottica del testo scritto, soprattutto considerata la brevità del testo. Ma cinematograficamente parlando il ‘nodo’ finale necessita, se non di essere esplicitato, di essere quanto meno suggerito, in un minimo di meccanismo a orologeria che richiami magari storie destrutturate tipo Le iene o Rapina a mano armata, ma che non può ricalcare fedelmente la struttura del libro. Senza voler rivelare il finale, si potrebbe ipotizzare che i due capitoli di cornice (assai simili) possano essere girati in due modi completamente diversi, in modo da permettere allo spettatore di incorporare nella scena finale le conoscenze acquisite nell’arco di tutto il film / libro. Ad ogni modo, rispetto al libro, il finale necessita di un'elaborazione, magari anche unicamente e puramente visuale.

 

Visionario, cinematografico, sintetico, a tratti ambiguo. Così è Punto Omega di Don DeLillo. Eppure i volti, gli spigoli, la fisicità e l'essenza dei quattro personaggi affiorano a più riprese, con tratti molto netti. Al di là della prima idea, che è venuta fuori durante la stesura di questo post, sarebbe interessante sapere quali volti si sono sovrapposti in chi ha letto il libro, quali attori si sono materializzati durante la lettura. Per questo la Playlist Fantacasting è aperta e ogni suggerimento ben accetto. Perché forse Punto Omega non sarà mai un film. Ma molti.

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