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Quando Minna Moro - #01: Carey Mulligan
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La prima volta che l’ho vista, ho subito gridato “E’ nata una stella”:  quando nel film “An Education” (un film leggero e frizzante del 2009 – regia di Lone Sherfig), il suo primo da protagonista, ambientato nella Londra dei primissimi anni ’60, Jenny (il suo personaggio) se ne esce fuori all’improvviso con in capelli raccolti in alto e un sorriso tutto bollicine e joie-de-vivre né più né meno che come da Tiffany, da qualche parte lo spirito di Audrey Hepburn si è sentito alitare...

In molti lo notarono, molti altri considerarono esagerata quanto insensata questa associazione, fatto sta che la londinese Carey Mulligan fu subito in lizza per l’Oscar come migliore attrice protagonista, salvo vedersi superare poi dalla già abbondantemente prescelta e illimitatamente meno meritevole Sandra Bullock, tanto che in un divertentissimo incipit di una puntata di  “The Late Late Show”, programma dell’americana CBS che fa da contraltare al più noto  “The Late Show” di David Letterman, il suo conduttore Craig Fergusson la prende amabilmente in giro per questa suo mezzo passo falso (“Fermi tutti!” dice al pubblico che accenna all’applauso: “Non l’ha vinto, l’Oscar: se l’avesse vinto, a quest’ora sarebbe sulla NBC”).

 

Non avevo forse così torto, allora, sul fatto della stella: C.M. si ritrova chiamata a lavorare con registi del calibro di Oliver Stone (nel 2010, col poco riuscito sequel del suo celeberrimo “Wall Street”), Mark Romanek nel 2010 (che si era fatto ben notare nel 2002 col film “One Hour Photo” grazie soprattutto, ma non solo, ad un fantastico Robin Williams), con un film fra i più strazianti che ricordi di aver mai visto, intitolato “Never Let Me Go” (anche qui lievemente adombrata dalla presenza ingombrante della più “introdotta” Keira Knightley a causa di una scomoda convivenza con altri due co-protagonisti), Nicolas Winding Refn nel 2011, dove con il nerissimo, stupendo “Drive” il giovane regista danese si conquistò finalmente scena e notorietà vincendo a Cannes la Palma d’Oro per la migliore regia.
Poi ancora Steve McQueen, oggi agli onori delle cronache per la vittoria dell’ultima edizione degli Oscar sempre nel 2011 con “Shame” un altro film a tinte fosche fatto di ossessioni sessuali e profonde depressioni, Baz Luhrmann nel 2013, col quale lavora in “The Great Gatsby”, film record di incassi la cui unica pecca è proprio quella di aver dato tropo poco spazio alla Daisy toccata a C.M. (non era successo nel primo “Gastby”, 1974, con Robert Redford e Mia Farrow), fino all’ultimo, recente, meraviglioso film dei fratelli Coen “Inside LLewyn Davis”, dove la ritroviamo ahimè con i capelli di nuovo lunghi, così come l’avevamo lasciata nel suo film d’esordio, a straziarci di addii e lontananze.

Carey Mulligan

Il grande Gatsby 3D (2013): Carey Mulligan


Se è pressoché impossibile non innamorarsi di lei, è altrettanto doveroso invece prendersela seriamente col suo agente: escludendo infatti il ruolo del suo primo, folgorante film, dove una Jenny diciassettenne e intelligente, curiosa della vita e delle cose belle, si prodiga in una quantità di sorrisi smaglianti e ci regala un’infinità di quelle sue risatine “ad alta frequenza” (ci prova, la povera Domitilla D’amico, a rifare la stessa risata quando la doppia in italiano, ma...), in tutte le altre occasioni la si ritrova sempre in ruoli drammatici e seriosi, quando non addirittura vagamente piagnucolosi, fino a raggiungere punte davvero inaccettabili come nel piccolo ruolo che ebbe nel film del 2009 “The Greatest”, dove, accanto a Pierce Brosnan sembra un cagnolino bagnato abbandonato in autostrada. Non che non sia apprezzabile anche nei ruoli drammatici (e chissà che lei stessa non si senta più attrice drammatica che altro), ma per una che ha il suo maggior pregio nel saper muovere e coordinare perfettamente tutta, dico: tutta quella ventina di muscoli facciali soltanto per dire “Hey”, e che esterna questo suo naturale talento tanto meglio quanto più le viene chiesto di ridere e sorridere ed essere amabile, e che quando ride, ride anche con le spalle (guardatevi anche solo tre minuti della puntata di “The Late Late Show” per credere), tanti film così “pesanti”, per quanto importanti e utili alla sua carriera, e mai più un ruolo brillante e divertente come ebbe in “An Education”, sono davvero “Shame”.

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Anche su: mamononmamo.blogspot.it

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