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Supereroi al cinema: fenomenologia di un genere a tutti gli effetti - parte III
di scandoniano
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Dopo i primi successi ottenuti con personaggi “minori”, la Marvel decide di mettere in campo il suo supereroe più rappresentativo, affidando a Sam Raimi un ambizioso progetto sull’uomo ragno. Nel 2002 esce Spider-Man, primo capitolo di una trilogia che ha fatto storcere il naso a qualche purista del fumetto, ma che ha avuto nel complesso uno straordinario successo di pubblico. Successo dovuto ad una sceneggiatura che tenne conto (o meglio dovette farlo) del disastro dell’11 settembre, avvenuto durante la realizzazione delle riprese (uno dei primi trailer – successivamente cancellato – presentava una ragnatela creata tra le Twin Tower newyorchesi) e che improntava i toni del racconto su nazionalismo e difesa dei valori americani. Il successo  fu tale da vincere addirittura un Oscar per gli effetti speciali, nonché da incoraggiare, per quanto già in cantiere, due sequel, tra i quali Spider-Man 2 (Sam Raimi, 2004) fu il migliore, forse anche meglio dell’originale, grazie anche ad un villain, il dottor Octopus, reso molto credibile da Alfred Molina.

Ma prima del sequel sull’uomo ragno, la Marvel provvide a realizzare il secondo capitolo dedicato ai mutanti: esce X-men 2 (Bryan Singer, 2003), un altro straordinario successo di pubblico che indusse la casa di fumetti americana a buttarsi a capofitto nei cinecomics, provando a realizzare altri script con i suoi numerosi personaggi protagonisti. Sempre nel 2003, viene infatti portato sullo schermo Daredevil (Mark Steven Johnson, 2003), un film molto criticato dagli addetti ai lavori e che anche al botteghino ebbe un riscontro non proprio auspicabile dal “produttore medio”, anche se stranamente fu fautore dello spin-off Elektra (Rob Bowman, 2005), con la star del momento Jennifer Garner come protagonista.

Oltre ai citati prodotti Marvel, in generale l’anno 2003 si rivelò molto importante per il successo del genere. La leggenda degli uomini straordinari (Stephen Norrington, 2003), tratto dal capolavoro a fumetti di Alan Moore e Kevin O’Neill, film corale ed originale, ben recitato (tra l’altro ultimo film di Sean Connery), si rivelerà però molto lontano dall’archetipo fumettistico La lega degli straordinari gentlemen. Di tutt’altra pasta l’Hulk di Ang Lee, prima trasposizione dell’incazzoso omone verde, affidata all’autore taiwanese che veniva da  una prova ad alta spettacolarità (“La tigre e il dragone”, 2000), anche se nell’occasione una certa difformità dalla filosofia del fumetto e certe lungaggini ne fanno un prodotto spurio, criticato dagli amanti del personaggio, insomma un mezzo passo falso per la casa editrice fondata da Martin Goodman.

Alla fine di questo cruciale 2003 la situazione risultava chiara: la Marvel, pur essendo partita in ritardo, aveva già trasposto sul grande schermo molti dei suoi personaggi di punta (alcuni già con annesso sequel), mentre la storica concorrente DC comics era ferma al palo con le due tetralogie sull’uomo d’acciaio e l’uomo pipistrello che cominciavano a puzzare di stantio. La reazione della DC comics fu quella non solo di pensare ad un reboot di Batman, ma soprattutto quello di creare uno “stile DC”, che si distanziava decisamente da quello finora impostato dalla concorrenza, anche in virtù della natura dark del suo protagonista. A fronte di una leggerezza di fondo, annessa a uno stile più giocoso e faceto dei personaggi proposto dalla Marvel, la DC comics intendeva esperire il lato più profondo dei suoi personaggi, sottolineandone le peculiarità intime, creando di fatto eroi sofferenti e più seriosi, in cui il lato umano veniva tratteggiato con maggior cura. È qui che di fatto nasce il duopolio nei cinecomics, con la risultante che tra i due “litiganti” chi gode è lo spettatore appassionato, che assisterà da ora in avanti ad una serie di prodotti che alzeranno l’asticella sempre più in alto.

In attesa che la sfida duopolistica cominci ufficialmente, il periodo si segnala anche per l’uscita di Catwoman (Jean-Christophe Comar, 2004), un film che fece molto discutere per le implicazioni della sua protagonista, una splendida Halle Berry, che, frustino alla mano e tutina attillata, rappresenta un’icona fetish che riprende il personaggio fuoriuscito dal mito di Batman e già protagonista di un fumetto tutto suo; decisamente molti i detrattori di una pellicola francamente bruttina, ma che ebbe il merito di portare per la prima volta sullo schermo un fenomeno che in futuro andrà decisamente di moda: lo spin-off.

Altrettanto degne di nota in questo periodo sono The punisher (Jonathan Hensleigh,2004), a proposito di spin-off, stavolta però fumettistico (il punitore era l’antieroe uscito dalle tavole di Amazing spiderman), successo di pubblico e critica, anche grazie al confronto con la spuria ciofeca del 1989 interpretata da Dolph “io ti spiezzo in due” Lundgren, ma ancor di più un paio di gioiellini fatti come si deve, entrambi dell’indipendente Dark horse comics: Hellboy (Guillermo del Toro, 2004) e soprattutto Sin city (2005), quest’ultimo diretto a 4 mani dall’istrionico regista messicano Robert Rodriguez e dallo stesso creatore della serie a fumetti Frank Miller, con il prezzemolino Quentin Tarantino ad associare, non si è capito ancora bene a che titolo, il proprio nome a quello della pellicola, ma soprattutto uno stile narrativo ed estetico assolutamente innovativo. Sempre nel 2005, ad incrementare il già sostanzioso parco dei film Marvel, arriva il primo film su I fantastici 4 (Tim Story, 2005), o almeno il primo film degno di tal nome (in realtà infatti c’era un indegno precedente, un ashcan copy bella e buona, risalente al 1994).

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