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Supereroi al cinema: fenomenologia di un genere a tutti gli effetti - Parte I
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In principio erano fumetti e film: fenomeni paralleli destinati un giorno, soprattutto per via di un linguaggio a tratti similare, ad incontrarsi. I comics e le immagini in movimento su celluloide avranno un primo significativo contatto nel 1966 (complice anche il medium televisivo). Il primo esperimento in tal senso vede protagonista il supereroe della DC Comics Batman, portato sul grande schermo da Leslie Martinson, sulla scia del successo mondiale ottenuto dalla serie TV con Adam West (quella, per capirci, piena di onomatopee tipicamente “comics” in sovrimpressione). Il parallelismo si è spezzato e né cinema, né fumetto saranno più la stessa cosa dopo questo primo folgorante incontro. Anche se l’esperimento del 1966 rimane importante quasi esclusivamente sul piano storiografico, quell’incontro fu l’archetipo di un connubio che negli anni a venire, specie nell’ultimo ventennio, ha rappresentato la nascita di un filone importante sul piano massmediologico e infine la creazione di un genere a sé stante. Hollywood aveva scoperto la straordinaria compatibilità tra “comics” e arte cinematografica e provò così a farne un fenomeno culturale nuovo. Al di là della produzione cinematografica, una cosa è certa: la corrispondenza d’amorosi sensi instaurata tra le due arti ha portato ad una reciproca influenza, e non solo nel linguaggio: i disegni dei fumetti si rifaranno sempre più alle inquadrature cinematografiche (addirittura in alcuni casi i protagonisti su carta cambieranno le peculiarità fisiche in base a quelli visti al cinema), mentre la settima arte attingerà a piene mani dallo sconfinato bagaglio di storie e personaggi provenienti dall’universo fumettistico e delle graphic novel. Di tutte le storie che dalle tavole a fumetti sono state trasposte in film, quelle sui supereroi non solo rappresentano la maggioranza, ma sono forse anche quelle più interessanti da analizzare (specie in seguito al predominio degli effetti speciali ed all’avvento della CGI). 

L’anno della svolta fu il 1978, quando sul grande schermo arrivò “Superman” (Richard Donner, 1978), eroe ancora una volta della DC Comics, interpretato dallo sfortunato attore Christopher Reeve. La storia dell’uomo d’acciaio venne portata sul grande schermo da una major del calibro della Universal, che impiegò un budget importante e inserì per la prima volta gli effetti speciali in una pellicola del genere. Il film ebbe un clamoroso successo di pubblico dovuto soprattutto alla spettacolarità delle scene, ad una sceneggiatura brillante (la prima stesura fu nientemeno che di Mario Puzo), a una colonna sonora (di John Williams) ancora oggi memorabile, ma soprattutto a degli interpreti di prim’ordine (si pensi ai cameo di Glenn Ford e Marlon Brando, ed al contributo fondamentale di Gene Hackman nel ruolo di un credibile Lex Luthor). Il film di Donner divenne un “brand” in piena regola e fece strabuzzare gli occhi ai produttori hollywoodiani, aprendo le porte ad un connubio che si rivelerà via via sempre più proficuo (in rapida sequenza si assisterà a tre sequel ad inizio degli anni ’80, tra cui soprattutto “Superman 2” (Richard Donner, 1980) decisamente valido.

La mediocre riuscita del successivo “Flash Gordon” (Mike Hodges, 1980), prodotto in chiave parodistica che parlava molto italiano (dal produttore De Laurentis alle attrici Melato e Muti), ma soprattutto il rigore a porta vuota sbagliato da Jeannot Szwarc, che realizzò “Supergirl” (1985) avvalendosi di attori di primissimo livello come Faye Dunaway e Peter O’Toole ed un budget di rispetto, registrando un clamoroso flop al botteghino, frenò per qualche tempo gli interessi degli studios sulle trasposizioni fumettistiche.

Una domanda campeggiava all’epoca: il connubio funziona o non funziona? I fumetti al cinema attirano il pubblico o no? Ci vuole il baldanzoso e temerario Tim Burton a dirimere i dubbi in merito: uscendo, ma non troppo, dai suoi canoni classici, il regista di Burbank dà vita all’altra parte del cielo DC Comics: nel 1989 esce “Batman” ed è nuovamente un successo (mettendo d’accordo pubblico e critica), grazie ad un cast ancora d’eccezione (Michael Keaton al suo primo vero ruolo drammatico, Kim Basinger e soprattutto il memorabile Jocker interpretato da Jack Nicholson) e ad una caratterizzazione dei personaggi che ricorda molto quella vena dark dell’originale fumettistico firmato da Bob Kane e Bill Finger. In questo senso ulteriormente più vicino all’originale perché ancor più gotico e con un villain di grande spessore è “Batman – Il ritorno” (Tim Burton, 1992), che addirittura concede un ruolo di primo piano a Pinguino (interpretato benissimo da Danny DeVito), in termini di pose e di pregnanza nella sceneggiatura (altra clamorosa novità per il genere). Da segnalare, a cavallo dei due capitoli burtoniani dedicati all’uomo pipistrello, quella gemma che corrisponde al nome di “Dick Tracy” (Warren Beatty, 1990) che fin dalla locandina esprime la sua aperta volontà di omaggiare l’epoca d’oro dei comics (da segnalare in particolare la fotografia di Vittorio Storaro e i costumi).

 

La presente analisi non vuole essere un’esaustiva storia del fumetto trasposto al cinema, ma semplicemente un “compendio” dell’evoluzione del rapporto sempre più serrato tra mondo dei supereroi nati sulle tavole dei fumetti e settima arte. Nell’analisi sono stati considerati quasi esclusivamente i film di area americana o comunque anglofona, a medio-alto budget, tralasciando volutamente la ricca produzione derivante da altri paesi, specie europei ed asiatici, oppure fumetti (tranne rari casi) non di  genere supereroistico. Sono da mettere in preventivo dunque omissioni, talvolta necessarie (tralasciati ad esempio quasi tutti i b-movie, specie del periodo pionieristico) oppure involontarie, consapevole che “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”…

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