Espandi menu
cerca
Apologia giapponese con L'arpa birmana
di luisasalvi
post
creato il

L'autore

luisasalvi

luisasalvi

Iscritto dal 26 dicembre 2004 Vai al suo profilo
  • Seguaci 14
  • Post 16
  • Recensioni 834
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

 

Un reparto di soldati giapponesi in Birmania avanza nella giungla, cantando sotto la direzione del suo capitano, esperto di musica, e accompagnata dal suono dell'arpa birmana del sergente Mizushima, che talvolta va in avanscoperta travestito da birmano (una volta in tale missione viene derubato dei vestiti da tre banditi) e suona con l'arpa canzoni diverse come segnali per i compagni. L'unica "azione di guerra" si riduce ad un lungo commovente scambio di cori, con l'arpa che accompagna il coro degli inglesi ("Home Sweet Home"); "fu così che apprendemmo che la guerra era finita da tre giorni", dice la voce del soldato narratore. Il reparto si consegna agli inglesi, che lo trasferiranno in un campo di concentramento a Mudon; ma prima, avuta notizia che una guarnigione giapponese asserragliata sul vicino "colle del triangolo" rifiuta di arrendersi, il capitano invia Mizushima a convincerla ad arrendersi. Gli inglesi gli danno solo mezz'ora di tempo per salire al colle e convincerli: troppo poco, e finiranno quasi tutti uccisi.

Il racconto si sposta al campo di Mudon, dove il reparto aspetta con ansia il rientro del compagno e continua a fare esercizi di canto; un giorno al rientro dal lavoro obbligatorio incontra un bonzo che assomiglia a Mizushima ma che non parla loro e sembra non conoscerli. Una birmana che ha imparato il giapponese viene a fare piccoli baratti con loro fornendo notizie del mondo esterno; invitata a fare ricerche, riferisce che forse Mizushima è morto; tuttavia i compagni le comprano un pappagallo fratello di quello che aveva dato al bonzo e continuano a sperare che Mizushima sia vivo.

Infatti questi, ferito, è stato salvato da un bonzo, che al suo desiderio di raggiungere i compagni a Mudon obietta "che tutto è vano"; lui lo deruba dell'abito e si rade i capelli per sembrare un bonzo e poter raggiungere senza pericoli il suo reparto al sud del paese; lungo la via è sconvolto dalla quantità di cadaveri di soldati preda degli avvoltoi; crema i primi che incontra, poi finisce per salutarli con il saluto militare e proseguire la sua strada. Stremato dalla fatica e dalla fame, è aiutato da contadini che gli danno cibo e riprende la marcia verso Mudon, secondo l'ordine ricevuto. Sulla riva di un fiume i cadaveri sono tanti che lui ne fugge inorridito (sulla sabbia le orme sbigottite del suo vagare); il bonzo che lo aveva salvato arriva trasportato in barca; gli spiega che "in Birmania ai cadaveri dei soldati stranieri uccisi in guerra non è data sepoltura"; poi lo fa condurre in barca fino a Mudon. Qui Mizushima, felice di poter rivedere l'indomani i suoi compagni ("domani è il gran giorno"), incontra un ragazzino che chiede l'elemosina suonando con l'arpa birmana lo stesso tema inglese di "Home Sweet Home" ("perché quando lo suono gli inglesi pagano di più"), e gli insegna le sue variazioni; da lui è condotto al cimitero inglese dove un canto corale di un inno sacro cristiano accompagna la sepoltura di un soldato giapponese sconosciuto appena morto nell'ospedale inglese.

Questo breve episodio collocato esattamente a metà del film segna il netto cambio di atteggiamento di Mizushima, che, sconvolto, è assalito da ricordi dei soldati insepolti; non va più a farsi riconoscere dai compagni, anzi, incontrandoli per caso non risponde ai loro richiami lasciando credere loro di essere un vero bonzo (ecco la scena vista prima). Torna indietro e ora anziché bruciare seppellisce i cadaveri, aiutato spontaneamente da alcuni locali (forse per rispetto dell'abito da bonzo). Scavando trova un "rubino birmano": "sarà l'anima di un defunto", dice un birmano che lo sta aiutando.

Intanto i compagni continuano ad aspettarlo, a cercarne notizie, a discutere se davvero poteva essere lui il bonzo incontrato; soprattutto l'arpa suonata dal ragazzino con le variazioni apprese da Mizushima rinnova i loro ricordi e li convince che lui deve essere ancora vivo. Assistono ad una cerimonia funebre in cui sfilano vari bonzi, fra cui Mizushima con una cassettina (secondo l'usanza giapponese) contenente il rubino birmano, che depone nel deposito, da dove i resti saranno riportati in patria. Il capitano la apre di nascosto e capisce (ma non dice) il motivo per cui Mizushima non parla più ai compagni né torna con loro.

Seguono altri incontri a distanza, provocati dal canto corale e rivelati dal suono dell'arpa, poi anche dai due pappagalli fratelli: ognuno ha imparato un messaggio, questo di richiamo, quello di addio, che verranno scambiati tramite la "nonnina" birmana. Al momento del rientro in Giappone un ultimo incontro, con canti e suoni, e infine sulla nave che li riporta in patria il capitano legge ai suoi uomini la lettera di commiato di Mizushima ("questa lettera non dirà niente che io già non sappia"). Il film conclude con la stessa scritta "rossi come il sangue sono i monti e le terre della Birmania" e le stesse immagini di terre desertiche su cui il vento soffia sollevando polvere, con cui era iniziato, ma in cui ora si allontana Mizushima; immagini che nel buddismo sarebbero simboli del dolore mondano da cui ci si libera seguendo la via del Budda[1].

Ho raccontato a lungo la vicenda, perché da essa può dipendere il senso del film e perché tutti i commenti che ho letto ne danno sintesi distorte e ne deducono tesi monche o arbitrarie: nessuno segnala l'importanza della sepoltura cristiana data dalla comunità inglese al soldato giapponese[2], che pure ha una posizione centrale e provoca il netto cambio di comportamento di Mizushima, che d'ora in poi diventa vero bonzo. Anche se nella lunga (troppo) e in parte fuorviante lettera finale Mizushima dice che cambiò atteggiamento "quando vidi i morti giacere insepolti" (il film però ci mostra il contrario) e aggiunge che "la terra non basta a ricoprire i morti" (il che sarà molto bello e ben detto, ma non è ciò che dice il film…).

Molti poi sottolineano il massacro dell'altro gruppo, ma spesso lo presentano come il gruppo stesso di Mizushima e/o attribuiscono il massacro al fanatismo del solo capitano, mentre è tutto il gruppo unanime che (interrogato dal capitano) rifiuta di arrendersi[3].

I passaggi narrativi sono spesso molto rapidi e sintetici e possono riuscire poco chiari, poiché il regista sembra indifferente alla vicenda e interessato soprattutto a suscitare emozioni nel pubblico, attraverso la descrizione degli stati d'animo dei suoi personaggi. Così all'inizio Mizushima avanza nella foresta e incontra i tre banditi, ma subito dopo vediamo il reparto che attende preoccupato, poi sente il suono dell'arpa che indica mancanza di pericolo e trova Mizushima spogliato e derubato dei vestiti, ma non assistiamo al furto; altrettanto sintetica è la scoperta che la guerra è finita, mentre a lungo assistiamo ai cori cantati dai tre gruppi, birmani, giapponesi e inglesi. Anche l'assalto al "colle del triangolo" è molto rapido, mentre lunga e lenta e dolorosa è l'osservazione dei cadaveri sulla collina dopo lo scontro.

Brevi sono poi le immagini del bonzo che, in un tempio buddista, cura Mizushima e di questi che gli ruba il vestito, tanto che pochi le rilevano e nessuno ne tenta una spiegazione[4], né si bada al fatto che il bonzo reincontrando Mizushima gli offra la propria barca per farlo condurre a Mudon, mentre prima sembrava volerlo dissuadere dall'andarci, osservando che "tutto è vano". Forse per lui lo è anche il fatto che Mizushima gli abbia rubato gli abiti, lo è il desiderio di raggiungere i compagni, ma lo è anche il suo tentativo di dissuaderlo ed anche l'orrore per i cadaveri insepolti: il fatto che gli dia la barca per andare a Mudon e che Mizushima la accetti in quel momento conferma sia l'atteggiamento onnicomprensivo e non rigido del bonzo sia il fatto che per Mizushima continua ad essere prioritario il desiderio (e dovere) di raggiungere i compagni, nonostante lo sgomento che sta provando per i morti insepolti sulle rive del fiume, dove egli vaga attonito sulla sabbia: anche visivamente questo è uno dei momenti più drammaticamente efficaci del film, ben più forte ed artisticamente riuscito delle descrizioni cruente di morti durante l'attacco al colle in cui è asserragliata la pattuglia giapponese che rifiuta di arrendersi[5].

Comunque l'orrore di Mizushima di fronte ai cadaveri sembra dettato dal fatto che sono insepolti più che dalla morte in sé. Non c'è nulla di sconvolgente o di rifiutato nelle azioni più o meno militari del reparto che avanza nella giungla e che si prepara allo scontro con gli inglesi, scontro che poi non avverrà grazie allo scambio di canti fra i due gruppi nemici. C'è forse condanna del fanatismo della guarnigione che rifiuta di arrendersi, ma non della guerra in generale; e forse neppure quello, perché il film sembra suggerire che anche quel gruppo avrebbe compreso e si sarebbe arreso, se gli inglesi avessero lasciato un po' di tempo per spiegare.

Il film è molto suggestivo, ma non altrettanto chiaro, almeno a visioni non approfondite; molti ne lodano la chiarezza del messaggio e la aderenza ad esso dello stile e della vicenda, ma danno di entrambi versioni fra loro contrastanti. Il messaggio centrale per molti sarebbe l'impegno alla sepoltura di tutti i cadaveri, inteso come "tematica religiosa" di "valore universale"[6], in quanto "culto della sopravvivenza" o "solidarietà spirituale tra vivi e defunti", ignorando l'evangelico "lascia che i morti seppelliscano i loro morti" (Mt 8,22); tanto più che anche il bonzo è indifferente allo spettacolo di tanti cadaveri insepolti, come lo sono i birmani; da molti popoli i cadaveri sono abbandonati in pasto agli uccelli; viceversa altri popoli, come quello ebraico dei tempi biblici, considera importantissima la sepoltura ma non crede nell'immortalità né nella resurrezione dei morti.

Forse il film si limita a raccontare l'ansia di Mizushima senza condividerla. Protagonisti ne sono ugualmente  lui e i suoi compagni; forse presenta con maggior simpatia e sensibilità il capitano (che infatti è interpretato da Rentaro Mikune, un attore più celebre e più bravo), il quale "capisce", pur non condividendola, la scelta di Mizushima; questi, del resto, fin dall'inizio si diceva attratto dalla terra birmana, dalla sua musica, dai suoi abitanti e dai loro costumi che indossava con grande naturalezza quando era inviato in avanscoperta. Forse il vero tema del film è proprio l'amorevole comprensione di ideali così diversi come quello del capitano e del suo sergente; comprensione fatta propria dallo stesso capitano, che alla fine legge la lettera di Mizushima per spiegarne la decisione senza esprimere giudizi; aveva detto in un precedente discorso che sperava di ricondurre in patria uniti tutti i suoi uomini; soffre per averne perso uno, ma lo comprende e aiuta gli altri a comprenderlo, non a condividerne le scelte.

Si vede il soldato narratore solo alla fine, dopo la lettura della lettera, mentre si domanda se rivedrà ancora Mizushima: l'immagine lo porta in primo piano, mostrando chiaramente che è lui il narratore, perché le parole che seguono sono pronunciate mentre nell'immagine lui non parla più. Riconosce che è vero quanto ha appena affermato un suo compagno, cioè che "non gli era mai importato molto di Mizushima" ma che ora lo comprende e ama; ci si potrebbe anche chiedere se "ora" è dopo la lettura fatta dal capitano o, come sembra più probabile, dopo il racconto filmico che lui stesso ha appena fatto, in una conclusione metalinguistica abbastanza complessa, poiché, mentre afferma che tutti stanno già dimenticando Mizushima che sta dedicando la vita al ricordo dei morti, con questo stesso racconto ne prolunga e ravviva il ricordo, e tuttavia subito dopo il film conclude con l'immagine di Mizushima che si allontana e svanisce in lontananza nella terra birmana.

Nel racconto sembra dare la stessa importanza a lui e al suo capitano, entrambi affascinati dalla musica, uno solista, l'altro capo del coro attento a tenere uniti tutti nelle loro diverse voci; ma, data la funzione espressiva e tematica della musica[7], si può riconoscere anche in essa una preferenza per l'atteggiamento del capitano, che dirige anche l'altro e lo include nella sua attenzione a tutto comprendere e assimilare, che è poi la principale millenaria caratteristica culturale del Giappone. Ne è conferma anche la lunga lettera conclusiva, che vuole spiegare le ragioni di Mizushima ma è letta dal capitano.

Nell'introduzione la voce ricorda "la storia dell'arpa birmana, che è un po' la storia del nostro reparto": anche nelle esplicite intenzioni del regista dunque la storia narrata è quella del reparto, di cui Mizushima è solo un elemento; è vero che è lui che suona l'arpa, ma solo quando è in rapporto con il reparto, per accompagnarne i cori o per tradire o rivelare la propria presenza. Durante il suo peregrinare non ha l'arpa: la sua è stata rotta dal gruppo di giapponesi asserragliati sul colle del triangolo, e a Mudon e soltanto lì userà quella del ragazzino birmano[8]. Perché la storia è quella del rapporto fra il singolo e il suo gruppo e della comunicazione emotiva stabilita attraverso la musica assai più che attraverso le parole. Il gruppo che non vuole arrendersi e rifiuta di ascoltare Mizushima ne rompe l'arpa, sordo alla musica e incapace di comunicare… sia pur solo, forse, per mancanza di tempo…

I macabri cumuli di cadaveri sono visti con una crudezza che contrasta con la poeticità di tutto il resto, e la cosa è stata notata da molti (da alcuni puntualmente lodata la crudezza e criticato il resto, da altri viceversa), ma non è lecito dedurne una tesi pacifista, dato che tutta la prima parte del film narra vicende belliche prive di crudezza; questa è solo negli occhi del protagonista e riguarda la mancanza di sepoltura, sottolineata infatti dalla presenza incombente e quasi paurosa degli avvoltoi che se ne nutrono; e comunque si accentua dopo la sepoltura del compagno da parte degli inglesi: è la storia di una vicenda emotiva personale e di come essa sia vissuta dai compagni[9]. Comunque in un'atmosfera per niente da favola, come invece qualcuno ha affermato[10].

Mizushima è affascinato dalla civiltà birmana e tuttavia è sconvolto dal fatto che essa lasci con indifferenza i cadaveri insepolti, cibo di uccelli; ma quando li seppellisce i birmani prima lo guardano incuriositi, poi lo aiutano: forse la sua decisione di restare ha anche lo scopo educativo di "insegnare" il culto dei morti, cosa che non aveva fatto il bonzo; così acquista verità simbolica il furto dell'abito del bonzo, che lui ora indossa, da ricollegare, forse, anche al precedente furto da lui subito dell'abito birmano che allora indossava solo come finzione…

Ho l'impressione che il vero scopo del regista sia quello di dare al mondo ancora scosso dalle violenze belliche un'immagine dei giapponesi migliore di quella negativa data dai film americani del periodo, anche da quelli pacifisti o antimilitaristi: nel film i giapponesi sono democratici con le proprie truppe in guerra, tolleranti con chi ha idee diverse e disposti sia a convertirsi ad altre religioni sia ad apprezzare ed amare chi si converte, si commuovono per le musiche ed i riti cristiani… Che sono poi, di volta in volta, i motivi delle accuse al film da parte della stampa europea comunista e forse la ragione per cui Visconti si è opposto ed ha impedito che venisse assegnato al film il Leone d'oro a Venezia.

Gli ufficiali inglesi alla richiesta del capitano giapponese di ricercare il disperso Mizushima rifiutano dicendo che "questa è solo poesia", poesia che è tradizionale vanto della cultura giapponese rispetto alla logica occidentale; nella vicenda risulta che ha ragione la loro "poesia", e lo stile del film è anzitutto, a detta di tutti, "poetico": questa è l'immagine vincente del Giappone, e sarà la stessa che conquisterà i turisti occidentali. In questo il film è particolarmente riuscito e conserva il suo valore anche storico.

"This movie is based on Takeyama Michio's 1946 novel of the same name, which has come under some serious criticism because of its portrayal of the Japanese soldiers as a basically happy bunch victimized by the British, when in fact the Japanese brutalized Burma, China, Manchuria, and several other countries. However, this film was created some ten years after the novel and was directed by Ichikawa Kon, a humanist director. So, when you watch the film take it with a grain of salt, but don't let the salt get into your eyes and keep you from enjoying this film"[11]. Molti[12] hanno messo in guardia infatti dalle gravi e abili mistificazioni del film che ignora le terribili violenze che i giapponesi hanno inflitto alla popolazione locale nella loro invasione, trasformando quasi questa pattuglia in un gruppo di quei tanti turisti che già nel 1956 incominciavano a invadere il mondo; giungendo a farli compatire dalla vecchia birmana perché "hanno molto sofferto", come se anche lei potesse ignorare le ben più gravi sofferenze inflitte dai giapponesi alla popolazione birmana. Sembra che in Birmania siano morti solo giapponesi, a migliaia…

Superando la tenerezza e la simpatia che abilmente il film induce, anche tutta quella preoccupazione per la salvezza di un commilitone scomparso suona inverosimile e assurda dopo quattro anni di guerre e di massacri che lo spettatore non può ignorare di fronte alle montagne di cadaveri che costituiscono un tema centrale del film; tutto quell'amore per la musica ricorda quello che commuoveva gli ufficiali nazisti mentre i loro uomini torturavano i prigionieri nella stanza accanto.

L'abile manipolazione dei sentimenti dello spettatore si ripete vistosamente[13] anche nel suono dell'arpa, che sembra quello di un'arpa da concerto classico piuttosto che di quella modesta arpa artigianale che vediamo nel film[14]. Forse l'impressione che il regista vuole indurre (almeno inconsciamente) nello spettatore è che un giapponese, anche autodidatta, impara a suonare l'arpa birmana meglio di un birmano o insegna la pietà per i morti meglio di un bonzo birmano. Perché in ogni cosa i giapponesi sanno, da millenni, apprendere il meglio dagli altri popoli, assimilarlo e superare i loro maestri.

Il che è anche vero, ed è lecito che un regista giapponese lo suggerisca con un bel film. L'amara realtà del comportamento giapponese in Birmania non toglie i meriti estetici e sentimentali del film ma questi non ce la devono far dimenticare o travisare; tutt'al più possiamo amaramente riflettere sul fatto che in tutte le guerre si hanno atti di ferocia inumana, anche da parte di persone che a casa loro sarebbero dolci e miti e… amanti della musica. E che soldati di ogni nazionalità quando occupano un paese altrui credono di farlo per missioni pacifiche e per insegnare qualcosa di nobile al popolo occupato.

 

[1] "At the beginning of this long film the audience sees a spectactcular view red dirt and red mountains of Burma, which is very significant because, if one is familiar with Buddhist tradition, the dust symbolizes the mortal world of suffering and it represents what one wants to brush off if one desires to follow the path of the Buddha" (Meganeguard Kansas, da user comments in imdb.com).

[2] Tranne E. LOINOD in Cahiers du Cinéma (1957), 54, che lo disapprova senza rilevarne l'importanza narrativa e tematica, e Meganeguard, che lo riconosce come causa del cambio di interessi di Mizushima ma non ne approfondisce il senso, e Pacioli (in pacioli.net) che però confonde e parla di cerimonia "sulla tomba del milite ignoto" mentre è la sepoltura di uno "sconosciuto" giapponese morto in ospedale.

[3] Ancora in questi giorni, annunziandone la riproposta televisiva per suggerirne la registrazione, La stampa lo presenta come "celebre dramma antimilitarista" e riduce la vicenda a: "un ufficiale fedele al codice d'onore militare preferisce sterminare i propri soldati pur di non arrendersi"! Forse preso da film.tv.it secondo cui "Mizushima decide di non rimpatriare per dedicarsi al culto dei morti nella giungla birmana. Diventa bonzo e ricorda la pagina più sanguinaria della sua esperienza in guerra, quando il suo superiore sterminò tutta la sua truppa pur di non consegnarla viva al nemico". Quasi altrettanto impreciso è il riassunto dato dalla Maison de la culture du Japon di Parigi in occasione della retrospettiva proposta nel marzo 2004: "Une compagnie japonaise refuse de se rendre aux Anglais à la fin de la guerre en Birmanie. Le soldat Mizushima, qui doit convaincre ses camarades d'abdiquer, est dégoûté par la guerre et déserte". La maggior parte delle sintesi sono dello stesso stampo.

[4] Meganeguard addirittura lo fraintende: "One day, while taking a bath, Mizushima's clothing is stolen, so he dons the robes of a Buddhist monk and also shaves his hair".

[5] G. ARISTARCO, ideologicamente condizionato, considera questa la parte "più bella" del film, che "termina con un pacifismo umanitario".

[6] Come il CCC e altre letture "cattoliche"; per alcuni arricchita di "sentimento panteistico".

[7] La musica ha infatti nel film un esplicito valore tematico oltre che stilistico ed emotivo: è tramite tra i popoli, conforto nella afflizioni, forse anche preghiera, oltre che strumento militare, di incoraggiamento nella marcia e di messaggio.

[8] Ma anche questo fatto è stato travisato da molti che riassumono la storia dicendo che Mizushima attraversa il paese con l'arpa. Eppure, quasi a sottolineare questo fatto,. anche nell'incontro finale è il ragazzino che tiene e suona l'arpa, e Mizushima la prende a lui per ripetere le sue variazioni.

[9] N. TADDEI, in Letture (1957), 137-140 in una lettura approfondita ma spesso scorretta per pregiudizi teorici e teologici, segnala la centralità del contrasto fra due valori, ma individua entrambi in modo impreciso, il primo come "solidarietà con i defunti", vista inoltre come essenziale alla religione, e il secondo come "amicizia" (trascurando il senso della famiglia e della patria lontana, espliciti nel film e ricordati da Mizushima alla guarnigione che rifiuta di arrendersi); afferma il primato del primo, ma riconosce che tale primato "non è detto esplicitamente, ma lo si suppone"; in realtà è tale per Mizushima ma non per il capitano né per il narratore.

[10] Cf. Angelo SOLMI, Kon Ichikawa (Il Castoro Cinema, 5/1975), secondo cui il regista trasferisce "una vicenda attuale, nel testo di un'antica favola".

[11] Meganeguard.

[12] Particolarmente bene "Bartman 9" dal Belgio in imdb.com.

[13] Come osserva gleywong@erols.com in imdb.com; che invita a confrontarlo con quelli coevi di Ozu, per lui molto migliori anche tematicamente.

[14] Howard SCHUMANN, in CineScene (2004) osserva che "with a sound so lush it seems as if it is coming from the Mormon Tabernacle".

 

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati