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Dizionario del Turismo Cinematografico. Lisbon story. Parte Prima.
di maurri 63
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Ormai era tutto pronto. Ancora una partenza. Stavolta, però, la pancia si muoveva più del solito. Il fatto è che io sono intollerante al latte. A giorni alterni, al mattino, faccio colazione con latte di soia e latte ad alta digeribilità (quasi senza lattosio), per ricordarmi almeno come è il sapore del latte, che un tempo amai tanto. Perciò, non poteva farmi male la pancia !

Non mangio derivati dai latticini, solo un tipo di formaggio. No, no. Non era colpa di qualche alimento. Paura. Ecco cosa era. Ma perché ? Non mi lasciavo nulla alle spalle che potesse farmi male.  Razionalizzai: comprai tutti i fiori di Bach (si scriverà così ?) che non usai mai, e alle 7.50 m’imbarcai sul volo Capodichino – Lisbona con scalo Roma. Ahhh, il sapore dell’aereo ! Quanto mi fa bene essere in volo, quanto sto male: vedere dall’alto i miei affanni, le mie preoccupazioni, rimpicciolirle…meravigliosa sensazione.  L’aeroporto di Lisbona non mi diceva molto: meglio il mio, pensai (ma è pure vero che l’aeroporto di Napoli non ha eguali, per fascino, bellezza, posizione logistica, servizi, affabilità del personale: mi venivano in mente i complimenti al riguardo dei newyorkesi che mi erano venuti a trovare: mica si aspettavano tutto quello…un giorno racconterò loro che, a Napoli, i ragazzini si recano all’aeroporto quando vogliono sentirsi enormi – non grandi…- perfino quella testa matta di Paolo Sorrentino ci ha girato un film: dove guarda “L’uomo in più” quando non sa dove andare ?...)

Il clima portoghese è strano: fa caldo. Ma non c’è quel sole che scalda. I colori dominanti sono quelli bianchi…mah. Che avrò combinato ? La compagnia mi aspettava in albergo. Ora, dico, ma come mi è venuto in mente di accettare la regia di uno spettacolo teatrale (!!!) in portoghese ? Conosco solo l’inglese (almeno credo…).  L’interprete dice che se la cavano con l’italiano. A sera, sono distrutto. Nessuno ha capito niente. Domani, pausa. Ma come, ma perché ? Sono stanco.  Nessuno fiata.

Il pullman transita per una grande piazza: è dedicata al marchese di Pomball. Ohibò, mò chi sarà mai questo marchese ? Non ci penso.  Arrivo alla cattedrale. Sorge poco distante da Alfama. Mmmmm, il nome mi piace.

“Dottò, mica vorrete fare un giro lì ?”

“Ah, ma voi parlate napoletano ?”

“No, no, portoghese, però, capisco un poco italiano…Lasciate perdere. Là ci si va solo se si è ladri, malviventi, o magari si ha la sfortuna di abitarci…”

“Ma no, state tranquillo..”

“Ve ho avvisato.”

Saluto l’autista. Un tram colorato sta per schiacciarmi. “Alfama ?”, chiedo.

“No, dopo dovete proseguire a piedi”, mi dice in un italiano schifoso una signora di colore.

Ora, va bene che tutto il mondo è paese, ma, insomma, mi hanno rubato solo una volta: a Caracas. Mai a casa mia (meglio non dirlo: non si può mai sapere). E Alfama non può essere peggio dei Quartieri spagnoli.

Mi inerpico fin su: mi piacciono i quartieri “fortino”, quelli dove stanno tutti stretti stretti. Odio le piazze enormi (forse, perché ricordo un attacco agorafobico a San Petersbourgh, di fronte all’Hermitage ?...ma no: ho bisogno di sentirmi addosso la gente, il loro sapore. ). Man mano che salgo, sulle scale che danno ciascuna in un vicolo sempre più piccolo, non incontro nessuno. Le porte degli alloggi, l’una di fronte all’altra, ricordano molto i “bassi” napoletani. Ma dov’è la gente ?

Una musica mi tiene compagnia : sarà il mio ricordo ? Sono i Madredeus. Sì, quelli che cantano nel film di Wenders.  Trovo un vecchio più o meno ben vestito, con paglietta, che mi saluta. Ce ne vuole un po’, prima di parlare davvero (mannaggia ‘sto cxxx di portoghese: non si capisce nulla).  Mentre scendo (ma non sono sicuro che fosse da dove sono salito…), una donna stende il bucato, con dei fili che si collegano all’altra parte della strada. Hai, capito ! Poi parlano di noi!! Il fatto è che Alfama è l’unico quartiere rimasto in piedi dopo il terremoto del 1755.  Uhm,…odore di casa….Chi se lo scorda il terremoto del 1980, a casa mia ?

Ma il bello doveva ancora arrivare.

(1 - continua)


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