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Paralleli. Fotografie
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C’è un’arte che, catturando la realtà, ritrae un universo impercettibile. Un universo che esiste soltanto negli occhi di chi lo guarda; di chi, con uno scatto, immortala i sporadici lampi di luce in cui la soggettività diventa un accento in grado di impressionare una pellicola. Francesca Woodman (The Woodmans) e Mark Hogancamp (Marvencol) combattono la loro guerra contro il mondo con l’arma della fotografia. Con questa difendono la loro diversità, a causa della quale sono incompresi, e circondati dalla diffidenza e dal pregiudizio. La loro personale visione della vita rivendica la propria dignità con la forza dell’evidenza, che dà mostra di sé all’interno di un’inquadratura strappata al mondo materiale: una copia non conforme di quest’ultimo, che ne prova l’illusorietà.  Francesca è una ragazza che ama posare senza veli davanti all’obiettivo, Mark un uomo che riproduce se stesso e le persone del suo entourage in un paesaggio di bambole, costruito nel giardino della sua abitazione. Entrambi si ritraggono dando di sé una versione alterata rispetto all’apparenza,  filtrata dal desiderio di scoprire una verità interiore, non traducibile attraverso i tradizionali registri espressivi. Francesca, nelle sue istantanee in bianco e nero, è una donna inquieta ed infelice, disallineata rispetto all’ambiente. Mark, nelle foto a colori della sua scenografica creazione, è un valoroso militare americano, eroe della seconda guerra mondiale, che in un immaginario villaggio del Belgio vive una favola epica e romantica, a base di sangue ed amore. Un alter ego spiega ciò che l’io sente di essere dentro, e vorrebbe poter essere anche fuori, agli occhi degli altri. Per trovare questa identità nascosta, Francesca si spoglia, Mark invece si traveste: un manichino in scala ridotta, e poco somigliante, può non essere meno rivelatore di un corpo in carne e ossa che si palesa per quello che è. Diversi sono però i segreti che queste rappresentazioni di sé vogliono far venire a galla: la nudità è una provocazione che colpisce con l’impudenza di un incubo sepolto nell’anima, il camuffamento la messa in scena di un sogno confinato in una dimensione fantastica ed irraggiungibile. La spregiudicatezza che non teme nulla, nemmeno il confronto con i canoni estetici, e la spudorata conversione all’ingenuità dell’infanzia sono gli estremi opposti della stessa sfida contro l’ipocrisia di una società che ci vuole adulti, ma non troppo. Francesca chiede la libertà di poter crescere senza imparare lezioni da nessuno, Mark aspira a rinascere, dopo una tragica aggressione, in un modo di sua invenzione, che soltanto a lui appartiene. La creatività  è veicolo della definizione di sé, che non può essere efficace e risolutiva, se non realizzandosi in aperto contrasto con le convenzioni. Per creare la novità,  è necessario scavare al di sotto delle regole interpretative che si sono sovrapposte ai significati primigeni, racchiusi nelle recondite geometrie disegnate dal cuore.  Queste sono indisciplinate e soffuse per Francesca, precise e curate nei dettagli per Mark, ma sono sempre e comunque ribelli al senso comune, che non ammette alternative alla netta distinzione tra vero e falso. Una fotografia, però, ha il potere di fermare il fugace istante in cui quel confine attraversa il visibile e gli oggetti si manifestano mettendosi in dubbio, poiché si sdoppiano nel loro contrario. La fotografia, per sua natura, è resa leggibile solo dall’equilibrata compresenza di luce ed ombra, che si delimitano a vicenda,  individuando nell’ambiguità il principale carattere costitutivo dell’esistente.

 

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