Espandi menu
cerca
Faccia d'angelo, da stasera su Sky: Elio Germano è Felice Maniero
di Spaggy
post
creato il

L'autore

Spaggy

Spaggy

Iscritto dal 10 ottobre 2009 Vai al suo profilo
  • Seguaci 178
  • Post 623
  • Recensioni 235
  • Playlist 19
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

Andrà in onda questa sera su Sky Cinema 1 HD la prima delle due parti del film per la televisione Faccia d'angelo di Andrea Porporati (la seconda puntata è prevista, invece, per lunedì 19 marzo). Incentrata sulla vita di Felice Maniero, il boss della Mala del Brenta, il film vede Elio Germano nella parte del protagonista.

 

Come già successo con Romanzo criminale e Vallanzasca, molte sono le polemiche preventive che accompagnano la messa in onda di Faccia d'angelo. Basate su accuse pretestuose e fuori da ogni regola cinematografica, le polemiche tendono a puntare il dito contro il rischio di mitizzare una figura alquanto controversa della storia del nostro Paese, dimenticando che il cinema (o la televisione, in questo caso) hanno anche il compito di raccontare storie che non piacciono. Per evitare che lo spettatore sia poi condotto su percorsi sbagliati, Sky ha scelto di far seguire alla fiction un documentario in due parti sul canale History, con immagini di repertorio e approfondimenti che testimoniano la parabola di Felice Maniero non solo attraverso le interviste ai membri della sua efferata "holding criminale", ma dando voce anche a coloro che si sono battuti per anni dalla parte dello Stato e della legalità, dedicando parte della propria vita a dargli la caccia, come il questore Francesco Zonno e il commissario Michele Festa.

 


Un criminale abile, ambizioso, spietato, che tiene banco sulle pagine di cronaca nera per anni, con colpi efferati, rapine spettacolari, clamorose evasioni. Dall’altra parte della barricata, un gruppo di uomini che per quasi due decenni non smette mai di dargli la caccia, un team di poliziotti che combatte in difesa della legalità e in nome dello Stato.

Una parabola emblematica, che inizia con l’ascesa di un gangster che sembra inarrestabile e si conclude con una sconfitta inevitabile  quanto implacabile.

Liberamente tratta dal libro Una storia criminale di Andrea Pasqualetto e Felice Maniero, oltre che da fonti giudiziarie e di cronaca, Faccia d’angelo racconta anche un capitolo della storia recente del nostro Paese che si intreccia con l’ascesa del boss: quello del Nord Est, che da area povera e depressa si trasforma nel laboratorio italiano dell’imprenditoria e conosce un boom economico straordinario. La storia di un territorio che, prima della Mala del Brenta,  non aveva mai avuto derive criminali radicate e durature e la vittoria delle forze dell’ordine, che riescono a sradicare definitivamente una vera e propria “holding” criminale.

Siamo nel Veneto contadino dalla fine degli anni ’70, allora chiamato “il Sud del Nord”. E’ in questo scenario che muove i primi passi il “Toso”, protagonista della storia romanzata del gangster. Cresciuto in una famiglia di umili origini, in pochi anni costruisce un impero partendo da rapine, sequestri di persona, omicidi.

Abile “imprenditore del crimine”, il Toso approfitta della crescente ricchezza dei piccoli centri tra Padova e Venezia e dell’iniziale miopia delle forze dell’ordine, per mettere in piedi una banda potentissima e spietata, subito battezzata dai cronisti la “Mala del Brenta”, che conquista il controllo del gioco d’azzardo di tutto il Nord Est fino oltre il confine dell’ex Jugoslavia, allargando lentamente il suo giro d’affari allo spaccio di droga e al contrabbando di armi, e che si lascia dietro una lunga scia di cadaveri.

Parallela alla storia del Toso, c’è quella degli investigatori e dei magistrati, che per anni sono sulle sue tracce e cercano di incastrarlo senza successo. E’ solo dalla fine degli anni ‘80 che, grazie ad un meticoloso lavoro di indagini che mette in collegamento i vari crimini nel territorio del Brenta, le forze dell’ordine riescono a perseguire il Toso e la sua banda, con l’accusa di associazione mafiosa,  formulata per la prima volta per un’organizzazione non del meridione.

Inizia una vera e propria caccia all’uomo, che tiene banco sulle prime pagine di giornali e telegiornali, fatta di evasioni ingegnose e rocambolesche, come quella attraverso l’antico sistema fognario del carcere di massima sicurezza di Fossombrone, e lunghe latitanze, dalle quali il boss continua a gestire i suoi affari. Fino all’ennesima cattura e all’amaro finale.

Il racconto si snoda anche attraverso gli aspetti privati della vita del Toso, il rapporto con la madre e l’amore per le donne e la bella vita, i tentativi di recuperare il rapporto con il figlio e un desiderio di riscatto che ha radici profonde.

 

Così racconta il progetto il regista Andrea Porporati:

«Soprattutto tre ragioni mi hanno spinto a scrivere e girare questo film.La prima è che si tratta di una storia straordinaria: per quasi vent’anni è esistita una organizzazione, una vera e propria mafia, che controllava ogni traffico criminale in una delle aree più ricche, civili e dinamiche del paese, il Nord Est. Contro ogni cliché nord/sud: una mafia veneta, organizzata e gestita da veneti. Altro elemento straordinario: questa organizzazione oggi non esiste più. Non ce ne è più traccia. È uno dei pochi casi in Italia e non solo in Italia in cui magistratura, forze dell’ordine e società civile sono riuscite a debellare completamente una mafia.

La seconda ragione è che questa organizzazione criminale è nata attorno alla figura centrale di un abile gangster-imprenditore, un uomo che ha saputo trasformare una banda di provincia in una raffinata holding del crimine. Rapine clamorose, omicidi, evasioni, si uniscono alla attenta gestione di un impero economico e criminale che va dal gioco d’azzardo al traffico di stupefacenti e di armi.

È la storia di un uomo che vuole essere il primo, il migliore, che vuole conquistare il mondo e crede di poterlo fare impunemente, con dei colpi “chirurgici”, puliti, spettacolari. Ma cui la vita finisce per insegnare che un prezzo da pagare c’è, e molto alto.

Perché la storia del Toso, è anche e soprattutto quella del sangue versato, delle vittime, di chi è finito sulla strada di questa “irresistibile” ascesa e ne è stato travolto. Vittime innocenti, che è impossibile persino per il Toso liquidare come “danni collaterali” nella guerra di conquista del successo.

Ne valeva la pena?

Molti che hanno conosciuto il capo di questa mafia veneta lo definiscono un genio, che sarebbe riuscito in qualsiasi campo avesse scelto. Avrebbe potuto essere un grande chirurgo, un giornalista o un industriale. Invece ha deciso di essere un criminale.

Cosa c’era in lui, nel suo cuore e attorno a lui, che lo ha convinto a fare questa scelta, cosa è successo in quegli anni in cui i valori tradizionali cadono e tutto diventa “schei”, soldi?

Ecco la terza ragione: questa è una storia sugli “schei”, in cui gli “schei” sono il metro della felicità, della vita e della morte.

Il più grande motivo di entusiasmo nell’affrontare questo progetto è stato la possibilità di lavorare con Elio Germano, un grande attore, capace di costruire un personaggio che è anche la fotografia di un mondo, di un Veneto rampante e criminale, preciso, nella voce, nella maschera ambigua, nello sguardo.

Il suo lavoro sulla lingua veneta è stato di una cura quasi maniacale e il risultato una mimesi straordinaria. Tanto che dopo mesi passati a lavorare sul Toso del film, quando mi capita di incontrare Elio, e di sentirlo parlare con l’accento che gli è proprio, privo di inflessione del Nord Est, mi disorienta. Non mi sembra più lui.

Intorno a lui c’è un gruppo di interpreti, professionisti e non, speciali per fantasia, calore, vitalità. Il casting è stato svolto attraverso una selezione sul territorio per comporre un team di attori per lo più veneti e una particolare attenzione è stata rivolta allo studio del dialetto e della corretta cadenza da parte degli interpreti che non lo fossero, sia prima che durante le riprese. Lo scopo era di restituire con la maggiore precisione possibile non solo il sapore di quelle regioni, ma anche di quegli anni, del boom del Nord Est, tra i settanta e i novanta dello scorso secolo.

Tra gli attori, voglio ricordare, in particolare, Linda Messerklinger, che è la ragazza “normale” che fa innamorare il Toso e perde tutto per questa passione e Katia Ricciarelli, che disegna una madre del Toso fortissima, emblematica di una generazione che ha riposto nei figli, anche fino all’annullamento delle proprie, ogni speranza di futuro e di riscatto».

 

 

In anteprima, ecco i primi 5 minuti:

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati