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Il meglio del 2022
di CineNihilist ultimo aggiornamento
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Il meglio del 2022

 

Dopo un paio d'anni mi sono deciso di lanciare questa mia rubrica annuale su Filmtv.it, in cui vi elencherò la mia classifica sui film migliori della scorsa annata secondo il mio parere, inoltre subito qui sotto metterò la lista di tutti i film che ho visto e rivisto in sala nel 2022 con tanto di valutazioni in stelline.

 

Buona lettura!

 

FILMOGRAFIA AL CINEMA NEL 2022:

 

Matrix Resurrections ****½ ♥
The King’s man ****
Matrix Resurrections ****½ ♥
Matrix Resurrections ****½ ♥
Scream 5 ****
Il signore degli Anelli – La compagnia dell’anello ****½
Il signore degli Anelli – Le due torri ****½
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto *****
La dolce vita ****
Il signore degli anelli – Il ritorno del Re ****½
Nightmare Alley ****½ ♥
Otto e mezzo ****½
I cancelli del cielo ****½
Belfast ****
Il Padrino *****
Belle ****
The Batman ****½ ♥
Ennio ****½
Licorice Pizza ***½
Spencer ***½
Lamb ****
The Northman ****½ ♥
Doctor Strange In the Multiverse of madness ***
Il servo ****
Esterno notte parte 1 ****½
Nostalgia ****
Jurassic World Dominion ***
Funny Girl ****
Lightyear ***½
Black phone ****
I guerrieri della notte ****½
M – il mostro di Düsseldorf ****½
Il Padrino parte 2 (*****) e 3 (****½)
Il conformista ****
The Blues Brothers *****
Singin’ in the rain ****
La città incantata ****
Principessa Mononoke ****½
X – A sexy horror story ****
Nausicaa della valle del vento ****
Thor Love & Thunder ***
Porco Rosso ****½
Top Gun Maverick ****
Nope ****
Men ***½
Crimes of the future ***½
Bullet Train ****
Evangelion: 3.0+1.0 Thrice Upon a Time ****½
Top Gun Maverick ****
Avatar 3D ****
La mosca ****½
Crash ****
Videodrome ****½
Avatar 3D ****
9 to 5 ****
Don’t worry darling **½
Everything Everywhere All at Once ****½ ♥
Il pensionante ****
Broker ****
Everything Everywhere All at Once ****½ ♥
Sergio Leone documentario ****
Gli invasati ****
Psycho *****
Candyman ****
Black Panther: Wakanda Forever ****
Diabolik 2 – Ginko all’attacco ***½
Glass Onion ****
Bones and all ***½
Pinocchio ****
Avatar – La via dell’acqua 3D ****½ ♥

 

Totale film: 67 (non si contano le revisioni)

Playlist film

Matrix Resurrections

  • Fantascienza
  • USA
  • durata 148'

Titolo originale The Matrix Resurrections

Regia di Lana Wachowski

Con Keanu Reeves, Carrie-Anne Moss, Yahya Abdul-Mateen II, Jessica Henwick, Jonathan Groff

Matrix Resurrections

In streaming su Amazon Video

vedi tutti

Pubblico/critica/cinefili/fan del primo Matrix/hater: Perché Lana Wachowski? Perché? Perché? Perché lo fa? Perché un altro Matrix? Perché continua a fare film? Pensa veramente di aver fatto qualcosa di significativo a parte Matrix? Sa dirci di che si tratta ammesso che ne abbia coscienza? È per i soldi?! È per la fama?! O magari è per la nostalgia di un passato glorioso non più ripetibile… Non ci dica che è per l’amore della Settima Arte! Illusioni Lana Wachowski, capricci della percezione, temporanei costrutti del debole intelletto umano che cerca disperatamente di giustificare un’esistenza priva del minimo significato e scopo! Ogni suo film fatto dopo Matrix è stato sempre un continuo ed inesorabile flop artistico e commerciale, anche se dovevamo aspettarcelo che solo una mente priva di creatività come la sua poteva realizzare una così ridicola, scialba e orripilante pellicola come Jupiter Ascending! Ormai dovrebbe aver capito Lana Wachowski, a quest’ora le sarà chiaro, lei ha perso ogni briciolo di credibilità ed inventiva cinematografica, fare film per lei è ormai inutile! Perché signora Lana Wachowski, perché, perché persiste a propinarci ancora il suo Cinema vacuo e ridicolo?!!

 

Massacrato, demolito, boicottato, spernacchiato, sbeffeggiato, insultato, criticato, denigrato, disintegrato, annichilito, perculato, incenerito unanimemente sia dal pubblico che dalla critica, Matrix Resurrections è di fatto il miglior film del 2022, ottenendo esattamente la reazione che si aspettava da una pletora di spettatori incapaci ormai di mettersi in discussione e analizzare un film.

Giudicato da molti come un onanismo di un’autrice ormai alla frutta e che ha fatto il suo tempo, in realtà Lana Wachowski si mette a nudo, esplorando metacinematograficamente il suo essere un’artista e il cambiamento che la società ha attraversato dal 1999 - all’uscita del primo The Matrix - fino ad oggi, proiettandosi nuovamente nel futuro come ha sempre fatto con sua sorella Lilly col suo cinema rivoluzionario ed avanguardistico. La sua critica caustica e lucidissima sul pubblico generalista odierno e sul solipsismo di una società tardocapitalista incapace di guardare oltre il proprio il naso, spiazza completamente il pubblico generalista che ha deciso di voltarle le spalle dopo il suo più grande successo cinematografico mai più replicato. E infatti nuovamente e puntualmente di fronte ad una tale critica lo spettatore non riflette ma rigetta, come il bluepillato dentro il Matrix, che non metterà mai in discussione la sua esistenza e i suoi principi. Difatti, ormai lo spettatore medio vuole solo anestetizzarsi con il Cinema, rigettando qualsiasi riflessione come un felice maiale nella merda citando il geniale villain del film, chiamato l’Analista (il nome dice tutto).

 

Il cinema wachowskiano è scomodo, anarchico, transgender, antisistema e anticonformista, dunque lontano dai semplicistici codici narrativi del cinema blockbuster mainstream. Eppure tecnicamente incasellabile in quella categoria date le sue caratteristiche produttive, ma spiritualmente è un cinema d’autore purissimo, che trascende la pellicola cinematografica (proprio come Neo in questo film vedendo il primo Matrix) per riflettere sul mondo, sulla società e sull’individuo – artista e non – intrappolato perennemente in una dialettica fra potere antipotere, tema cardine nella poetica wachowskiana. L’unica scelta in questo terribile scenario è come sempre la ribellione e la liberazione, in cui la regista si libera finalmente di un fardello che sminuiva e sottovalutava la portata e l’eredità del suo Cinema. Librandosi finalmente verso il cielo, verso la libertà, verso la fine di un percorso che segnerà un nuovo inizio.

 

La regia è sontuosa, leggiadra, più pacata e “senile” (le scene d'azione sono più wongkarwaiane che johnwooiane), proprio come quella di una regista ormai matura nel suo sguardo sulla Settima Arte, in cui Lana Wachowski realizza definitivamente il suo testamento artistico con uno sguardo quasi rassegnato sul futuro e sul Cinema. Nonostante ciò, l’ontologico ottimismo della poetica wachowskiana – sempre in lotta col sistema hollywoodiano – pone nuovamente fede nella spiritualità del proprio io, che a dispetto di un mondo e di una società sempre più fosche ed opprimenti come il matrix capitalistico che ci governa ogni giorno, dovrà sempre combattere per mantenere la sua integrità spirituale, morale ed individuale. Il futuro, ancora una volta, ritorna come sempre l’obiettivo finale nella poetica wachowskiana. Lo dimostra quel volo finale liberatorio di Neo Trinity che conclude la splendida catarsi di Resurrections, rompendo così qualsiasi binarismo precedentemente costruito: pillola rossa e pillola blu, l’eletto e l’anti-eletto, mondo umano e mondo delle macchine, maschile e femminile.

 

Smith: I’ve been thinking about us, Tom. Look how binary is the form, the nature of things. Ones and zeros. Light and dark. Choice and its absence. Anderson and Smith.

 

Per la seconda volta ho avuto l’opportunità in sala di assistere alla proiezione di un film delle mie registe preferite, le sorelle Wachowski. Tali esperienze uniche ed irripetibili me le terrò ben strette nel mio cuore, infatti in futuro tratterò con maggiore approfondimento questo instant cult tremendamente profetico e mal compreso. Intanto ai posteri l’ardua sentenza, che hanno già riabilitato la futuristica filmografia wachowskiana con un ritardo cronico di 10 anni come al solito. Meglio tardi che mai, io intanto do e darò il mio solido contributo a migliorare la loro immagine tra i cinefili e non. Magari con un libro in futuro, chissà.

Concludo con un dito medio wachowskiano a tutti i detrattori/hater e…WAKE UP!!! (ovviamente si scherza ;D)

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Everything Everywhere All at Once

  • Fantasy
  • USA
  • durata 140'

Titolo originale Everything Everywhere All at Once

Regia di Dan Kwan, Daniel Scheinert

Con Michelle Yeoh, Ke Huy Quan, Stephanie Hsu, Jamie Lee Curtis, James Hong, Andy Le, Amanda

Everything Everywhere All at Once

In streaming su Amazon Video

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Nel 2022 sono usciti due film sul multiverso: Doctor Strange nel multiverso della follia e Everything Everywhere All at Once. Entrambi sfruttano la tematica multiversale per riflettere sull’interiorità dei loro personaggi, ma se il blockbuster della Marvel si perde in una vacua e pirotecnica forma infarcita da inutili easter egg (autoriali e non) che sviliscono la stessa narrazione, il film della A24, invece, sfrutta le mirabolanti sfide visive del multiverso per restituire una splendida analisi sociologica spirituale sulla Generazione Z.

Sam Raimi, infatti, affoga nel suo auto-citazionismo esasperato e nelle direttive deleterie dell’imperatore Kevin Feige, mentre i Daniels, grazie alla libertà creativa concessa dalla A24, riescono invece a narrare egregiamente e follemente le vicende di una famiglia sino-americana in rotta di collisione e alle prese con un pericolo multiversale che rischia di distruggere il loro universo. La madre interpretata da Michelle Yeoh – diva assoluta di questo film che rivive pure sé stessa metacinematograficamente – viene incaricata così da una versione multiversale di suo marito a salvare l’intero multiverso, in cui nel suo lungo viaggio tra vari universi riscoprirà i suoi legami famigliari e la quintessenza della vita stessa.

 

Daniels, con il loro secondo film e con soli 20 milioni di dollari di budget, riprendono la loro poetica “weird” ed anarcoide originata con Swiss Army Man (la loro opera prima) sull’alienazione e sul tormentato esistenzialismo dell’uomo comune post-ideologico del XXI Secolo. L’essere umano ormai intrappolato in una ripetitiva routine e sempre più disilluso dato che viene rigettato e confinato ai margini della società (Paul Dano in Swiss Army Man) e, addirittura, alienato all’interno della sua stessa famiglia (la figlia unica lesbica co-protagonista di EEAaO), porta i protagonisti dei Daniels ad una profonda crisi interiore che li porta a sviluppare una seria depressione – con tanto di istinti suicidi – e una visione estremamente nichilistica della realtà.
L’unico modo per uscirne, infatti, per i registi americani sta nell’abbracciare la propria bizzarria e quella che la vita spesso ti presenta attraverso personaggi stravaganti nel loro essere “weird”, come il cadavere multiuso in Swiss Army Man e il marito di un universo alternativo di Evelyn in Everything Everywhere All at Once. Di fatto codesti personaggi bizzarri rappresentano una seconda chance per i protagonisti per rimediare alla spirale autodistruttiva della loro vita e riabbracciare l’ardore di vivere.
Nel loro secondo lungometraggio, i Daniels riaffermano quindi l’importanza dei rapporti umani e l’innato spirito di resilienza delle persone. Gli esseri umani, infatti, quando si ritrovano in un totale sconforto, spesso ripensano a cosa potevano diventare – e dunque migliorare la propria condizione sociale – in un potenziale universo alternativo. Il multiverso per i registi diventa quindi uno strumento introspettivo necessario per indagare il rapporto problematico tra madre (Evelyn) e figlia (Joy), in cui due generazioni si scontrano tra costruttivismo nichilismo, nella quale le due figure femminili nel loro scontro fisico e mentale comprenderanno il valore della vita attraverso un viaggio psichedelico, che le porterà oltre il vuoto esistenziale che opprime il loro stesso ambiente famigliare.
Daniels sfruttano quindi una serie di scontri multiversali di proporzioni epiche per trattare in realtà, con una sorprendente sensibilità post post moderna, un conflitto molto più endogeno di quello che si potrebbe pensare, ossia uno scontro all’interno di un microcosmo famigliare sino-americano. La famiglia nella sua precarietà, sia socioeconomica che spirituale, diventa così il cuore pulsante di una rete neurale come il multiverso. Ed è infatti solo attraverso l’altruismo, l’empatia, il dialogo, l’affetto e la gentilezza che genitori figli potranno riunirsi e riportare un equilibrio nel multiverso, che alla fine è lo specchio dell’interiorità e dell’anima di ogni essere umano presente sul pianeta. Il mondo-multiverso è in noi e noi come esseri viventi rappresentiamo quello stesso macrocosmo che ci determina.

 

La regia post post moderna dei Daniels nei suoi eccessi anche “minimalisti” – come i due sassi parlanti che rappresentano madre e figlia – e nella sua vena anarcoide “weird” riesce comunque a confezionare un’opera audiovisiva di rara bellezza. Difatti, la forma è totalmente al servizio di una sostanza in grado di catturare magistralmente l’iper connessione della nostra età contemporanea e a destrutturarla per mostrare la forte disconnessione che intercorre in ogni essere umano di questo pianeta, a partire dai suoi più intimi legami famigliari. Everything Everywhere All at Once è, dunque, uno straordinario manifesto del disagio della Generazione Z e ne denuda tutte le sue incertezze – come le sue complessità – di fronte alle generazioni più vecchie e mature, che spesso danno troppo per scontato lo stato d’animo di chi hanno di fronte.

 

Candidato a 11 nomination all’edizione Oscar 2023 e divenuto un istant-cult negli Stati Uniti – con tanto di plauso della critica – incassando più di 100 milioni in tutto il mondo, il lungometraggio riconferma la vittoria del cinema popolare, seppur molto bizzarro e folle, del duo registico denominato “Daniels”. Everything Everywhere All at Once prodotto dalla A24 merita dunque vittorie importanti sia nei premi tecnici (montaggio) che in quelli per la recitazione (miglior attrice Michelle Yeoh), in cui per una volta una minoranza non viene rappresentata in modo stereotipato o con l’intento di guadagnare un premio per essere la classica “quota progressista”.

 

Se contiamo l’anno di distribuzione negli USA, EEAaO è di fatto il miglior film del 2022 secondo il sottoscritto, che è riuscito a riconoscere anche l’uso alternato del mandarino standard e del cantonese all’interno del nucleo famigliare sino-americano. Questo ennesimo dettaglio non fa che impreziosire un’opera che ad ogni revisione non smetterà mai di affascinarmi al di là della sua mirabolante estetica visiva.

 

Rilevanza: 1. Per te? No

Avatar: La via dell'acqua

  • Fantascienza
  • USA
  • durata 190'

Titolo originale Avatar: The Way of Water

Regia di James Cameron

Con Zoë Saldana, Kate Winslet, Michelle Yeoh, Sigourney Weaver, Sam Worthington

Avatar: La via dell'acqua

In streaming su Disney Plus

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Tsirea: The way of water has no beginning and no end. The sea is around you and in you. The sea is your home, before your birth and after your death. Our hearts beat in the womb of the world. Our breath burns in the shadows of the deep. The sea gives and the sea takes. Water connects all things, life to death, darkness to light.

 

Sin dai tempi della epica conclusione nel 2017 della splendida trilogia reboot del Pianeta delle Scimmie, sognavo di ritornare in sala per assistere nuovamente ad una saga cinematografica, dato che sin da piccolo ho sempre ammirato le grandi saghe fantascientifiche e fantastiche come Star WarsHarry Potter e Il Signore degli Anelli. Inoltre, da quando il franchise di Guerre Stellari è declinato a livelli infimi e il MCU dopo Endgame è diventato sempre di più l’ombra e la macchietta di sé stesso, il mio desiderio di voler vedere al cinema una nuova saga – soprattutto originale – epica e catartica è aumentato sempre di più. Dune di Denis Villeneuve in parte ha placato questo mio forte desiderio, ma è stato inaspettatamente con Avatar – La via dell’acqua che ho finalmente trovato quella nuova saga cinematografica originale e degna di essere seguita ardentemente dall’inizio (2022) alla fine (2031).

 

Il “sequel-reboot” di James Cameron, infatti, si inserisce perfettamente nel periodo storico giusto e rialza l’asticella del cinema blockbuster contemporaneo, in cui l’autore canadese sperimenta e riafferma il suo immaginario visivo rinnovando la mitologia di PandoraCameron con il suo secondo capitolo su Avatar riporta dunque un pionierismo, un amore e una classicità ormai perduti nei blockbuster contemporanei, nella quale forma sostanza viaggiano splendidamente a braccetto in un magnifico 3D d’avanguardia, che si ricollega metacinematograficamente alla frase “io ti vedo”, più volte espressa nel film per sottolineare la completa comprensione dell’interiorità del prossimo.

 

Insomma, James Cameron riconferma nuovamente tutte le sue virtù già elogiate dal sottoscritto in una più approfondita recensione sul blog sulla sua ultima fatica, in cui riporta nuovamente lo spettatore a rivivere un’esperienza cinematografica iper-sensoriale che ormai sempre meno registi sanno regalare.

 

Per ora concludo dicendo che è il film che non ci meritavamo ma di cui avevamo bisogno, infatti il suo incasso di 2.3 miliardi di dollari che ha superato Star Wars Episodio VII – Il risveglio della forza mi fa ben sperare sul futuro della Settima Arte. Sperando che non incassino soltanto franchise come quello di Avatar in quest’epoca post-pandemica, ma anche registi che hanno ancora voglia di raccontare e far sognare nuovamente lo spettatore.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

La fiera delle illusioni

  • Drammatico
  • USA
  • durata 150'

Titolo originale Nightmare Alley

Regia di Guillermo Del Toro

Con Bradley Cooper, Cate Blanchett, Rooney Mara, Toni Collette, Willem Dafoe, Ron Perlman

La fiera delle illusioni

In streaming su Disney Plus

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Nel 2022 Guillermo Del Toro arriva nelle sale nostrane con due perle di rara bellezza, ossia Nightmare Alley a febbraio e Pinocchio (film animato in stop motion finanziato da Netflix) a dicembre. Personalmente è il film live action ad avermi catturato maggiormente, ma purtroppo negli Stati Uniti la penultima fatica deltoriana ha fatto flop e non fa che riconfermare il declino di un certo tipo di cinema autoriale a medio budget. Del Toro, inoltre, dirige il suo film più oscuro pessimista, mostrando gli orrori di una società sempre più arrivista, malata e precaria come quella odierna, la quale viene denunciata attraverso gli anni ’40 in cui è ambientata la storia dell’ultima fatica deltoriana live action.
Il film, infatti, tratto dal romanzo Nightmare Alley scritto da William Lindsay Gresham nel 1946, narra le vicende dell’arrampicatore sociale Stanton Carlisle alla fine degli anni trenta alle prese con un circo composto da vari freaks da cui imparerà l’abilità da mentalista, che lo porterà negli anni successivi a truffare l’alta borghesia delle grandi città americane con la complicità di sua moglie e del suo nuovo “potere” sui suoi spettatori (aspetto che può essere analizzato anche in chiave metacinematografica sullo stesso regista messicano).

 

Del Toro con una classicità elegantissima anche nello scandagliare i tre atti del suo lungo racconto, attraverso il noir e il thriller elimina la componente fantastica tipica dei suoi film – comunque leggermente evocata in alcune scene – per raccontare con estremo realismo l’ascesa e la caduta del suo protagonista antieroe noir. Nightmare Alley denuncia infatti spietatamente l’avidità, l’arrivismo, l’egoismo, la lussuria e l‘arte manipolatoria del suo scaltro protagonista, ma anche tutto il macrocosmo urbano capitalista che circonda Stanton, a partire dalla Dark Lady interpretata da Cate Blanchett che lo aiuta nelle sue truffe, fino all’alta borghesia che richiede le capacità “esoteriche” del mentalista per soddisfare i loro desideri più proibiti come quelli ultraterreni.
Il regista riprendendo la struttura thriller hitchcockiana e quella noir wellesiana, proietta lo spettatore in una riflessione quasi nichilista allucinata sui vizi e sulla corruzione intrinseca dell’uomo, come la ricerca costante della fama e del dio denaro tipiche di quell’epoca americana ancora segnata dalla Grande Depressione. Gli ascensori sociali erano infatti ancora un miraggio negli anni quaranta, e quello stesso precariato che affliggeva la classe sottoproletaria si riflette egregiamente nell’indole arrivista del protagonista, che abbandona il lato più spirituale ed artistico del mentalismo per tramutarlo in uno strumento di guadagno e di potere sul proprio capitale sociale, per poter ascendere finalmente all’agiatezza di quella borghesia che lui stesso inganna per mantenere il suo nuovo status sociale borghese dopo decenni di povertà

Il mondo cupo, oscuro e cinico – dunque noir – in cui Del Toro denuncia tutti coloro che alimentano tale sistema capitalistico diseguale, trova infatti le sue estreme conseguenze nella riflessione sulla natura edonistica barbara dell’uomo, in fondo sempre intento a soddisfare i suoi più profondi istinti che non lo rendono tanto diverso da un animaleDel Toro chiude infatti magistralmente il cerchio sulla disavventura del suo protagonista schiavo di sé stesso e del sistema che l’ha favorito, mostrando nichilisticamente quanto il mito americano del successo individuale sia soltanto un miraggio per gli strati sociali più poveri della nazione, in cui alla fine sarà sempre il povero a rimetterci le pelle, anche quando sembra finalmente migliorare la sua condizione socioeconomica.

 

L’ultima fatica di Del Toro è l’ennesima perla della Settima Arte che il regista messicano offre a Hollywood dopo l’altrettanto splendido La forma dell’acqua del 2017 (sempre ambientato negli anni del cinema classico americano), che dimostra non solo all’Academy ma anche a tutto il mondo che è di fatto l’unico vero autore tra i “tre amigos” che lavorano nel cinema statunitense, in quanto molto più umile concreto nella sua poetica (Inarritu Cuaron ce l’hanno?) che è priva di tecnicismi fini a sé stessi nocivi per la stessa narrazioneGuillermo Del Toro confeziona così una doppietta artisticamente suggestiva e pregevole nel 2022, in cui se Nightmare Alley soffre per una sua “vetusta” classicità ormai indigesta al pubblico generalista – senza contare la sua critica spietatissima verso la società passata e presente – dall’altro lato il regista messicano può effettivamente vincere l’oscar per il miglior film d’animazione con il suo film stop motion Pinocchio, una pellicola sicuramente più accessibile e apprezzabile per il grande pubblico (streaming).

 

E io non posso che essere contento lo stesso, sperando però che il cineasta possa realizzare altri film per la sala e non solo per le piattaforme streaming, visto che la sua peculiare estetica non può essere relegata solamente allo schermo di dispositivi digitali. Ai posteri l’ardua sentenza, intanto Nightmare Alley già solo per il suo tributo al cinema classico americano merita di essere rivisto e di entrare in una collezione di qualsiasi cinefilo.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

The Batman

  • Supereroi
  • USA
  • durata 175'

Titolo originale The Batman

Regia di Matt Reeves

Con Robert Pattinson, Zoë Kravitz, Colin Farrell, Andy Serkis, Paul Dano, Peter Sarsgaard

The Batman

In streaming su Netflix

vedi tutti

Matt Reeves è un regista di mestiere che aveva spopolato nelle sale col virale Cloverfield (2008), un monster movie mockumentary che sapeva calibrare tensione e ritmo narrativo con pochi effetti speciali e un manciata di personaggi di fronte all’imminente arrivo dell’apocalisse sulla Terra. Dopo l’esperienza con un film a basso budget fantascientifico e con il remake di Lasciami entrareMatt Revees si cimenta nel secondo e nel terzo capitolo della trilogia reboot della saga del Pianeta delle scimmie, realizzando due dei migliori film fantascientifici degli anni ’10 e rivitalizzando una saga che sembrava ormai aver detto tutto al Cinema.

 

Con The Batman Reeves ritorna alla regia col suo tocco magico, donando una nuova linfa vitale al mito dell’uomo pipistrello dopo lo scempio compiuto da Snyder col suo mediocre Bat-flek mortadellone. La regia immersiva di Reeves, infatti, si discosta da tutti i film precedenti del DCEU, conferendo finalmente al cinefumetto una profondità che ormai latita anche nel cinema blockbuster. Pur prendendo spunto dal realismo oscuro di Nolan e rubando l’estetica marcia e decadente di Seven di Fincher per ridefinire questa nuova incarnazione di Batman, Reeves riesce comunque a plasmare una nuova Gotham City ancora più violenta, logora, sudicia e malata popolata da freaks e uomini corrotti, dove il giovane Bruce Wayne ci sguazza perennemente fino a diventarne succube. Il giovane eroe, infatti, non riesce a staccare la maschera (la più espressiva di sempre a livello cinematografico) del cavaliere oscuro anche di giorno, quasi come se fosse un vampiro, infatti quest’ultimo aspetto viene sottolineato sia dalla pelle chiara di Pattinson, sia dal precedente ruolo vampiresco nella saga di Twilight. L’attore, però, rientrato dopo tanto tempo in una nuova saga, accetta di lavorare con Reeves per via dell’intrigante impianto narrativo ed estetico di The Batman, in cui il regista statunitense con coraggio decide di trasformare il suo primo capitolo sull’uomo pipistrello in un thriller noir investigativo con scene d’azione notevoli ed egregiamente circoscritte. L’obiettivo di Reeves, infatti, proprio come lo era nei capitoli della trilogia reboot del Pianeta delle Scimmie, è di far emergere l’interiorità dei suoi personaggi, attraverso scene introspettive riflessive che mettono in dubbio la loro umanità e i loro principi di fronte alle difficoltà e alle complessità del loro mondo.

 

Il viaggio infernale di Batman in una Gotham sempre più fatiscente è quindi nuovamente un’allegoria del nostro mondo, dove Reeves denuncia le storture della babilonia opulenta e decadente quale è Gotham, città sacrificata totalmente ai peccati capitali dell’uomo, nella quale il capitalismo selvaggio si è simbioticamente unito a quello più violento del sottobosco criminale, quest’ultimo ormai imperante anche nei piani alti del potere influenzati dal boss Falcone. Gotham non è altro che la società americana attuale, dove le possibili reazioni a un tale disagio socioeconomico non è tanto l’emersione di una forza realmente progressista radicale in grado di scardinare il conservatorismo intrinseco del potere, ma di un giustizialismo semplicistico come quello di Batman che non può scardinare totalmente lo status quo. Peggio ancora è, invece, la più plausibile affermazione di un uomo psicopatico reazionario come l’Enigmista, che è al tempo stesso lucido nel fondare un intero movimento nato dal precariato e dalla sofferenza della “white trash” per via di un mancato welfare state. L’enigmista, interpretato da un ottimo Paul Dano, si pone quindi come l’altra faccia della medaglia di Batman, ossia l’orfano che non ha mai beneficiato del benessere economico ed affettivo che invece ha avuto il miliardario Bruce Wayne, innescando quindi uno scontro mentale, filosofico e dialettico in cui due “paladini della giustizia” si scontrano nella loro comune adesione alla legge del taglione (“io sono vendetta”).
Emblematico è infatti l’attacco finale degli adepti dell’Enigmista – reclutati online – contro il nuovo sindaco progressista eletto dal popolo e intenzionato a combattere una volta per tutte la corruzione di Gotham, che ricorda sorprendentemente l’attacco al Campidoglio degli Stati Uniti del 2021 da parte dei seguaci trumpiani iscritti anche al movimento di estrema destra QAnon e contrari alla vittoria di Biden. Tale evento è avvenuto tra l’altro durante le riprese del film, creando un parallelismo che inquieta ma che dona ulteriore lustro al cinecomic di Reeves, il quale finalmente osa nel suo manifesto sociopolitico e restituisce nuovamente l’aura leggendaria di un giustiziere mascherato che non smetterà mai di essere attuale grazie al fertile macrocosmo che lo avvolge.

 

The Batman è dunque un signor cinefumetto in grado di parlare della e alla nostra contemporaneità, il tutto possibile grazie alla solida mano registica di Matt Reeves, che nel suo mestiere si sta pian piano formando come piccolo autore di blockbuster. Sicuramente il lungometraggio non è esente da difetti, ma quel finale alla Casablanca (tocca scomodare questo capolavoro) con Catwoman e Batman che si lasciano dopo aver salvato Gotham, conclude in bellezza una storia che merita di aprire una nuova trilogia sul nuovo cavaliere oscuro.

 

Matt Reeves e James Gunn hanno dimostrato che possono risollevare la DC e di riportarla sui binari giusti se registi e sceneggiatori ci si mettono d’impegno nel realizzare i loro film. Quest’ultimo un fattore sempre più trascurato dal MCU e che può essere quindi sfruttato a vantaggio dalla DC per rilanciare i suoi variegati supereroi, ancora non del tutto espressi nel pieno del loro potenziale al cinema.
Quel “io sono vendetta” sostituito al “io sono speranza” del Batman di Pattinson alla fine del film, si può declinare anche alla situazione attuale del DCEU, nella quale James Gunn – ora a capo dei DC Studios – avrà l’arduo compito di rebootare l’interno universo cinematografico e rifondarlo da zero col suo nuovo film su Superman. Se la DC deciderà di mettere al centro i registi e non solo il marchio come ha fatto recentemente, la strada verso un nuovo futuro più radioso per il franchise da sogno diventerà sempre di più una solida realtà.

 

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The Northman

  • Thriller
  • Islanda, Irlanda, Gran Bretagna, USA
  • durata 140'

Titolo originale The Northman

Regia di Robert Eggers

Con Alexander Skarsgård, Nicole Kidman, Claes Bang, Ethan Hawke, Anya Taylor-Joy

The Northman

In streaming su Amazon Prime Video

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Amleth: I will avenge you, father. I will save you, mother. I will kill you, Fjolnir.

 

The Northman è la terza opera di Robert Eggers, regista statunitense parte della new wave horror degli anni ’10 insieme a Jordan Peele e Ari Aster, e che si è imposto nel panorama del cinema hollywoodiano con il suo primo film The Witch. L’opera seminale del giovane autore, attraverso una famiglia puritana del XVII Secolo del New England, affrontava il complesso e controverso rapporto tra l’uomo e il sovrannaturale, tra il sacro e il profano, tra la religione e la superstizione, fino a sfociare in una fiaba nera dalla tinte stregonesche iniettate egregiamente in un dramma famigliare al limite della follia.
La poetica esoterica dell’autore comincia così a delinearsi, riprendendo l’elemento folkloristico fantastico di The Witch nel suo secondo lungometraggio The Lighthouse ed elevandolo al cubo, immergendo così nuovamente lo spettatore in un dark fantasy surreale, in cui ancora una volta si esplorano le contraddizioni e i vizi dell’essere umano in un’atmosfera estremamente claustrofobica incorniciata in uno splendido bianco e nero girato in 4:3.

 

Dopo la follia allucinata di The LighthouseRobert Eggers ritorna alla macchina da presa con un semi-blockbuster costato 60 milioni, con il quale stavolta il regista decide di narrare una storia dai toni epici e sanguinolenti, trasponendo su schermo l’opera storica danese di Saxo Grammaticus, storico che col suo racconto ispirò l’Amleto di William Shakespeare.
Il giovane autore, pur discostandosi dalle atmosfere orrorifiche e claustrofobiche che l’avevano reso famoso presso il pubblico e gli appassionati di horror “impegnati”, dimostra ancora una volta di essere un regista poliedrico, in grado di gestire sapientemente anche budget relativamente alti. Difatti, ogni inquadratura di The Northman è contraddistinta da un particolare estetica visiva talmente affascinante da catturare completamente lo spettatore nella viscerale narrazione della pellicola, in cui battaglie, spade, sangue, vichinghi, onirismo norreno e magia nera costruiscono un’impalcatura narrativa magnetica magniloquente.

 

Oltre al lato estetico indiscutibile, la storia di vendetta di Amleth sicuramente è un topos narrativo piuttosto abusato al Cinema, ma Eggers grazie alla sua regia chirurgicamente perfetta e ad un cast che giganteggia nell’imbastire il grande impianto epico del lungometraggio, riesce nuovamente a raccontare – come sempre attraverso il nostro passato storico occidentale – le tragedie e le contraddizioni che affliggono la natura umana. Non mancano infatti sprazzi di onirismo ed esoterismo nell’accompagnare il viaggio oscuro del protagonista, in cui quest’ultimo passando da un status regale ad una condizione di schiavitù comprenderà l’essenza della vita, ma anche la fatalità del suo stesso destino. Topos narrativo e tematico tipico delle tragedie dell’epoca antica e medievale, in cui il libero arbitrio è sacrificato alla volontà del fato e all’elemento divino. Il terzo atto, nel quale avviene il catartico duello tra il protagonista e lo zio che ha ucciso suo padre, forse non riesce a restituire pienamente l’aura epica costruita negli atti precedenti, ma la struttura circolare di eterna dannazione che porta la vendetta a consumare totalmente un individuo, trova la sua perfetta conclusione in un’infernale vulcano islandese che simboleggia perfettamente la fine di una vita all’insegna dell’autodistruzione.

 

Il flop immeritato per il primo “blockbuster” in costume di Eggers conferma nuovamente il declino di un certo cinema autoriale a medio budget, ormai sempre più rigettato dal grande pubblico addomesticato blockbuster e a franchise sempre più vuoti e insulsi a parte qualche rara eccezione.
Robert Eggers sicuramente è un autore che merita di essere visto in sala dato il suo estro visivo, che a questo punto dovrà ritornare nell’horror indipendente se vuole ritrovare nuovamente un successo commerciale e continuare la sua poetica d’autore.
Il suo remake su Nosferatu lo attendo quindi con grande trepidazione, sperando che sia all’altezza del remake precedente e dell’originale del 1922. Conoscendo la punta del tridente della new wave horror, confido che l’amore per il genere orrorifico degli anni ’20 e ’30 possa riportare in sala un’altra pellicola horror non solo con una grande forma, ma anche caratterizzata da una pregna sostanza.

 

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