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L'angolo del libro / I due volti del terrore
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L'angolo del libro / I due volti del terrore

L'angolo del libro / 9

I due volti del terrore - La narrativa horror sul grande schermo (*****) di Michele Tetro e Roberto Azzara / Odoya

"Col sopravvenire della parola i fatti interiori si vengono man mano organando e raggruppando secondo la relazione di mezzo a fine, e si incominciano a manifestare e a rappresentare esternamente; e l'uomo si sente spinto a dare forma a figura stabile al suo interno." (Friedrich Fröbel)

 

71-Y-Ar-Qe-Bx-L

 

"Ancora oggi, pur con l'avvenuta rivoluzione tecnologica in campo cinematografico (per cui tutto sembrerebbe filmabile) Lovecraft sembrerebbe sfuggire ad ogni tentativo di serio adattamento della sua opera, risultando essa così peculiare e lontana da ogni moda del momento. Il suo universo immaginifico, la costruzione di particolari atmosfere, il concetto di cosmic horror, l'avversione antropocentrica, il continuo sforzo di voler descrivere l'indescrivibile, la ricerca di assoluti untouched by human hands e addirittura oltre il pensiero umano, semplicemente non si prestano a essere tradotti in immagini come noi potremmo concepire oggi, né tantomeno nel passato. E chiunque si sia cimentato nel tentativo ha preferito fermarsi alla forma più baracconesca e semplificata della sua poetica autoriale, prendendone solo lo spunto per poi dirottarsi sui più sicuri sentieri di stilemi horror facilmente condivisibili per un pubblico di massa. Il Lovecraft cinematografico, dunque, è sempre stato altro rispetto a quello letterario."

(Citazione dal box "Lovecraft, un autore tradito?", pag. 95)

 

Due differenti modi di raccontare una storia: con parole sulle pagine di un libro, come racconto, oppure tra le immagini in movimento di un film. Michele Tetro e Roberto Azzara compiono, per la prima volta, un'approfondita analisi tra le due diverse opzioni. Il cinema horror è visto quindi in relazione alla fonte letteraria che, spesso, ne è stata precedente e lo ha più volte ispirato. In questo monumentale testo di 544 pagine vengono schedate e analizzate criticamente quasi 400 pellicole, in un più ampio progetto che comprende riferimenti letterari e box aggiuntivi su argomenti, autori, horror per bambini, fumetti, case maledette, ecc. Un testo di agevole consultazione (16 x 21 cm) corredato da illustrazioni e foto in bianco e nero. Un prezioso e importante manuale, da inserire nella libreria del perfetto cinefilo.

 

A seguire, una selezione personale di alcuni titoli recensiti nel libro (per la relativa trama e curiosità varie visualizzare la singola scheda).

Playlist film

The Adult Version Of Jekyll & Hide

  • Horror
  • USA
  • durata 92'

Titolo originale The Adult Version Of Jekyll & Hide

Regia di Monde L. Ray

Con Jennifer Brooks, Rene Bond, Jack Buddliner, Jane Tsentas

The Adult Version Of Jekyll & Hide

"Io credo, e ora lo sto per provare, che la personalità dell'essere umano ha due parti. Non ci crederete perché apparentemente se ne manifesta solo una. Ma esiste anche l'altra. Noi non la conosciamo perché forse da troppo tempo è rimasta nascosta. Ma, questa notte, la composizione chimica che ho preparato la proverò direttamente su di me, non sapendo quale parte della personalità verrà a galla."

(Dagli appunti del dott. Jekyll)

 

Nel 1971 la Hammer produce un curioso horror diretto da Roy Ward Baker, dal titolo Barbara, il mostro di Londra. Per la prima volta questa versione della storia di Robert Louis Stevenson contempla la bizzarra ipotesi che l'alter ego malvagio di Jekyll assuma fattezze femminili, tutt'altro che mostruose. Su questa stessa base, il produttore di "nudie" David F. Friedman (noto per le precedenti collaborazioni con Herschell Gordon Lewis) decide di realizzare una versione spinta sul versante erotico, ovviamente puntando ad economizzare il più possibile i costi di lavorazione. Ingaggia alla direzione l'attore Lee Raymond, personaggio intravisto nel cult She-Freak (1967) e già regista dello sconosciuto Love thy neighbor and his wife (1970), per l'occasione alla sua ultima esperienza dietro la macchina da presa, sostituita - stando all'imdb - con l'attività di pilota della United Airlines. Come attori sono presenti una serie di mestieranti sconosciuti con eccezione di Rene Bond, già comparsa nel terribile (nel senso di inguardabile) Necromania di Ed Wood (1971) e coinvolta nel cinema hardcore. Della partita, ovvero affiliata protagonista del mondo a luci rosse (nel quale finirà però solo in seguito), è anche Linda McDowell: la ragazza mora senza nome, nuda nel letto, spiata dalla finestra e poi aggredita e uccisa da Hyde quando ancora in abiti maschili. Il resto, con eccezione della pettoruta e siliconata Jane Tsentas - alter ego femminile di Jekyll, dotata di capezzoli con circonferenza il cui diametro è da primato mondiale - all'epoca già protagonista di una lunga serie di soft, è un cast composto per lo più da interpreti alle prime se non uniche esperienze, a cominciare dal protagonista, uno sgradevole (per quanto nudo e con attributo ciondolante) John Barnum, poi rivisto in un'altra folle parodia porno-horror (del film L'esorcista) giunta anche sui nostri schermi come Abbracci... di corpi in orgasmo (Angel above - the devil belov, 1974). The adult version of Jekyll and Hide (scritto così, e non Hyde) non è quel tipo di lungometraggio, nel senso che non presenta scene esplicite di sesso ma sostanzialmente è sceneggiato, interpretato e diretto come fosse davvero un film per adulti. Le sequenze violente sono risolte fuori schermo (se ne ricorda solo una: l'evirazione di un marinaio sedotto da miss Hyde), gli attori sbattono le palpebre da defunti, mentre i nudi abbondano per quanto pur banali e ripresi in circostanze perlopiù improvvisate. Si salva la fotografia che punta a valorizzare gli effetti cromatici dei faretti colorati negli interni ma, abbinata a dialoghi mediocri e a quanto prima anticipato, non contribuisce a rendere il film migliore, dato che si trascina sino a quasi raggiungere 90 minuti senza che mai accada qualcosa di veramente interessante. Colpevole anche una pessima regia, statica e imbalsamata per decine di minuti su scenette pseudo erotiche inconcludenti. La pessima edizione in dvd dalla Golem (con traccia audio italiana al limite del comprensibile) testimonia comunque, dato il doppiaggio d'epoca, che il film è circolato a suo tempo anche nelle nostre sale.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

La casa che grondava sangue

  • Horror
  • Gran Bretagna
  • durata 102'

Titolo originale The House that Dripped Blood

Regia di Peter Duffell

Con Christopher Lee, Peter Cushing, Nyree Dawn Porter, Denholm Elliot, Tom Adams

La casa che grondava sangue

In streaming su Full Action Amazon Channel

vedi tutti

Opera suddivisa in quattro parti e diretta con certa inventiva da Peter Duffel, cineasta inglese poi confinato a dirigere lavori destinati al solo piccolo schermo: curioso destino, anticipato da una battuta presente in questo stesso La casa che grondava sangue, quando l'attore che interpreta il vampiro fa una sprezzante battuta nei confronti dei registi di prodotti concepiti per la televisione. La casa che grondava sangue, come buona parte degli horror antologici dell'epoca, ha un suo affascinante appeal. A cominciare dalla presenza delle due stars protagoniste (Cushing e Lee) per continuare con uno stile di messa in scena originale e innovativo per l'epoca (1970). La macchina da presa infatti non è mai statica né rileva inquadrature frontali e scontate, al contrario: riprende dall'alto di una scala, dietro una finestra, spesso sovrastando i personaggi - che si agitano e contorcono nella casa come pesci in un acquario - con punti di vista stranianti e pertanto inquietanti. Anche la fotografia, al servizio di una messa in scena talvolta raffinata e puramente gotica (il museo delle cere o il negozio di antiquariato) contribuisce, assieme alla innovativa soundtrack a firma di Michael Dress, a rendere il film scorrevole e piacevolmente intrigante. Solo il segmento finale, quello sul mantello, pur facendo uso di efficaci effetti speciali (davvero realistiche, ad esempio, le levitazioni) predilige un tono scanzonato e grottesco. Dati i tre precedenti casi puramente horror, un episodio più leggero e distante dal clima di riuscito mistero, chiude degnamente una pellicola tutto sommato in linea con i coevi lavori ad episodi distribuiti dalla Amicus (non a caso, dopo Le cinque chiavi del terrore - prima produzione della casa - la visione del film porta alla mente, ad esempio, il successivo La bottega che vendeva la morte). Da segnalare, inoltre, nei succinti panni di vampira, la presenza della sensuale Ingrid Pitt, all'epoca già vista in un paio di film indimenticabili: Vampiri amanti La morte va a braccetto con le vergini

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

La casa delle anime perdute

  • Horror
  • USA
  • durata 100'

Titolo originale The Haunted

Regia di Robert Mandel

Con Sally Kirkland, Jeffrey De Munn, Louise Latham, Joyce Van Patten

La casa delle anime perdute

Ispirato dal libro The haunted, che narra una vicenda realmente accaduta (diciamo realmente narrata che forse è meglio) molto simile a quella dei Lutz ad Amityville. Ben prima di James Wan e Leigh Whannell (Insidious) e di tutta la figliata che ne è derivata in anni recenti (The conjuringAnnabelle e via copia incollando) viene impostato questo film TV - ispirato alla coppia di indagatori del paranormale, i coniugi Warren - diretto con decoroso mestiere da Robert Mandel. Il limite principale è senz'altro dato da un budget che manifesta la sua inconsistenza nei modesti effetti speciali, in particolare nella manifestazione spiritica (una macchia nera in sovrimpressione). Se ci si abbandona alla storia, per la prima ora abbondante si rimane attratti dalla raffinata sceneggiatura e dai convinti interpreti. Peccato per l'ultimo quarto di film, che vedendo in azione giornalisti, curiosi e mezzi televisivi sminuisce completamente la buona costruzione della tensione, culminante nell'esorcismo della dimora da parte di un prete cattolico (ma non ortodosso né sorretto dalla Chiesa).

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Catacomba

  • Horror
  • Italia
  • durata 70'

Regia di Roberto Albanesi, Lorenzo Lepori

Con Pascal Persiano, Antonio Tentori, Simona Vannelli, Eleonora Sinotti, Giovanni Pianigiani

Catacomba

In streaming su Chili

Strane sincronicità, ovvero metonimie: Lorenzo Lepori è stato uno dei migliori fumettisti ingaggiati dalla Ediperiodici, per la quale casa editrice (tra tante testate) ha composto oggi ricercati numeri di Storie BluLe forze del male e soprattutto Oltretomba. Ecco appunto: il mitico fumetto qui omaggiato rappresenta una delle migliori pubblicazioni del periodo (assieme a quella già in passato celebrata - solo per referenza nel titolo - dai Manetti Bros, Zora, la vampira). Qui il formato della rivista è sballato (esisteva il "gigante", ma non spillato ed era costituito da una lunga storia conclusiva). Certo, si tratta di sofismi ma alla fine quello che conta è che un omonimo del già citato disegnatore - ovvero Lorenzo Lepori - produce e dirige un curioso ed estremo film che fa dell'eccesso (estremo quanto la povertà di budget) il suo punto di riferimento. Così, forte del contributo di Tentori (sceneggiatore e anche interprete nei panni di se stesso) e delle tavole appositamente realizzate dal Lepori disegnatore che danno al film un taglio stile Creepshow (richiamo effettuato anche dalla ironica cornice diretta da Roberto Albanese), il regista mette insieme quattro racconti che sembrano uscire, di peso, dall'ultimo corso di Oltretomba, quello contraddistinto dalla scritta - in prima di copertina - "nuova serie": episodi violentissimi e intrisi di erotismo sconfinante nell'hard con presenza di una fellatio pre-evirazione ed ulteriore rapporto "orale", perpetrato a piena bocca da Morella. Certo, nel complesso il coraggio e le intenzioni stridono con un budget pressochè inesistente che grava anche sui modesti spfx opera del braccio destro di Sergio Stivaletti (David Bracci). Anche la musica non contribuisce a rendere migliore questa (comunque curiosa) divertita celebrazione di un'epoca del fumetto oggi definitivamente tramontata. Nel complesso, anche grazie alla estrema sintesi, Catacomba saprà essere apprezzato dai nostalgici del cinema trash (lo stile di Polselli aleggia per tutta la durata del film) che sono certamente già in attesa dell'ultima fatica di Lepori: Notte nuda, presentato in anteprima in febbraio durante un Festival milanese, e attualmente in attesa di distribuzione.

 

Curiosità 

 

Il collezionista delle opere di Paganini ricorda il protagonista di un episodio presente ne Il giardino delle torture (là occultato in cantina stava Edgar Allan Poe); mentre il rapporto necrofilo offerto dalla Vannelli (la Ligeia suicida) ricorda analoghe scene interpretate dal Kieran Canter di Buio omega. Curiosa poi La presenza di Pascal Persiano, qui estimatore delle opere di Paganini e (in passato) presente sul set di Paganini horror diretto da Luigi Cozzi.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Creepshow

  • Horror
  • USA
  • durata 103'

Titolo originale Creepshow

Regia di George A. Romero

Con Adrienne Barbeau, Viveca Lindfors, Ted Danson, Leslie Nielsen, Stephen King

Creepshow

Creepshow costituisce un valido esempio di riuscita ed efficace collaborazione tra regista (Romero) e sceneggiatore (King). L'intero lungometraggio è basato sulla rappresentazione di un tipo di horror macabro, ma percorso costantemente da un fondo di ironia che ne esalta le qualità. I racconti sono estremamente fedeli allo stile dei famosi fumetti "E.C. Comics" degli anni ’50, molto apprezzati dagli adolescenti dell'epoca (tra i quali ovviamente gli stessi Romero e King). Girato facendo ricorso a un uso particolare del colore, grazie a faretti che diffondono in prevalenza tonalità rosse, verdi e blu, per renderlo in sintonia con l'universo cromatico dei comics (anche se gli originali pubblicati da William Gains erano in bianco e nero). Particolarmente appropriato risulta essere anche l'uso dello split screen (del tutto pertinente ai segmenti d'animazione). King è in ottima forma e realizza una sceneggiatura fedele al macabro humor dei fumetti ai quali il film rimanda non solo sotto l'aspetto grafico, ma per la presenza di personaggi volutamente retorici (interpretati da un cast ideale) che agiscono e soprattutto parlano in maniera grottesca e "sopra le righe". Se aggiungiamo che le storie presentano una morale di fondo (solo apparentemente banale), che gli effetti sono curati da Tom Savini e che la splendida colonna sonora (opera di John Harrison) a base di pianoforte contribuisce a creare un'atmosfera romantica e al tempo stesso “fantastica”, è facile capire l’alone di culto che si è creato attorno al film. Un capolavoro del cinema dell’orrore di tipo antologico, assolutamente imprescindibile per ogni appassionato del genere.

 

Curiosità 


Il divertente e spassoso personaggio che presenta con ironiche introduzioni gli episodi è circolato in riduzione fumetto (nella serie Oscar Mondadori) anche in Italia, con il nome di Zio Tibia. Ed è persino apparso, in forma di pupazzo animato, come presentatore di film horror su Italia 1, nel biennio 1989/1990 (con due serie: Zio Tibia Picture Show e Venerdì con Zio Tibia).


Nella versione italiana di Creepshow circolata nelle sale, era assente il secondo episodio poi reintegrato per l’edizione home video dall’esperto di cinema fantastico Giovanni Mongini (all’epoca curatore del negozio "Profondo Rosso" - non più esistente -  a Ferrara).


Oltre alla stravagante (e non proprio riuscita) interpretazione di Stephen King nel surreale ruolo di Jordy Verrill, anche l'effettista Tom Savini appare in un duplice cameo: nei panni della “creatura” all'interno della cassa e in quelli d'uno spazzino in chiusura del film. Ma c'è spazio anche per Joe - il figlio di Stephen King - che interpreta Billy (il bambino del prologo).

 

Hal Holbrook e Adrienne Barbeau recitano di nuovo su uno stesso set dai tempi dell'indimenticabile The fog (1980) di John Carpenter. Gaylen Ross (Becky, nell’episodio Something to tide you over) è invece un volto ben noto ai cultori dell’horror per aver partecipato come attrice nel masterpiece Zombi (1978), apprezzato caposaldo diretto da George A. Romero.


In fase di stesura della sceneggiatura era previsto, al posto del 5° episodio, un adattamento della storia "The cat from hell", sempre scritta da King, poi alla base di uno degli episodi presenti nel riuscito I delitti del gatto nero (Tales from the darkside, 1990), film diretto da John Harrison (già compositore della soundtrack di Creepshow e di nuovo in tale veste anche per Il giorno degli zombi). Analoga sorte per l’episodio dell’autostoppista, finito invece in Creepshow 2 (Michael Gornick, 1987).

 

La splendida colonna sonora verrà utilizzata in maniera ufficiosa nello stravagante Sexandroide (1987), unico tentativo (su oltre 150 titoli) del regista francese di cinema per adulti Michel Ricaud di trattare un tema non hardcore.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Il dottor Jekyll

  • Horror
  • USA
  • durata 90'

Titolo originale Dr. Jekyll and Mr. Hyde

Regia di Rouben Mamoulian

Con Fredric March, Miriam Hopkins, Rose Hobbart, Holmes Herbert

Il dottor Jekyll

In streaming su Chili

vedi tutti

Uno dei (pochi) capolavori del cinema horror anni '30, che ha saputo resistere alla prova del tempo rimanendo ancora oggi esemplare sia sotto il profilo di regia, sia soprattutto per una serie di componenti (contenute nel bel testo di partenza) che hanno valenza universale, al pari di certi archètipi immortali e mai datati.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Dr. Jekyll e Mr. Hyde: sull'orlo della follia

  • Horror
  • Gran Bretagna, Francia, Ungheria, USA
  • durata 85'

Titolo originale Edge of Sanity

Regia di Gérard Kikoïne

Con Anthony Perkins, Glynis Barber, Sarah Maur Thorp, David Lodge, Ben Cole, Ray Jewers

Dr. Jekyll e Mr. Hyde: sull'orlo della follia

In streaming su Amazon Prime Video

"Che cosa conosciamo noi della vera libertà? Parlo di fare ciò che si vuole. Per esempio: se io seguissi il mio istinto ciecamente? Niente leggi, niente proibizioni, niente convenzioni. Se vedo un cibo che mi va, me lo prendo. Se vedo una donna che mi piace... prendo anche lei. Pensate tutti che i nostri modi, la nostra morale, ci siano stati offerti da Dio? Li abbiamo costruiti noi per convenzione. Ma se io non fossi d'accordo?" (Dott. Jekyll)

 

Disastroso tentativo (anche e soprattutto al box office) per il regista francese Gérard Kikoïne di emanciparsi dal genere hard, che fa seguito ai drammatici Il calore sotto la pelle (1985) e La ronde de l'amour (1985), nonchè agli avventurosi Master of Dragonard Hill (1987) e Dragonard (1987). Tutti film poco apprezzati dal pubblico e rovinosi a livello economico. Peggio ancora andrà con Sepolti vivi (1989), successivo horror (nel quale compare anche la pornostar Ginger Lynn) che avrebbe dovuto essere seguito da un altro film, annullato dalla produzione a causa dello scarso incasso al botteghino. Edge of sanity (Dr. Jekyll e Mr. Hyde: sull'orlo della follia) è frutto di una discreta coproduzione tra Francia, Inghilterra e Ungheria, per la quale le scenografie appaiono essere state particolarmente elaborate. La possibilità di dirigere Anthony Perkins, al posto di Brigitte Lahaie, deve avere sicuramente indotto Kikoïne in un ruolo psicologicamente subalterno all'attore, magari anche impressionato da un set di certo rilievo economico. J.P. Félix e Ron Raley sono gli autori della scadente sceneggiatura, che ibrida senza originalità il tema letterario di Stevenson con la cronaca nera: ovvero con le vicende di fine Ottocento sullo "Squartatore di Londra". Non si spiega come un talento del cinema hardcore (ricordiamo che ha lavorato con Radley Metzer) quando ha l'opportunità di farsi notare a livello internazionale e con a disposizione un cast importante, arrivi a dirigere un film così sciatto e privo di atmosfera. Kikoïne punta alto (senza arrivare troppo su, anzi facendo rimpiangere i bassifondi delle luci rosse) ispirandosi al cinema espressionista tedesco: infatti conferisce a Perkins un look spiritato quando mutato in Hyde, ch'è simbiosi tra Iggy Pop ed il sonnambulo de Il gabinetto del dottor Caligari (Robert Wiene, 1920). Il risultato finale è al limite del trash: lo stesso Perkins, dando fiaccamente vita a un'interpretazione eccessivamente retorica e agitata, finisce più volte nella parodia involontaria. D'altronde che il film sfugga alla mano del regista lo si può intuire sin dalle sequenze inziali: il trauma del piccolo Jekyll sfiora derive grottesche. E quel confine (che non è quello della follia, ma della cretineria) Kikoïne lo supera più volte, soprattutto quando mette in scena i poco suggestivi delitti. Da un autore di film porno poi, non ci si potrebbero attendere scene di nudo più castigate di quelle presenti nel film. Dr. Jekyll e Mr. Hyde: sull'orlo della follia è la 37a regia di Kikoïne, una delle 8 destinate al cinema regolare. Ma sono le altre 32 quelle veramente riuscite, con buona pace degli pseudo-moralisti e di chi ancora oggi si scandalizza a sentire nominare la parola "sesso"!

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Dracula 3D

  • Horror
  • Italia, Francia, Spagna
  • durata 106'

Regia di Dario Argento

Con Thomas Kretschmann, Marta Gastini, Asia Argento, Rutger Hauer, Unax Ugalde

Dracula 3D

In streaming su Pluto TV

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Pellicola che è insolitamente visionaria e, proprio per questo, molto interessante. In particolare resta impressa la trovata delle svariate sembianze assunte dal malefico conte: di volta in volta associabili a questo o quell'animale, per raggiungere lo zenit con l'aspetto di un insetto (la mantide). Girato tra Budapest, Torino e Biella (nel castello di Montalto Dora) Dracula 3d ha avuto una distribuzione sofferta a causa delle esagerate aspettative di un pubblico che attende sempre, ad ogni ultimo lavoro di Argento, un ennesimo Profondo rossoCosa ovviamente impossibile, pertanto il pubblico (trainato anche da un immotivato pregiudizio) non lesina superficiali e gratuite critiche atte a demolire un film di certa classe, raffinato stile e di notevole struttura artistica. Certo, obiettivamente va riconosciuto che non mancano esempi di dubbia scelta operata dal maestro: al solito il difetto più rilevante è riconducibile alla decisione (ostinata da parte del regista) di ingaggiare per un ruolo sostanzioso (Lucy) la figlia Asia che, anche in questo caso, dimostra scarsa credibilità in veste d'attrice assumendo atteggiamenti involontariamente ridicoli proprio nei momenti più significativi  (vedere le espressioni assunte durante la dissoluzione tra le fiamme). Rimarchevole invece la comparsa di Rutger Hauer che compensa, pur tardivamente, certa lentezza narrativa dando luogo ad una sarabanda di violentissime azioni contro i vampiri. E anche Thomas Kretschmann - alla seconda collaborazione con Dario dopo La sindrome di Stendhal - ricopre decorosamente e con adeguato stile di comportamento una parte difficilissima per quante volte già trattata cinematograficamente. Sorvolando sull'effetto 3d, per complicanza di corretta visione dovuta ad opportuno sistema (bluray + televisore idoneo), e su certi effetti di computer grafica (l'incipit in particolare con carrellata aerea sui titoli di testa) Dracula di Dario Argento è un film che si vede e rivede molto volentieri, grazie alla buona regia, a riuscite scene splatter, e al sempre fondamentale aiuto di Simonetti alle musiche. Si rivede volentieri appunto, in contrasto con la polemica che lo ha coinvolto al momento dell'uscita ufficiale. Per gli appassionati del genere horror è da menzionare la simpatica presenza - fulminea e dettata da necessità - di Antonio Tentori, nascosto all'interno di un manicomio, urlante dietro una camera di contenimento (già apparso sullo schermo in un ruolo da protagonista in Come una crisalide e in precedenza killer, con viso mascherato, nel film di Stivaletti I tre volti del terrore). Ne siamo certi: se fosse stato realizzato da un altro regista questo Dracula avrebbe certamente ottenuto una migliore accoglienza.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Due occhi diabolici

  • Horror
  • Italia
  • durata 117'

Regia di George A. Romero, Dario Argento

Con Adrienne Barbeau, Harvey Keitel, Martin Balsam, Ramy Zada, Sally Kirkland, E.G. Marshall

Due occhi diabolici

In streaming su CG Collection Amazon channel

vedi tutti

Due occhi diabolici, nelle intenzioni iniziali, avrebbe dovuto essere diretto da quattro grandi nomi del panorama horror internazionale (gli altri due erano John Carpenter e Stephen King) e presentare diversi episodi tratti dai racconti di Edgar Allan Poe. L'inattesa rinuncia di King e Carpenter rischia di mandare a monte il progetto, quindi Argento e Romero decidono di portare a compimento ugualmente l’opera, mediante due mediometraggi della durata di circa un’ora ciascuno. L’episodio diretto da Romero è forse quello più carico di significati e rende molto bene il senso del racconto originale, mentre Argento, forte della collaborazione di Pino Donaggio (quindi avvantaggiato da una migliore colonna sonora), punta a offrire immagini particolarmente forti (opera di Tom Savini, con relativo cameo nel ruolo del maniaco che ha riesumato la cugina per estrarle i denti) e soggettive - dal punto di vista del gatto - originali. Argento, per la prima volta alle prese con una storia che non gli appartiene, mostra comunque di essere realmente affezionato al malinconico scrittore di Baltimora, inserendo qua e là diversi spunti da altri racconti ("Il pozzo e il pendolo", "Berenice") e complessivamente dirige al meglio un gruppo di attori decisamente in parte. Nel complesso un’opera d'effetto, decisamente riuscita.

 

Curiosità [1]

 

Dario Argento aveva originariamente pianificato una serie televisiva via cavo, basata sulle opere di Edgar Allan Poe. George A. Romero aveva accettato di dirigere l'episodio pilota The facts in the case of Mr. Valdemar, Michele Soavi era destinato alla direzione di The masque of the red death e Richard Stanley era stato scelto per la regia di The cask of amontillado. Purtroppo solo Romero ha partecipato e solo un altro episodio ("The black cat"), scritto e diretto da Argento, è stato prodotto. 

 

Breve cameo di Martin Balsam in una citazione alla sua interpretazione, per Hitchcock, nel celebre Psyco (1960).

 

E. G. Marshall cita un "Mr. Pratt" a un certo punto. In Creepshow (1982) di George A. Romero, ha interpretato un milionario di nome Mr. Pratt.

 

 

La parola a Dario Argento [2]

 

"Al termine della lavorazione di Opera (1987), ho impiegato molto tempo per riprendermi dalla stanchezza psico-fisica che mi aveva preso. Avevo giurato a me stesso che non mi sarei più imbarcato in progetti stressanti, faticosi e angoscianti come quello. Ero stravolto, depresso, provavo come un desiderio di morte e pensavo anche di lasciare il cinema. Per questo ho fatto un viaggio in America. Lì ho incontrato i miei vecchi e cari amici John Carpenter, George Romero, Stephen King. Una sera, mentre discutevamo, ho proposto loro di fare un film da girare tutti assieme. Un film composto da quattro episodi tratti da un noto scrittore di cui non avevamo ancora deciso il nome. Alla fine abbiamo tutti e quattro suggerito Edgar Allan Poe. Una volta tornato in Italia, ho trovato un produttore disposto a lanciarsi in questo progetto, al quale si sarebbe associato anche un americano. Il film si poteva fare. Stephen King aveva iniziato a scrivere il suo episodio tratto da 'Il cuore rivelatore'. Io ero attratto da una poesia intitolata 'Ulalume', perché mi suggestionava la figura di un uomo che girovagava per la foresta con il cadavere di una donna tra le braccia. Poco dopo King ha rinunciato al progetto perchè i suoi manager gli avevano suggerito di abbandonare la regia cinematografica, mentre Carpenter ha dato buca senza darmi un chiaro motivo."

 

NOTE

 

[1] Fonte: imdb

[2] Dal libro "Dario Argento - Confessioni di un maestro dell'horror" a cura di Fabio Maiello

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

L'esperimento del dottor Zagros

  • Horror
  • USA
  • durata 120'

Titolo originale Twice-Told Tales

Regia di Sidney Salkow

Con Vincent Price, Sebastian Cabot, Brett Halsey, Beverly Garland, Richard Denning

L'esperimento del dottor Zagros

Tre storie dell'orrore, ispirate da alcuni racconti di Nathaniel Hawthornee, dirette senza troppa originalità da un assopito Sidney Salkow, regista impegnato soprattutto nella direzione di prodotti per il piccolo schermo (la più celebre serie Tv alla quale ha lavorato resta probabilmente La famiglia Addams, 1965/66). L'impostazione generale de L'esperimento del dottor Zagros è infatti di stampo teatrale, con artificiose e avvilenti scenografie, abbigliamenti pomposi e logorroici dialoghi di circostanza. Vincent Price - che già aveva interpretato il ruolo di Clifford Pyncheon ne La casa dei sette camini (1940) - per quanto intento a dare il massimo in termini di recitazione, non può contribuire a rendere più vivace questo antologico dal ritmo catatonico e lentissimo anche per i rilassati standard dell'epoca, invecchiato precocemente, oggi quasi improponibile al pubblico. Il cinema (non solo horror) è tutta un'altra cosa e non bastano tre banali effetti (poco) speciali, posti alla fine di ogni singolo episodio, per rendere più avvincente un film. Anche se forse, tra le mani di Roger Corman, ne sarebbe uscito un prodotto molto più interessante. Dopo essere uscito nelle nostre sale, L'esperimento del dottor Zagros era letteralmente scomparso dalla circolazione sino a gennaio del 2021, quando la "A&R Productions" lo ha riproposto in dvd ma solo in lingua inglese e tedesca, con sottotitoli in italiano. Cioè a dire, subirne la visione diventa più simile a un castigo divino che non un piacere cinefilo.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Extraordinary Tales

  • Animazione
  • Lussemburgo, Belgio, Spagna, USA
  • durata 73'

Titolo originale Extraordinary Tales

Regia di Raúl García

Extraordinary Tales

Sostanziosa (2.000.000 di dollari) coproduzione internazionale tra Spagna, Lussemburgo, Belgio e Usa che mette assieme due corti girati da Raul Garcia in anni differenti (The tell tale heart del 2005 e The fall of the house of Usher del 2012) a completamento di un'antologia composta anche da materiale realizzato ex-novo. Fedele alla poetica del gracile e malinconico scrittore di Baltimora, Garcia realizza un sorprendente compendio delle ossessioni visionarie di Allan Poe, assemblando cinque dei migliori racconti. Non solo il testo - e non poteva essere diversamente data la fonte - appare eccezionalmente coinvolgente e romantico, ma l'insieme dei segmenti presenta differenti approcci all'animazione. Garcia riesce a rendere omogeneo il tutto, grazie anche alla cornice tra il Poe/corvo e la Morte/statua. Oltre a una particolare attenzione all'aspetto sonoro (stupendo il brano di Sergio de la Puente per il sublime episodio The pit and the pendulum), e una maniacale cura ai dettagli e ai colori, indovinata appare la scelta di ospitare, sottoforma di voice over, personaggi celebri. Così Christhopher Lee presta il suo tono al protagonista narrante di The fall of the house of Usher; Julian Sands è ospite del segmento The facts in the case of M. Valdemar; Guillermo Del Toro è la voce angosciata del sofferente recluso a Toledo, in The pit and the pendulum; Roger Corman pronuncia l'unica battuta presente in The masque of the red death; mentre particolarmente suggestiva, e in perfetto tono, figura una vecchia registrazione di Bela Lugosi, a completamento di The tell tale heart, il segmento più onirico e visionario, disegnato in bianco e nero. Restano da segnalare un paio di particolarità: il tratto dell'ultimo episodio, con tonalità acquerello e vivaci colori; il disegno davvero realistico del segmento The pit and the pendulum, episodio che contende - anche grazie ad un suggestivo uso dello split screen (!) e alle sbilenche prospettive - assieme a quello in bianco e nero, il primo posto per inconsueto e mirabile  risultato. Extraordinary tales merita, per fenomenale qualità artistica, di rientrare tra i migliori film di animazione degli ultimi dieci anni.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Frankenstein

  • Horror
  • USA
  • durata 71'

Titolo originale Frankenstein

Regia di James Whale

Con Boris Karloff, Colin Clive, Mae Clarke, John Boles, Edward Van Sloan, Frederick Kerr

Frankenstein

In streaming su Classix

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Ispirato dall'omonimo libro di Mary Shelley, John L. Balderston scrive una sceneggiatura destinata a diversa regia, poi passata di mano in mano a varii autori diventando tutt'altra cosa per essere infine orientata alla direzione di James Whale. Non è la prima versione cinematografica del romanzo, e nemmeno quella più fedele (la Shelley non cita l'elettricità, e nel racconto la resurrezione del cadavere può essere imputata forse anche alla magia), ma certamente quella più celebre. Probabilmente anche a causa del tema estremo (siamo nel 1931) che il film all'epoca osava affrontare. Per quanto oggi possa apparirci assurdo, il film di Whale è andato incontro a varie forme di censura, in primo luogo per la scena dell'uccisione della piccola Mary e a seguire per quella di Fritz. Pure il finale è stato sottoposto a modifica a seguito di una preview che produce esiti negativi: in origine era prevista la morte del dottor Frankenstein, mentre nell'edizione poi approntata lo stesso viene maldestramente e frettolosamente salvato, ma l'impatto sulle pale del mulino non lascia dubbi sulle ferali conseguenze (mutate in corso d'opera). L'Universal, dopo il clamoroso successo di Dracula (1931), origina il secondo mostro sacro dell'orrore pubblicizzandolo sin da subito come un horror a differenza del film con Lugosi che venne invece spacciato come melodramma e/o una stravagante storia d'amore. E proprio Bela Lugosi avrebbe dovuto interpretare la creatura nel progetto iniziale, basato sulla sceneggiatura di Balderston che era di impianto molto più serio e ispirata al cinema espressionista tedesco, in particolare a Il Golem (Paul Wegener e Henrik Galeen, 1915) e Il gabinetto del dottor Caligari (Robert Wiene, 1920). Sul fatto che sia diventato un pilastro e che ancora oggi, a distanza di 90 anni, venga omaggiato, citato e persino copiato, non ci sono discussioni. Ma pur riconoscendone i meriti, ovvero di essere un precursore e capostipite del filone macabro e dissacrante sulla figura del mad doctor, va onestamente detto che è pieno di incongruenze (vedi appendice), recitazioni non proprio memorabili a cominciare dallo stesso Colin Clive, e uno stucchevole senso ironico patriarcale accentuato nella figura grottesca del barone (Frederick Kerr, nel film il padre di Henry). Tra gli attori si salva unicamente il grande Boris Karloff, un pò avvilito a suo tempo per essere stato costretto a recitare sotto trucco mostruoso (e sfiancante) e in genere il registro ironico contrasta nettamente con la storia. Ad esempio il film di Robert Wise, girato nel 1945 sotto evidente influenza di questo stesso Frankestein, dal titolo La iena - L'uomo di mezzanotte (sempre con Karloff), è decisamente un'altra ben migliore pellicola. Oggi fa sorridere l'idea ma l'Universal temeva davvero che la proiezione potesse apparire estrema per il pubblico, tanto da approntare un prologo di preavviso interpretato da Edward Van Sloan  (il dott. Waldman nel film). Notevoli invece rimangono le suggestive scenografie, utilizzate a più riprese su svariati set sino agli anni '80, il trucco dell'esperto Jack P. Pierce (as usual all'opera su un set Universal) e i macchinari avanguardistici. En passant: le apparecchiature del laboratorio sono le stesse che poi utilizza anche Mel Brooks nell'esilarante Frankenstein Junior (1974). Nell'opinione popolare, per distrazione ma anche per la forte suggestione provocata dalla essenziale e carismatica presenza di Karloff, quando si cita Frankenstein si pensa al mostro, che in realtà non ha nome (!) essendo di fatto il cognome dello scienziato. Male, purtroppo, anche il doppiaggio italiano di metà anni '70, nel quale il solito Romano Malaspina (alter ego vocale di Goldrake) presta voce allo scienziato, come poi accade nel caso de L'uomo lupo (1941) quando doppia invece Lon Chaney Jr. In conclusione James Whale è il principale responsabile della metamorfosi finale del film, che - come detto - in origine era stato pensato in ben diversa maniera. Whale, sorta di intoccabile nella prevalenza di opinioni critiche, è stato un regista che ha saputo valorizzare le scene e il bianco e nero (dandogli spesso un taglio espressionista) ma purtroppo frenato nelle potenzialità dallo sviluppo di storie spesso più ironiche che horror, come chiaramente intuito dallo stesso Mel Brooks quando decide di parodiare un film - in buona parte - già parodia in origine.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

From Beyond - Terrore dall'ignoto

  • Horror
  • USA
  • durata 89'

Titolo originale From Beyond

Regia di Stuart Gordon

Con Jeffrey Combs, Barbara Crampton, Ken Foree

From Beyond - Terrore dall'ignoto

In streaming su Amazon Prime Video

"Gli uomini sono delle facili prede... (Katherine) arriverà al di là dei suoi sogni più sfrenati. Lei entrerà nella mia mente e io entrerò nella sua: e non esiste piacere più sensuale e lussurioso di questo."

(Dott. Pretorious)

 

Secondo horror di una interessante trilogia prodotta da Charles Band, ispirata da brevi racconti di Lovecraft e realizzata con il "metodo Corman", quindi dallo stesso staff tecnico e dai medesimi attori, diretti da Stuart Gordon. Dopo il buon Re-animator (1985) e prima del meno riuscito Castle freak (1995), negli stabilimenti romani della Empire viene girato questo stravagante From beyond. Film dalla trama sinceramente sconclusionata e con interpretazioni piuttosto scadenti (da parte di Combs in particolare), ma vivacizzato da una buona fotografia e da splendidi effetti speciali che sono opera dei migliori professionisti dell'epoca, tra i quali: Mark Shostrom, William Butler (Baby oopsie), Gabriel Bartalos (ved. recensione su Saint Bernard) e Carl Buechler (poi regista di svariati horror, compreso un sequel di Venerdì 13). Altro prezioso contributo al film è dato dalla presenza della sensuale Barbara Crampton, bellezza al solito necessaria per rendere lievemente piccante un paio di sequenze erotiche e caratteristiche dell'intera trilogia. Girato con un discreto budget (4.500.000 dollari) e con manovalanze italiane (cifr. i titoli di coda), From beyond resta un buon esempio di cinema fantastico di metà anni Ottanta, ovviamente se ci si accontenta esclusivamente di assistere a una lunga serie di scene deliranti e splatter. Sulla base dello stesso racconto di Lovecraft (Da Altrove), nel 2013 è stato realizzato anche Banshee chapter.

 

"Per Crawford Tillinghast, dedicarsi allo studio della scienza e della filosofia era stato un grosso errore. Questo genere di cose vanno lasciate al ricercatore freddo ed impersonale, giacché offrono due alternative egualmente tragiche all'uomo di sensibilità o d'azione: sconforto se fallisce nella sua ricerca, e terrori indicibili e impensabili se mai dovesse riuscirvi."

(Howard Phillips Lovecraft)

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Hellraiser: Judgment

  • Horror
  • USA
  • durata 81'

Titolo originale Hellraiser: Judgment

Regia di Gary J. Tunnicliffe

Con Randy Wayne, Damon Carney, Alexandra Harris, Heather Langenkamp, Rheagan Wallace

Hellraiser: Judgment

"Chiaramente questo è un posto dove le regole del tuo mondo non si applicano. E, ovviamente, sono un uomo per il quale il dolore non è altro che una valuta comune. Ne spenderò un po' su di te." (Così l'Auditore, interpretato dal regista Gary J. Tunnicliffe, si presenta a Watkins)

 

La Dimension films, noncurante del progressivo svilimento cui è andata incontro la serie, ci riprova per la decima volta. Il tentativo, almeno stando al budget (350.000 dollari) non si discosta dagli ultimi capitoli anche se indovinata appare la scelta di ingaggiare Gary J. Tunnicliffe, un esperto truccatore già all'opera sui set dei vari seguiti, saltuariamente attivo anche come attore (infatti nel film ricopre il ruolo dell'Auditore) e regista (Hansel e Gretel). Dopo un incipit di tutto rispetto, con una scelta grafica che rimanda al mondo visionario di H.R. Giger (eccezionale la sequenza delle tre donne sfigurate - una è la ex-final girl di Nightmare, Heather Langenkamp - annaffiate dal sangue di Watkins), Judgment procede sulla via della ripetitività, prendendo in parte spunto anche dal quinto capitolo (Hellraiser V: Inferno) e dal clima di Seven per la presenza di un killer "giustiziere" ossessionato da precetti cattolici. Tunnicliffe ha un buon ritmo e riesce comunque a dare un aspetto professionale al film, cosa meno scontata (dati i precedenti) di quanto ci si potesse aspettare. Nel complesso, restando evidenti i limiti dovuti ad una realizzazione "in serie" (e a basso costo) della casa di produzione, questo ulteriore Hellraiser risulta tra i seguiti più riusciti, per come si riallaccia alla mitologia dei Supplizianti creata da Clive Barker e per uno stile grafico di certo interesse, in grado di far chiudere un occhio sulla contorta sceneggiatura. 

 

Curiosità 

 

Oltre al subliminale cammeo di Heather Langenkamp, è da segnalare che l'indirizzo di via Ludovico Place, 55 compare per la prima volta proprio nel primo Hellraiser, girato da Clive Barker nel 1987. L'inquietante figura dell'Assessore, ovvero quel laido figuro che conduce il condannato alla giuria dopo la predica dell'Auditore è interpretato da John Gulager, nome noto agli appassionati dello splatter perché regista della trilogia Feast e di Piranha 3DD.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Gli invasati

  • Horror
  • Gran Bretagna
  • durata 112'

Titolo originale The Haunting

Regia di Robert Wise

Con Richard Johnson, Claire Bloom, Russ Tamblyn, Lois Maxwell

Gli invasati

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"Villa Crain sta in piedi da novant'anni, e resisterà per altrettanti. Dentro, le mura resistono, i mattoni anche. I pavimenti sono solidi e le porte restano chiuse. Il silenzio fascia le travi e le pietre di villa Crain, e noi che abitiamo qui, vi abitiamo soli... sempre soli."

 

Film particolare, che sta a capo di una lunga serie di rifacimenti più (Dopo la vita, 1973) o meno riusciti (The haunting, 1999) anche se, va detto, il clima deve molto all'affascinante predecessore La casa sulla scogliera (1944). Robert Wise mette in scena una storia tragica, nella quale i veri protagonisti sono una casa dalla struttura mutevole e/o disorientante e una ragazza malinconica ed abbattuta, che dialoga con se stessa, e che, per tutta la durata del film, sentiamo "riflettere" in voice over. La bellezza della pellicola è proprio in questa ambigua configurazione, che oscilla tra un registro verosimile (i protagonisti potrebbero essere visionari) ed uno più impalpabile, introdotto da un magistrale incipit con breve cronistoria "narrata" della villa maledetta. Sono quasi due ore di buon cinema, non tanto per una sceneggiatura talvolta lenta e prevedibile, ma per l'ottima disposizione degli ambienti, con una scenografia che rende interprete principale proprio Hill House e i suoi ambienti geometricamente insoliti, introdotti da porte cigolanti e semoventi, arredamenti d'altra epoca nonché sommovimenti di oggetti, lampadari e scale a chiocciola. Alla spettacolare buon opera del reparto scenografico fa da ottimo amplificatore uno stile di regia allucinato e vivace, con movimenti di macchina in grado di generare talvolta sintomi di vertigine, sensazione che provoca, ad esempio, il riuscito carrello in salita, lungo la scala circolare. Ulteriore valore aggiunto al film è dato da un finale tragico, un finale che simboleggia anche un traguardo: quello desiderato, ricercato - e talvolta necessariamente destinato - da un'anima in pena che va disperatamente raggiungendo.

 

 

Curiosità 

 

Il professore interpretato da Richard Johnson anticipa in parte la figura ben più negativa (ma pure fortemente pessimista) di Dimitri, al quale lo stesso attore presta il suo rassegnato e malinconico volto in quello che si può definire tra i migliori spin off italiani de L'esorcista (Chi sei?, 1974). L'attore rimane invischiato in un clima di atmosfera diabolica anche nel suggestivo Il medaglione insanguinato, diretto nel 1975 dallo sfortunato (per quanto geniale) Massimo Dallamano. E successivamente, abbandonati i set infestati e le donne destinate a partorire l'Anticristo, Johnson ricopre di nuovo il ruolo di uno studioso, il dottor Menard, coinvolto nell'apocalittica manifestazione di ritornanti nel gioiello diretto da Lucio Fulci, Zombi 2 (1979). 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Amore folle

  • Horror
  • USA
  • durata 83'

Titolo originale The Mad Love

Regia di Karl Freund

Con Colin Clive, Peter Lorre, Frances Drake, Isabel Jewell, Ted Healy

Amore folle

"L'intero volto del mondo è cambiato e io, t'assicuro, dall'istante in cui sentii avvicinarmisi i passi dell'anima tua.

Indovina a chi ella appartiene. 

'Alla morte', io risposi.

Ma intorno, campane argentate cantarono:

'Non alla morte, bensì all'amore'."

(Gogol legge i versi di un sonetto - tratto dalla "Elizabeth Barrett Browning's sonnets" - della omonima poetessa)

 

"Impossibile: Napoleone ha detto che è una parola che non esiste!" (Dott. Gogol)

 

Sulla base di un notevole romanzo, "Le mani di Orlac" (prima edizione 1920), opera del francese Maurice Renard, gli sceneggiatori John L. Balderston (già all'opera per i classici Universal tipo DraculaFrankenstein e La mummia) e P.J. Wolfson scrivono un film destinato alla direzione di Freund, eccellente tecnico della fotografia e operatore alla macchina che solo saltuariamente si è dedicato alla regia (Amore folle è il suo ultimo lavoro in tale veste, mentre fino agli anni '60 continuerà a lavorare sui set come tecnico della fotografia e cineoperatore). Il talento di Freund ha qui modo di esprimersi al meglio in virtù di una storia molto ben scritta, a differenza ad esempio di quanto accaduto nel precedente La mummia, e grazie anche al notevole cast artistico che vede nel ruolo principale uno strepitoso Peter Lorre - apprezzato nella sua performance persino da Charlie Chaplin - circondato da personaggi secondari che hanno i volti di Colin Clive (già dott. Frankenstein nel film di Whale), della delicata e dai tratti aristocratici Frances Drake e dell'ironico Ted Healy (nel ruolo del giornalista alla ricerca di scoop, che conferisce un tocco di umorismo macabro alle scene). Amore folle è un ottimo esempio di horror classico, con derive visionarie, molto migliore di più celebri e fortunati titoli che sono diventati famosi, prodotto dalla MGM ma in stretta relazione con certo tipo di cinema tedesco. Infatti lo stesso regista, Karl Freund, è stato uno dei massimi esponenti del periodo "espressionista". Freund lavora principalmente sull'aspetto tecnico, sviluppando magnifiche immagini costrette in un bianco e nero che ne mette in risalto suggestioni e sensazioni macabre, nelle quali predomina costantemente un senso di morte che si riflette (mediante allegorie sostenute dall'uso di specchi e di doppi) sull'animo del "folle" protagonista: un fantastico Peter Lorre, qui alla sua prima interpretazione su un set americano e insolitamente privo di capelli. Pur essendo, in prevalenza, la tematica horror a predominare nel clima della vicenda, grande merito agli autori va reso per un discreto (e mai invasivo) taglio ironico che esplode in un delirante finale, nelle azioni della governante ubriaca che vede, guardacaso, doppio. L'eccezionale lavoro scenografico, che si manifesta soprattutto nella chiusa altamente suggestiva, dominata da magistrali giochi di luci e ombre, può vantare l'apporto in qualità di operatore di Gregg Toland, poi al servizio di Orson Welles, in simile ruolo, per Quarto potere (1941).

 

Vivere dopo la morte

 

"Una bella invenzione il fonografo: permette all'uomo di vivere dopo la morte."

Questa frase viene pronunciata da Orlac (Colin Clive) mentre ascolta, avvilito, la registrazione di una sua esibizione al pianoforte, effettuata prima di subìre il trapianto della mani. Situazione che assume, per estensione dal fonografo al cinematografo, un aspetto sinistro: oggi Clive è davvero uno spettro di luce, che continua a vivere sullo schermo grazie a una pellicola sulla quale, eternamente, sono impresse le sue immagini.

 

Curiosità [1]

 

Scene di morti, feriti o morenti dopo il disastro del treno sono state censurate, mentre in altre versioni (tra le quali quella italiana del dvd Sinister) mancano le scene di tortura, ghigliottina e strangolamento.

 

La frase pronunciata da Gogol nelle battute finali, "Ogni uomo uccide le cose che ama", è stata prelevata dalla poesia di Oscar Wilde, "The ballad of reading gaol".

 

La dichiarazione della governante ubriaca (May Beatty) sulla statua di cera ("È andata a fare una piccola passeggiata!"), è una chiara estensione di un verso simile presente ne La mummia (1932), film scritto anche da John L. Balderston e diretto da Karl Freund.

 

Le ultime parole del dottor Gogol - quando aggredisce Yvonne - citano il poema di Robert Browning "Porphyria's lover'' (1836):

"Ho trovato una cosa da fare e tutti i suoi capelli, in un lungo cordone corvino, ho avvolto tre volte intorno alla gola, e l'ho strangolata."

 

Amore folle è una delle prime riduzioni cinematografiche derivate dal romanzo di Maurice Renard ("Les mains d'Orlac"), anticipata solo da una precedente versione tedesca diretta da Robert Wiene (Le mani dell'altro, 1924), seguita dall'omonimo Le mani dell'altro (Edmond T. Gréville, 1961) e da Le mani dell'assassino (Newton Arnold, 1962).

 

[1] Fonte: parzialmente dall'imdb

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Le mani dell'altro (II)

  • Horror
  • Austria
  • durata 92'

Titolo originale Orlacs Hände

Regia di Robert Wiene

Con Conrad Veidt, Alexandra Sorina, Fritz Strassny, Paul Askonas, Carmen Cartellieri

Le mani dell'altro (II)

In streaming su Cultpix

Prima riduzione cinematografica basata sul romanzo di Maurice Renard ("Les mains d'Orlac"), seguito da Amore folle (Karl Freund, 1935), Le mani dell'altro (Edmond T. Gréville, 1961) e Le mani dell'assassino (Newton Arnold, 1962). L'opera di Wiene, particolarmente suggestiva in virtù dello stile espressionista dell'autore, appare volutamente dilatata, proseguendo sino quasi alla fine senza particolari colpi di scena nella trama. L'abilità di Wiene si manifesta nella concitata sequenza notturna del disastro ferroviario (lunga oltre 5 minuti), messa in scena con estremo realismo, tanto da riuscire a trasmettere la sensazione di panico che vivono i protagonisti, e nella scelta di focalizzare lo sviluppo della sceneggiatura (opera di  Louis Nerz) sull'aspetto psicologico, ovvero concentrandosi sul turbamento che attanaglia il protagonista, una volta appreso di essere portatore di mani che possono avere compiuto un delitto. Sogni allucinanti, con effetti di sovrimpressione che contemplano visi, fumo e ovviamente mani; ombre e luci che circondano lo sconvolto (ed empatico per via delle continue espressioni - in sostituzione del timbro vocale - volutamente retoriche in tempi di muto) protagonista, spesso ritratto in saloni dalle dimensioni sproporzionate, con porte enormi e strutture interne degli edifici (tipo la casa del padre di Orlac) con soffitti ad arco. Wiene opera su una sceneggiatura razionale, che però solo in chiusura svela (da vero whodunit ante litteram) dinamiche, cause ed effetti che sono frutto di una mente criminale, occulta, in azione dietro le quinte. Molti i parallelismi con la successiva versione di Freund (comunque differente), che arrivano quasi a coincidere nel finale (la presenza del condannato con arti metallici, e presunto trapianto di testa). Orlac's Hände, lungometraggio suggestivo anche per la sua importanza storica, spinge lo spettatore a riflettere cercando di intuire lo svolgersi degli eventi supportati da telegrafiche didascalie. Un modo di fruire il (vero) cinema oggi difficile, abituati come siamo a film chiassosi e con dialoghi a raffica. La visione di Le mani dell'altro, a quasi 100 anni di distanza dalla sua realizzazione, è un'esperienza assolutamente unica che ci è stata offerta solo in tempi relativamente recenti. L'opera di Wiene è rimasta infatti incompleta per decenni, a causa di filmati che non erano mai entrati in stampa per l'edizione americana e di altri che erano stati tagliati su indicazione della censura in patria (Germania). Il film è stato completato, alla sua lunghezza originale, solo nel 1995 da F. W. Murnau Stiftung. Al momento dell'uscita (settembre del 1924), pur in versione parzialmente completa, è stato sin da subito bene accolto da pubblico e critica, tanto da risultare una delle produzioni cinematografiche austriache più apprezzate.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Mircalla - L'amante immortale

  • Horror
  • Gran Bretagna
  • durata 95'

Titolo originale Lust for a Vampire

Regia di Jimmy Sangster

Con Yutte Stensgaard, Ralph Bates, Barbara Jefford, Suzanna Leigh, Michael Johnson

Mircalla - L'amante immortale

Dopo l'interessante Vampiri amanti, girato da Ray Ward Baker l'anno precedente, la Hammer mette in cantiere una nuova versione (la seconda di tre) ispirata dal testo Carmilla di Le Fanu. In regia viene scritturato un abile sceneggiatore della casa (Jimmy Sangster) che purtroppo, pur avendo già diretto alcuni film, non riesce a gestire al meglio la situazione. L'interprete prescelta, Ingrid Pitt (già apparsa nel ruolo principale nel primo film) rinuncia alla parte che viene così assegnata alla bionda - piena di curve - Yutte Stensgaard (già scritturata nel tagliatissimo Terrore e terrore di un paio d'anni precedente): perché questo film, al pari degli altri costituenti la "trilogia Karnstein" è realizzato nel periodo di decadenza della celebre casa di produzione che, nel tentativo di aggiornare le tematiche alle nuove tendenze dell'epoca (il nudo sta prendendo piede un po' ovunque solleticato da nuove aperture post sessantotto), tenta di inserire elementi erotici, con deviazione verso l'omosessualità femminile. Ma non solo di lesbo qui la Hammer tratta, infatti in questo caso c'è una insistita apertura all'etero da parte della lasciva vampira, mostrata con occhi "rotolanti ed incrociati" quando - a seguito delle attenzioni di lingua (si intuisce) di Richard - è evidentemente sul traguardo dell'orgasmo. Purtroppo, a differenza del primo capitolo, qui regna una messa in scena approssimativa, dovuta ad una mediocre direzione artistica e ad una sceneggiatura confusa e poco coerente (il protagonista principale, scettico ad oltranza, alla prima occasione cambia completamente opinione e diventa complice della vampira). Nonostante l'infelice risultato finale, in certi momenti questo Mircalla sorprende quasi: ad esempio nel rituale di apertura, con evocazione satanica e ricostituzione del corpo in decomposizione di Carmilla, sotto un lenzuolo grondante sangue (che ricorda analoghi momenti proposti nel capolavoro di Clive Barker, Hellraiser); o per il clima di severa partecipazione imposto alle ragazze dell'istituto femminile (con danze ripetute) - retto da una direttrice cieca e spregiudicata - che sembra quasi anticipare Suspiria di Dario Argento, pur se forse suggerita dall'horror ispanico Gli orrori del liceo femminile (1969). Ma si tratta, con buona probabilità, di due sporadiche coincidenze dato il tono complessivo (davvero scadente) dell'intera operazione, puramente commerciale targata Hammer (ormai - e giustamente - al declino). È da segnalare che sono presenti di nuovo interpreti già scritturati in Vampiri amanti: Pippa Steel (Susan, ancora in un ruolo di vittima) e l'ispettore che verrà ucciso nel pozzo (in precedenza factotum di casa Morton).

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Il misterioso caso Peter Proud

  • Horror
  • USA
  • durata 105'

Titolo originale The Reincarnation of Peter Proud

Regia di J. Lee Thompson

Con Michael Sarrazin, Jennifer O'Neill, Margot Kidder, Cornelia Sharpe, Paul Hecht

Il misterioso caso Peter Proud

"Me ne andrò subito al lago, per liberarmi del mio ultimo sogno." (Peter Proud)

 

Da un bel romanzo, dal titolo omonimo, lo scrittore Max Ehrlich sceneggia un film malinconico e lento, sviluppato sul tema della reincarnazione. Dietro la macchina da presa sta appostato l'esperto e valido J. Lee Thompson, regista di fiducia di Charles Bronson e solitamente all'opera in pellicole di azione o comunque spettacolari. Ma che dimostra - almeno in questo specifico contesto - di essere a suo agio anche con tematiche malinconiche e sommesse, dove il ritmo volutamente rallentato della storia contribuisce a focalizzare l'attenzione su un contenuto puramente interiore e molto personale. Peter Proud, infatti, prende pian piano coscienza della (altra) realtà, sino ad arrivare ad accettare la nuova esistenza e porre una pietra sopra al passato. Ma ormai è troppo tardi. L'avere capito, essersi spinti troppo in là, è come scoperchiare il vaso di Pandora: almeno per se stesso e per coloro che lo seguono nella scoperta. Di sicuro la maledizione colpisce anche l'infelice Marcia, già devastata dai sensi di colpa e - per un beffardo gioco del destino - costretta a ripetersi in una azione delittuosa che leggi misteriose, lontane dalla comprensione umana, vogliono essere cosa ciclica. Trasportati da un clima di calma spaventosa, tra squarci di lucida follia (l'anziana mamma di Curtis, che riconosce davvero il figlio, anche se reincarnato), assistiamo, impotenti, all'evolversi di un ciclo di esistenza più che misteriosa, avvolta dal dubbio, affossata nella ricerca e precipitata nel dolore della conoscenza. Conoscenza che talvolta è fonte inarrestabile, nemmeno con la morte - forse solo con la follia - di profonda, invadente, intensa e penetrante infelicità. 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

La notte dei diavoli

  • Horror
  • Italia, Spagna
  • durata 85'

Regia di Giorgio Ferroni

Con Gianni Garko, Agostina Belli, Mark Roberts, Cinzia De Carolis

La notte dei diavoli

"Quell'uomo era un Wurdalak... era già morto. I wurdalak sono creature materiali incorporee. È il terrore del silenzio che li fa vivere, il terrore della solitudine. Uccidono per amore, per avere dei compagni, per avere vicino le persone che amavano di più e le loro vittime cercano altri, in una catena senza fine"...

(Brigadiere Kovacic, Renato Turi)

 

Da un testo breve di Aleksej Tolstoj - parente del più noto Lev - ovvero La famille du Vourdalak, prima Mario Bava nell'episodio I wurdalak (I tre volti della paura) e poi Giorgio Ferroni (già autore di un altro horror, il riuscitissimo Il mulino delle donne di pietra) traggono ispirazione per realizzare due diverse (per durata, evoluzione e ambientazione) versioni cinematografiche. Ferroni ha un talento indiscutibile, come già dimostrato nel gotico precedente, e con questo La notte dei diavoli conferma il suo stile ed apre la via alla nuova corrente (italiana) horror degli Anni '70: quella più esplicita e splatter. Ammantato di un'atmosfera tetra e decadente, resa predominante dall'ambientazione boschiva e autunnale (sovente il protagonista attraversa sentieri - in auto e a piedi - mentre il vento smuove circolarmente le foglie cadenti) dove a predominare sono i toni scuri (marrone, grigio e nero), La notte dei diavoli propone un "viaggio allucinato" cui - suo malgrado - il protagonista è costretto. Costretto da circostanze prima fortuite, dettate dall'essere rimasto a piedi con la macchina, poi affettive quando torna alla tetra residenza per amore di Sdenka. Garko presta, con eccezionale immedesimazione, il suo talento d'attore al regista che può così valorizzare al massimo una sceneggiatura poco incisiva ma supportata anche dal valido apporto dato da una bella fotografia, dai convincenti interpreti (ottima anche la Belli) e da Carlo Rambaldi che, per l'occasione, dà sfoggio di grande cura nella realizzazione di inattesi (per l'epoca) momenti gore e splatter dove risaltano le scene con liquefazione dei volti, quando non l'esplicito effetto di un bastone che trafigge il cuore o cinque dita che vengono tranciate di netto da una portiera dell'automobile. Questo connubio puramente italiano tra gotico classico (tipico del decennio precedente) e splatter destinato a caratterizzare gli horror futuri rende La notte dei diavoli un unicum imprescindibile. Un film che si colloca al bivio di due correnti stilistiche e che ancora oggi, ad oltre 45 anni di distanza, sorprende grazie ad una forza (quasi ipnotica) che il girato possiede intrinsecamente.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

L'oro del demonio

  • Fantasy
  • USA
  • durata 106'

Titolo originale All That Money Can Buy

Regia di William Dieterle

Con James Craig, Walter Huston, Simone Simon

L'oro del demonio

"Quando fu inflitta la prima ingiustizia al primo indiano, io c'ero. Quando si portavano gli schiavi dal Congo, io ero sulla nave. E poi, non si parla forse di me in ogni Chiesa del New England?" (Satana)

 

Rilettura del mito di Faust in chiave grottesca. Cinema dei buoni sentimenti e parabola sempre attuale sui veri valori della vita, tra i quali ovviamente non ci stanno i soldi. Nonostante il riduttivo (il denaro non è  tutto, è vero, ma ci vuole) e dicotomico contenuto (Bene e Male tagliati con l'accetta) se si riesce ad assimilare la forte dose (zuccherata, mielosa) di scontato buonismo, la visione (un po' troppo lunga) di questo L'oro del demonio non può far altro che arricchire lo spirito di buon senso. Anche se l'esagerazione, quando c'è, si nota. Qui il regista tedesco (naturalizzato statunitense) William Dieterle abbraccia talvolta, senza alcun ritegno, la filosofia americana più elementare. Il conclusivo processo (burletta, come lo è il film, catalogabile nel genere commedia) tenuto da una giuria di criminali picchia sodo (quasi una paternale) sul cavallo di battaglia yankee, che è poi la tanto decantata - ma spesso (r)aggirata - libertà. 

 

Citazioni 

 

"Vedi figliolo, io sono vecchia ed ho vissuto molto. Quando un uomo si arricchisce operando in modo malvagio, quando vede il cammino giusto e prende quello sbagliato... allora il Diavolo è nel suo cuore. E ciò lo condanna." (La madre di Jabez)

 

"A volte ci sembra che la vita ci stia sconfiggendo, ma non siamo qui per essere vinti. A volte ci sembra che le ombre siano calate su di noi. Le ombre e il Male. Ma sta a noi combattere." (Webster)

 

"Libertà non è solo una parola grossa. È il mattino, è il pane, è il sorgere del Sole. Ed è per la libertà che giungemmo su queste coste con barche e scialuppe. E fu un lungo viaggio, duro, aspro e con molti morti. Sì, a volte è triste la vita dell'uomo. Ma viverla riempie di orgoglio. E da tante sofferenze e tribolazioni, dalle ingiustizie e dai torti, è nato un nuovo uomo: l'individuo libero." (Webster)

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Il pozzo e il pendolo

  • Horror
  • USA
  • durata 80'

Titolo originale The Pit and the Pendulum

Regia di Roger Corman

Con Vincent Price, John Kerr, Barbara Steele, Luana Anders, Anthony Carbone

Il pozzo e il pendolo

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"La storia di questa... di questa camera di tortura: vi basti sapere che il sangue di almeno un migliaio di uomini e di donne è sgorgato tra queste mura. Membra ritorte e spezzate, occhi strappati dalle orbite sanguinanti..." (Nicholas Medina)

 

Seconda pellicola, girata da Roger Corman, delle otte (complessive) ispirate in genere ai celebri racconti di Poe e realizzate nell'arco temporale 1960/1965. Il regista consolida, con questo film, un metodo produttivo particolarmente efficace - in seguito praticato da altri cineasti e ribattezzato, appunto, “metodo Corman” - avvalendosi cioè di ottimi collaboratori che compongono con continuità il cast tecnico e artistico. Grande prova di sceneggiatura (opera di un autore, Matheson, spesso fonte di ispirazione per i suoi ottimi racconti), ottime interpretazioni (su tutti il sempre esemplare Vincent Price) e grande perizia tecnica (fotografia e inquadrature, spesso sbilenche e distorte, a sottolineare lo stato psicologico del personaggio) fanno de Il pozzo e il pendolo uno dei migliori della serie. Non solo: uno dei migliori del decennio (1960), per non dire di sempre, nella storia del cinema horror. Lunga e fedele la citazione al racconto di Poe (la sequenza finale della tortura con l’enorme pendolo), valorizzata da una delle più belle e indimenticabili interpretazioni di Price, per un classico omaggiato (dichiaratamente) anche da Tim Burton in Edward mani di forbice (1990) e ne Il mistero di Sleepy Hollow (1999). Anche Francis Ford Coppola e Joe Dante, avviano la loro attività in campo cinematografico proprio in derivazione del “metodo Corman”, all’epoca sconosciuti collaboratori del regista, all'opera in questo lungo e interessante ciclo horror.

 

Citazioni

 

Frasi pronunciate da Nicholas (Vincent Price, doppiato da Emilio Cigoli)

 

"(Elizabeth) era troppo delicata, troppo sensibile alla cupa atmosfera di questo castello che l'ha distrutta (...) Non potete neanche immaginare che cosa significhi vivere qui. Un mese dopo l'altro, un anno dopo l'altro, respirando quest'aria infetta, assorbendo i miasmi di ferocia che impregnano questi muri, e soprattutto questo sotterraneo." 

 

"Sei sul punto di entrare nell'inferno, Bartolomeo, nell'inferno! Negli abissi eterni, nel fondo dell'inferno, nel pozzo dei dannati, nel luogo del tormento, nel regno del terrore! Abaddon! Topeth! Gehenna! Narraha! Il pozzo! Il pendolo! Il filo del rasoio del destino. Ecco la condizione dell'uomo. Confinato in un'isola dalla quale non ha alcuna speranza di fuggire, circondato dall'avido pozzo dell'inferno, dall'abisso senza fine che l'inghiottirà, senza alcuna speranza."

 

"Mentre eravamo qui a piangerla, lei viveva! Cercava di uscire dalla bara..."

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Il ritratto di Dorian Gray

  • Drammatico
  • USA
  • durata 110'

Titolo originale The Picture of Dorian Gray

Regia di Albert Lewin

Con Hurt Hatfield, Angela Lansbury, George Sanders, Donna Reed

Il ritratto di Dorian Gray

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"Ti prego padre, perdonami perché ho peccato. Per le mie colpe, le mie gravi colpe..." (Dorian Gray / Hurd Hatfield

 

"A dispetto dell'indescrivibile deterioramento del quadro, Basil fu ancora capace di riconoscere il ritratto che aveva fatto a Dorian (...) Sembrava che tanto orrore, fosse una emanazione del quadro stesso, come se una lebbra morale, lentamente, lo stesse divorando. Egli non poteva credersi l'autore di quel ritratto. Eppure c'era il suo nome proprio là, dove lo aveva apposto."

 

Dal celebre ed omonimo romanzo di Oscar Wilde, la MGM produce una riduzione cinematografica affidata alla raffinata regia di Albert Lewin che pure si occupa della sceneggiatura avendo cura di scrivere testi significativi e profondi, ben pronunciati dai bravissimi interpretati. La scelta del protagonista principale ricade su Hurd Hatfield, attore dai lineamenti per quanto perfetti assai inquietanti, anche a causa di uno sguardo magnetico talvolta profondamente triste: uno sguardo che  annuncia essere, la sua mente, perduta tra i fantasmi di grigi pensieri. Un viso perfetto, estremamente consono ad un tema decadente com'è - di fatto - quello del trascorrere del tempo e, di conseguenza, della caducità della bellezza umana. Con un pizzico di ambiguità che ricorda anche lo sdoppiamento di Jekyll in Hyde, va in scena la tragedia di uomo sconfitto dalle sue stesse paure, un uomo che - nonostante il perenne aspetto da ventenne - è invece invecchiato prematuramente, iniziando ad avvizzire nell'animo proprio di fronte al ritratto di se stesso. Ritratto ch'è percepito, intuito da Dorian, essere sorta di perenne, statico, immobile attimo della sua stessa esistenza, catturato tra le maglie spietate dell'inarrestabile trascorrere del tempo. Cos'è in fondo Dorian, se non un evidente narcisista che passa dal Bene al Male, e viceversa? Questa innaturale transazione, a senso alternato, denuncia il suo scostante modo di vivere, pur se in prevalenza edonistico, da ostinato egoista; non a caso il cognome di Dorian è Gray, ovvero grigio: tonalità che riassume due contrastanti e opposti (non) colori. Sulle qualità di un film formalmente ineccepibile, diretto con piglio sicuro, interpretato da veri talenti (anche i personaggi di contorno sono tutti eccezionali) e scritto in stato di grazia, non c'è altro da aggiungere senonché appare interessante - calando l'ottica al 1945 - il curioso tentativo di accentuare la mostruosità della metamorfosi cui il quadro va incontro proponendo certe scene (quelle statiche della tela) a colori. Un film d'altri tempi, ma che, a dispetto del passare incessabile degli anni, ha conservato in pieno il suo valore, la freschezza dei testi e della messa in scena pur essendo - per contrasto - infinitamente tetro il contenuto.  

 

Citazioni 

 

"Quando tornava da queste visite all'abisso, sostava dinanzi al quadro. Talvolta pieno di nausea per sé e per il quadro stesso ma talaltra con quell'orgoglio di essere diverso dagli altri... ch'è uno dei fascini del Male. Soleva esaminare con minuta cura le odiose linee che solcavano la fronte grinzosa, o correvano vicino alla bocca amara e sensuale, meditando se fossero più orribili le tracce del peccato o quelle dell'età  (...) Il vivere una vita semplice, onesta e sincera era quasi come non vivere. La insincerita' era poi una cosa tanto terribile? Dorian pensava di no: era solo un metodo che poteva moltiplicare la nostra personalità." (Voce narrante, fuori campo)

 

"Un giorno ci troveremo sgomenti di fronte alla realtà che l'anima non è una superstizione e che lo spirito non è una sostanza materiale che può essere vista al microscopio (...) L'anima non è una illusione ma una terribile realtà. Può essere comprata, o venduta, o mal barattata. Può essere avvelenata o resa perfetta. La misera creatura, la cui anima è colma di neri pensieri e di misfatti, è sempre circondata dall'oscurità e trascina con sé -sempre con sé- la sua vile prigione."

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Sentinel

  • Thriller
  • USA
  • durata 92'

Titolo originale The Sentinel

Regia di Michael Winner

Con Chris Sarandon, Cristina Raines, Martin Balsam, John Carradine, José Ferrer, Ava Gardner

Sentinel

Il genere demoniaco, scatenato dal successo internazionale de L'esorcista e confermato - tre anni dopo - dal "settario" Il presagio, tenta la contaminazione con il tema (sempre in auge) della dimora maledetta. Forse la sceneggiatura sa di già visto (il complotto stile Rosemary's baby) ed è sviluppata in maniera prevedibile, ma l'ottimo cast (Chris Sarandon, Martin Balsam, Ava Gardner, John Carradine, Eli Wallach, Jeff Goldblum, Christopher Walken) aiuta a rendere vivace e interessante l'intera operazione, e lo sguardo "cecato" di padre Francis Halloran (Carradine), rimane impresso. Ci sono momenti particolarmente riusciti, soprattutto se ci si pone al tempo di realizzazione del film (1977): tipo le spettrali e deformate presenze - materiali quanto zombi - che nel finale circondano la protagonista, l'effetto di un coltello calato su un corpo (il trapassato padre di Alison, manifestatosi all'interno dell'infernale palazzo) e alcune inquietanti riprese notturne (compreso un gatto anch'esso malefico) che sembrano anticipare l'allucinato clima presente in Inferno di Dario Argento (1980), specialmente per l'ambientazione newyorchese, per le scene in campo lungo dell'edificio e nell'uso dell'illuminazione notturna. Anche il fatto che l'edificio costituisca una sorta di porta d'ingresso per le demoniache creature aggiunge un ulteriore tassello all'ipotesi che Sentinel abbia un po' influito (magari inconsciamente, magari solo visivamente) nella messa in scena di Inferno. Il valido regista Michael Winner ha poche volte affrontato il genere ed è un peccato visto il riuscito esempio in fatto di predisposizione all'horror. Anche se qui, buona parte del merito, va riconosciuto al testo di Jeffrey Konvitz, che pure contribuisce in sceneggiatura.

 

Citazione 

 

"Il latino che hai visto nel libro era un antico monito dell'angelo Gabriele all'angelo Uriele. L'angelo Uriele vigilava all'ingresso dell'Eden, per difenderlo dal demonio. Da quel tempo una lunga schiera di custodi, di sentinelle, hanno difeso il mondo dal male. L'attuale custode è padre Halloran (...) Le persone che hai visto qui sono tutte quante... reincarnazioni, demoni (...) Sono condannato al fuoco eterno per i miei peccati, anch'io ora sono uno della legione."

(Michael  / Chris Sarandon)

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Il Signor Diavolo

  • Horror
  • Italia
  • durata 86'

Regia di Pupi Avati

Con Gabriel Lo Giudice, Filippo Franchini, Cesare S. Cremonini, Massimo Bonetti

Il Signor Diavolo

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Pupi Avati torna all'horror mantenendo uno registro fatto di racconti, leggende, filosofie contadine e realtà occulte, celate dietro riti e convenzioni religiose. Ancora una volta la paura ruota attorno a sacerdoti, suore e simboli cattolici. Abile narratore e sensibile artista, chiama in ruoli di contorno attori sorprendentemente bravi, spesso impegnati in ben altre interpretazioni: Andrea Roncato, Lino Capolicchio e Alessandro Haber. Molto ben scritto e girato, Il signor Diavolo rappresenta un coraggioso tentativo di tornare ad affrontare il genere in Italia, controtendenza alla moda attuale prevalentemente orientata verso la commedia. Avati ingaggia Ivan Zuccon al montaggio e incarica Stivaletti agli effetti speciali, che sono pochissimi ma che riescono ad impressionare (la rimozione dei denti di Paolino, l'inquietante Riccardo Claut). Ne esce un buon film, fatto di atmosfere, suggestioni, bei dialoghi e personaggi credibili, sempre in bilico tra verosimile e leggenda. Da notare anche il richiamo alla politica del tempo, con accenno a De Gasperi e alla corrente democristiana, per decenni legata a doppio filo con la religione.

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La tomba di Ligeia

  • Horror
  • USA, Gran Bretagna
  • durata 81'

Titolo originale The Tomb of Ligeia

Regia di Roger Corman

Con Vincent Price, Elizabeth Shepherd, John Westbrook, Richard Vernon

La tomba di Ligeia

"L'uomo non si arrende agli angeli né si fa vincere dalla morte se non per la debolezza della sua misera volontà. Io sarò sempre tua moglie…" (Frase ripetuta più volte da Verden, tratta dal racconto di Poe e attribuita dallo scrittore di Baltimora a Joseph Glanvill)

 

"Il confine tra la morte e la vita è vago e pieno di ombre. Chi può dire dove finisce uno e dove comincia l'altro?" (Didascalia posta come epitaffio, che parafrasa l'originale di Poe: "I confini che separano la vita dalla morte sono, nella migliore delle ipotesi, vaghi e confusi. Chi può dire dove finisca l'una e dove cominci l'altra?")

 

L'ultimo film della serie AIP, prodotta e diretta da Roger Corman nella prima metà degli anni Sessanta e ispirata dai racconti di Edgar Allan Poe (preceduto da I vivi e i mortiIl pozzo e il pendoloI maghi del terrore e I racconti del terrore), è forse quello meno riuscito, pur se resta un ottimo esempio di horror d'atmosfera, particolarmente affascinante grazie alla solita ineccepibile performance del grande e indimenticabile Vincent Price (1911 - 1993). Al ritmo lento delle riprese, al servizio di una storia forse più adatta a un cortometraggio, nuoce in buona parte l'ambientazione solare con scene girate in maggior misura all'aperto durante lunghe e assolate giornate, in esatta antitesi con le ambientazioni crepuscolari e notturne dei titoli precedenti. Anche il finale, con inutile intrusione nel racconto di un "gatto nero", sembra essere stato sviluppato in sceneggiatura frettolosamente. Questa volta i testi non sono opera della prestigiosa mano di Richard Matheson ma del meno efficace Robert Towne, che si limita a riportare evocative frasi dagli scritti di Poe. Dato lo spessore narrativo alla base del film, e la sempre impeccabile scelta delle suggestive location (una veloce sequenza è girata addirittura a Stonehenge), per quanto La tomba di Ligeia finisca per apparire come titolo minore del ciclo, resta un film di gradevole visione, ancor oggi in grado di attirare l'attenzione e farsi seguire con interesse. A margine dei titoli citati sono da ricordare - nella serie gotica del periodo, opera di Corman ma extra-Poe - Sepolto vivoLa vergine di ceraLa torre di Londra e La città dei mostri.

 

Citazioni 

Frasi e monologhi di Verden Fell/Vincent Price, doppiato nella versione italiana con intenso effetto da Emilio Cigoli

 

"Pallida, fredda, eppure così viva..."

 

"La bellezza della vita sta nelle sue limitazioni, e nel saperle accettare." 

 

"Se il mio cervello si potesse aprire, chissà quanto e quale marciume ne verrebbe fuori.

 

"Che cos'è la pazzia, se non il credere in quello che non esiste?" 

 

"Nell'ipnosi si possono ricordare cose da tempo dimenticate... e dimenticare cose che è meglio non ricordare." 

 

"La sua volontà era altrettanto forte quanto era fragile il suo corpo. Pur se era apparentemente calma e tranquilla, Ligeia lottò contro la morte con una forza che le parole non sono capaci di esprimere. Via via che la malattia completava la sua opera, ella parve rivolgersi alle pietre stesse dell'abbazia per acquistare nuove forze. Come se le pietre, potessero aiutare la sua ardente brama di vivere. Soltanto di vivere una vita che la devastava, come la febbre della malattia. In un certo senso, Ligeia si identificò con l'abbazia stessa. Non entrò mai in una stanza, mai passò nel più buio corridoio, senza illuminarne le pareti come fa la tremula candela. E io, come accade ai ciechi, sentivo la sua presenza, anche quando lei non c'era. Percepivo la sua voce nel fruscio di una tenda appena mossa dal vento, sentivo il suo passo leggero nello sbattere delle ali di una farfalla contro i vetri di una finestra chiusa. E alla fine, quando ella credeva di aver vinto la morte, mi disse sorridendo: 'Io sarò sempre tua moglie. La tua unica moglie. Perché questo io voglio'.

 

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Vampyros lesbos

  • Horror
  • Spagna, Germania
  • durata 89'

Titolo originale Vampyros lesbos

Regia di Jesus Franco

Con Ewa Strömberg, Susann Korda, Victor Feldman, Dennis Price

Vampyros lesbos

"Sapevi di avere bevuto il sangue? Ora sei una di noi. Da questo momento, la signora della notte ti tiene sotto le sue ali nere. Kovec nihe trekatsch." (La contessa Nadine dopo aver offerto un calice a Linda)

 

Supportato in sceneggiatura da Jaime Chávarri, Jesus Franco realizza un gioiellino di raro erotismo, espresso in variante lesbo, con garbo e sensibilità. Forte di tre presenze incantevoli che rispondono al nome di Ewa Strömberg, Heidrun Kussin e Soledad Miranda. Quest'ultima, di una bellezza predominante e con una promettente e radiosa carriera ad attenderla, morirà poco tempo dopo le riprese, in un tragico incidente stradale, a soli 27 anni. Vampyros lesbos, senza di lei, non sarebbe stato destinato a diventare - come invece è accaduto - un film di culto, apprezzato in tutto il mondo. Senza dubbio è una delle opere di Franco più suggestive e insolitamente romantiche, nonostante l'alta dose di nudo (ricordiamo che siamo nel 1970) che ne ha imposto - per l'edizione spagnola - una versione alternativa, fortemente censurata. Dietro alla rilettura del classico di Stoker (Dracula) opportunamente aggiornata, Franco racconta i turbamenti e le ossessioni di una donna che scopre di essere fortemente attratta dalla bellezza femminile. Questa condizione di orientamento sessuale anomalo viene velatamente raccontata mediante un uso sofisticatissimo delle immagini, della colonna sonora (uscita in due LP dal titolo Psychedelic Dance Party e Sexadelic) e dai dialoghi rarefatti e allusivi. "Ho la sensazione di trovarmi in una situazione anomala e di agire contro la mia volontà", dice ad un certo punto Linda al professore esperto di vampirismo, e prosegue: "Sento uno strano richiamo che proviene dal nulla." Parole che possono essere lette come significativa espressione di un contrasto interiore vissuto dalla protagonista che, pur essendo irresistibilmente attratta da Nadine, non vuole ammetterlo a se stessa. L'unico difetto del film, se così lo si vuole chiamare, è dato dall' uso insistente dello zoom, pressoché costante ad ogni cambio di scena. Ma è nulla di fronte alla grazia e al talento visionario manifestato, in questa specifica circostanza, dal prolifico cineasta spagnolo. Stavolta in grado di comporre un capolavoro femminista, drammatico ed erotico, celato malamente dietro una confezione horror.

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Zeder

  • Horror
  • Italia
  • durata 100'

Regia di Pupi Avati

Con Gabriele Lavia, Anne Canovas, Bob Tonelli, Paola Tanziani

Zeder

"Le barriere della morte saranno finalmente abbattute grazie al nostro lavoro, e il mio ritorno alla vita segnerà il ritorno di tutti. Il luogo che io ho scoperto è il luogo che lo Ierofante da tempo cercava..." (Paolo Zeder)

 

Lo spunto iniziale viene a Pupi Avati in seguito all'acquisto di una macchina da scrivere, ceduta dal suo compositore musicale (Amedeo Tommasi), nella quale il regista scopre come il nastro fosse rimasto inciso. Tutto quello che era stato scritto dai precedenti proprietari poteva essere parzialmente riletto. Scritto da Maurizio Costanzo, Pupi e Antonio Avati, Zeder è da molti considerato un capolavoro, anche se spesso il film è soggetto a critiche su alcuni punti poco chiari (specialmente nel finale) della sceneggiatura. Quello che è certo è che resta impresso nella mente per la buona interpretazione di Gabriele Lavia, Anne Canovas e di tutto il resto del cast. Le indovinate location (soprattutto il complesso di Cattolica nel quale è girato il suggestivo e memorabile finale) ottimamente fotografate da Franco Delli Colli, rendono questa pellicola unica nel suo genere. Resta in memoria anche la suggestiva colonna sonora di Riz Ortolani, sintetica ma efficace e collocata al momento opportuno. Da anni è in corso una diatriba sul fatto che Pet Sematary presenta molti punti in comuni al film di Avati: il romanzo scritto da Stephen King (e portato sugli schermi nel 1987 da Mary Lambert) è datato ufficialmente 1984 mentre Zeder risale all'anno precedente. Non è chiaro quindi se, e quanto, la similitudine tra le due opere possa essere ascrivibile solo al caso. 

 

Citazioni

 

"I terreni K li aveva scoperti un vecchio apolide, un tale Paolo Zeder. Scomparso, nessuno sa dove è finito. In poche parole questo Zeder sosteneva che nell'antichità, là dove si credeva possibile un contatto con l'Aldilà, con i defunti - da Delfi a Efira, Dodone e così via - si potevano riscontrare delle costanti che lui chiamava alchemiche, ma che oggi noi chiameremmo chimiche o, meglio ancora, zone geologicamente simili; questi terreni, che lui chiamava zone K, li supponeva diversi. La particolarità di questi terreni, sui quali sorgevano tutti gli oracoli dei morti, è quella di vivere un non-tempo, una non-stagione, una non-crescita, una non-morte. Idealmente: un tempo zero. Permettendo il ritorno dall'Aldilà...il ritorno dalla morte." (Professor Chesi)

 

"Mi sembrava sufficientemente terribile indagare su quello che accade dal momento in cui viene saldata la bara di zinco nella quale è deposto il cadavere, e tutto quello che accade dopo, nel silenzio, nella staticità della morte. Inserendo, come elemento estraneo, come occhio indiscreto, una telecamera. Mi pareva che questa presenza della telecamera accesa con un controllo, un monitoraggio continuo su quello che avviene, l'evolversi tra il momento del decesso e quello successivo del cadavere, fosse cinematograficamente eccitante. Ovviamente tutto questo aveva precisamente a che fare con la parte malata della mia mente." (Pupi Avati, dichiarazione pubblicata nel booklet allegato al dvd di ZederHobby & Work)

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