Nella seconda puntata, la "via triumphalis" ha qualche battuta di arresto, dovuta al comprensibile smarrimento post-Titanic, ma riprende ben presto il suo corso, grazie al duo Spielberg-Scorsese (con quest'ultimo si inaugura un sodalizio notevole in "Gangs of New York" - dove tutte, ma proprio tutte le "scene madri" sono riservate a Daniel Day-Lewis :-)). Ancora più importante sarà il progetto molto personale di "Aviator", a partire dal quale gli interessi storico-politici dell'attore detteranno legge nelle sue scelte di carriera. Il risultato del duro lavoro richiesto da simili ruoli si vedrà - eccome - nel decennio successivo.
La liberazione dalla maschera di ferro, con un braciere a fare da sfondo a quella che è una vera e propria resurrezione: gli occhi e i gesti traboccano di dolore e di stupore. Una prova divistica molto tradizionale - e in parte discutibile - (i gemelli di carattere opposto, in un film di cappa e spada: si veda anche la scena con entrambi i personaggi, per così dire) sfortunatamente inserita nel quadro di una sceneggiatura/regia allucinanti.
Il grande truffatore, in realtà un adolescente vittima della superficialità e del velleitarismo dei suoi oltre che del vuoto pneumatico della cultura in cui vive, vede infrangersi alla finestra della casa della madre l'ultimo barlume di quel sogno, la famiglia, a cui tanto teneva (la sua solitudine aveva già avuto grande risalto nella scena della prima telefonata natalizia al suo inseguitore-amico, il federale Hanratty/Hanks). Un ruolo profetico per la carriera di DiCaprio e, oltretutto, un'ottima possibilità di mostrare le sue doti di comédien (l'imitazione di Sean Connery? :-)))).
Il finale. Negli sguardi, nella ripetizione di una sola battuta, c'è tutto: un passato opprimente, un presente spaventoso, un futuro persino peggiore (l'ultimo sguardo fisso e il tono di voce robotico). Il primo film che DiCaprio ha personalmente curato e portato a compimento e un grande, meritatissimo successo di pubblico e critica (nonostante la regia gelida di Scorsese).
La lotta per la vita di un infiltrato contro il suo sospettosissimo boss nel duetto con Jack Nicholson/Costello. Un balletto fenomenale tra attori e un bel poliziesco.
La scena di morte, dove all'ultimo disperato (e consapevole) sguardo di addio alla salvezza (fisica) che ormai è fuori portata segue la grandezza dell'accettazione del proprio destino. Il culmine di un ruolo difficilissimo perché improbabile e stereotipato (il mercenario che si salva l'anima...), dove tutte le trappole vengono schivate con molto agio.
Lo sguardo in ospedale, in cui si riflettono non soltanto l'enormità del suicidio della moglie ma la tremenda consapevolezza delle sue dolorosissime ragioni e il crollo di tutto un edificio mentale e di vita. Un film purtroppo condannato in partenza (il libro è un capolavoro, e per farne qualcosa che fosse all'altezza ci sarebbe voluto ben altro regista che Sam Mendes).
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