Playlist film

Ogni numero di magia è composto da 3 parti o atti. La prima parte è chiamata "La Promessa". L'illusionista vi mostra qualcosa di ordinario: un mazzo di carte, un uccellino, o un uomo. Vi mostra questo oggetto. Magari vi chiede di ispezionarlo, di controllare se sia davvero reale, sia inalterato, normale. Ma ovviamente... è probabile che non lo sia. Il secondo atto è chiamato "La Svolta". L'illusionista prende quel qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. Ora voi state cercando il segreto... ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati. Ma ancora non applaudite. Perché far sparire qualcosa non è sufficiente; bisogna anche farla riapparire. Per questo ogni numero di magia ha un terzo atto, la parte più ardua, la parte che chiamiamo "Il Prestigio". Splendida frase d’apertura e di chiusura del film: una definizione che dal mio punto di vista si adatta perfettamente al cinema.

Il piacere di vedere senza essere visti, il voyeurismo di fondo che più o meno velatamente si cela in ognuno di noi: questo in una frase il tema centrale de La finestra sul cortile. James Stewart immobilizzato sulla sua sedia a rotelle è esattamente uguale a tutti noi quando ci paralizziamo di fronte al grande schermo e soffriamo e gioiamo e lottiamo con i personaggi che vediamo, senza poter far assolutamente niente per loro. Tutti abbiamo tremato per Grace Kelly sul punto di essere scoperta da Raymond Burr, esattamente come e con James Stewart. E proprio come lui non potevamo fare nulla per modificare gli eventi. Immenso capolavoro teorico di Hitchcock.

A mio parere, uno dei migliori film in assoluto di Brian de Palma. Omicidio a luci rosse è cinema che parla di cinema e cita se stesso. Il film è ambientato nel mondo del cinema pornografico e cita se stesso richiamando piaceri voyeuristici già sviscerati seppur in contesti diversi in pellicole precedenti. Tutto il cinema di de Palma è fortemente intriso di citazioni; mai come in questo caso, però, i rimandi, soprattutto a Hitchcock, sono evidenti. Come in La finestra sul cortile, il protagonista inizia ad osservare a distanza i suoi vicini, una donna in questo caso. Come in Hitchcock, l’uomo diventa testimone di un delitto e tenta di risolvere il caso da solo, mettendosi sulle tracce dell’assassino. I mezzi della visione, però, sono spesso ingannevoli e non sempre ciò che sembra è ciò che è. Così è il cinema: un’apparenza spesso ingannevole che nasconde sottotesti spesso più interessanti di ciò che galleggia in superficie.

Un uomo s’innamora di una donna vista in un ritratto e subito tra i due scocca l’amore. Lei però ha un amante che lui, in un accesso d’ira, uccide. Che fare? Costituirsi? E se la polizia non credesse alla teoria della legittima difesa? Molto meglio sbarazzarsi del corpo. Un bosco sarà senz’altro il luogo adatto… sì, nessuno scoprirà mai niente. Almeno fino a quando un ragazzo non scoprirà un cadavere abbandonato. La polizia apre le indagini. L’uomo non ha avuto la malizia di nascondere le proprie tracce e in breve si trova braccato da solerti agenti pronti ad arrestarlo. E all’improvviso… come d’incanto, si sveglia madido di sudore e scopre che si è trattato solo di un sogno. Non è poi molto diverso da ciò che spesso accade allo scorrere dei titoli di coda. Quando un film sa emozionare ci penetra la carne…

Essere un personaggio convinti di essere una persona è forse l’illusione più triste che il cinema ci abbia mai mostrato. Truman è convinto di vivere una vita normale, forse un po’ noiosa, ma in tutto e per tutto uguale a quelle dei suoi amici e parenti. In realtà non è così: lui non sogna di fronte alla finzione; lui è finzione, senza averne consapevolezza. Si dibatte in una gabbia, morde e graffia, ma solo l’aria. Finché una serie di indizi non lo porta sulla strada della verità. A quel punto, per la prima volta nella sua vita può fare una scelta. E la scelta è quella di vivere la vita reale abbandonando il mondo fittizio in cui ha vissuto sino a quel momento. Ed è quello che, in fondo, facciamo tutti noi: ci emozioniamo di fronte ad un film, ci lasciamo coinvolgere dalle vicende dei suoi personaggi. A volte piangiamo persino. Poi, però, quando il grande schermo torna nero ci rituffiamo a capo fitto nella nostra vita. Quella reale, con tutte le gioie e i dolori che ne conseguono. Almeno fino a quando la pellicola tornerà a scorrere!

Probabilmente la sintesi perfetta di quello che è il cinema: un’illusione così forte ed emozionante da apparirci reale, come se i personaggi impressi sulla pellicola acquistassero una loro autonomia e si palesassero dinanzi a noi. Vedi troppo cinema, mi dicono in molti, senza rendersi conto di quanto possa essere labile il confine tra realtà e finzione e soprattutto senza capire quanto il cinema possa aiutarci a vivere meglio.

A 25 anni di distanza, Woody Allen ci porta di nuovo a riflettere sull’importanza dell’arte e sulla sua capacità di aiutarci a vedere in modo più nitido il mondo che ci circonda. Nei suoi viaggi notturni, Gil si ritrova immerso nel mondo che ha sempre sognato, in uno spazio reale ma in un tempo lontano, forse verosimile, forse idealizzato, certamente diverso. Gil sprofonda nella sua illusione che assume contorni tangibili e concreti, si cala nella realtà dei suoi sogni e vive sulla propria pelle le situazioni che da sempre lo accompagnano nella sua fantasia. Forse è proprio questo il segreto del cinema: dar corpo alla fantasia e sollevarci dalle ansie del vivere quotidiano.