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Le donne di Mizoguchi Kenji
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Le donne di Mizoguchi Kenji

Dopo Le donne di Kurosawa Akira prosegue con Mizoguchi Kenji l’indagine sulla donna nella filmografia dei maestri che hanno fatto grande il cinema giapponese.
Se in registi come Ozu, Kurosawa, Imamura, Oshima, e, per quanto sembri improponibile, anche in Kitano, guardare al ruolo della donna è sempre interessante, perché é portatrice di significato ed elemento forte per ogni contestualizzazione storica, quando parliamo di Mizoguchi Kenji il discorso sulla donna tocca la sua acmé.
 
Come ogni cultore di quel cinema sa, la donna è il suo centro ispiratore: 
 
Se le donne  si sono ribellate contro un sistema di proibizioni, di scambi e di gerarchia stabilito dagli uomini […] è perché le donne soltanto vedono fino in fondo a questo sistema e ne percepiscono la futilità. Se hanno qualcosa da insegnarci, è la comprensione sovra-personale, sovra-storica, essenzialmente artistica dell’assurdità di tale esistenza”.
 
Anderson ha colto un dato importante nelle donne di Mizoguchi.
Vittime di un sistema che le relega a ruoli schiavili, esse appaiono in realtà ogni volta le vere vincitrici, ed è lo sguardo del regista a renderle tali.
Le sue donne sono costantemente al centro del caos, che è lo spazio dell’insicurezza, lì dove la violenza si esercita senza ragioni comprensibili, in una specie di sadismo che le rende vittime sacrificali.
L’odore del sangue, la tortura del martirio, il degrado esistenziale le accompagnano senza tregua, sono donne in fuga, condannate, vendute, che si tratti di imperatrici o prostitute, geisha o figlie di famiglia, il loro posto nel mondo è sempre compromesso, negato, asservito.
Eppure questa donna passa indenne attraverso prove di vita inenarrabili, rimanendo sempre trionfalmente sé stessa.
Lo sguardo del regista su di lei é quanto di più  tenero e pieno di rispetto si possa rivolgere alla donna, c’é una comprensione così profonda del suo essere che si stenta a credere provenga da un uomo.
Crebbe nella povertà più assoluta, Mizoguchi, assisté alla vendita di sua sorella quattordicenne come geisha, costretta dal padre a prostituirsi per sanare il suo tracollo economico.
Visse con lei dopo la morte della madre, esercitando vari mestieri fin dai tredici anni (decoratore di stoffe, inserviente in ospedale) e solo grazie ai sacrifici della sorella riprese gli studi artistici e letterari, debuttando come regista nel ’22, a 24 anni.
Ottanta film in 34 anni hanno dato forma ad una ispirazione essenzialmente poetica, il cui manifesto programmatico si può rintracciare in Utamaro del ’46, energica affermazione della libertà di espressione artistica contro rigidità e conformismi e canto sublime della bellezza femminile.
 
Immaginiamo dunque che sia dedicato a loro, alle sue donne, l’haiku che, prima di morire, Asano, il severo signore, lascia ai fedeli samurai ne La vendetta dei 47 ronin
Più fragile dei petali
dispersi nel vento
vi offro il mio ultimo addio
salutando la primavera
 

Playlist film

La strada della vergogna

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 86'

Titolo originale Akasen chitai

Regia di Kenji Mizoguchi

Con Machiko Kyo, Ayako Wakai, Aiko Mimasu, Michiyo Kogure

La strada della vergogna

Mentre la cinepresa scivola nella storia con i personaggi, al tempo stesso è lei a condurre il gioco, senza averne l’aria. Molière affermava di andare dal parrucchiere per osservare dei tipi umani: Mizoguchi fa lo stesso con il bordello, che è un magnifico teatro. Jean Douchet
 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

L'intendente Sanshô

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 119'

Titolo originale Sanshô Dayû

Regia di Kenji Mizoguchi

Con Kinuyo Tanaka, Yoshiaki Kanayagi, Kyoko Kagawa, Masao Shimizu

L'intendente Sanshô

Il problema principale riguardo a Mizoguchi è rappresentato dal fatto che non è possibile analizzare i suoi film. Da ciò deriva la sua grandezza. Non c’è psicologia, la sua è una forma particolare di lirismo. [...] In Mizoguchi abbiamo l’evidenza dell’essere umano [...] Movimenti di rara bellezza, una forma precisa nonostante girasse i suoi film molto velocemente. Quando la mdp si allarga ad inquadrare il mondo, sembra inghiottire e comprendere ogni cosa. C.Chabrol

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

La vendetta dei 47 ronin

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 223'

Titolo originale Genroku chushingura

Regia di Kenji Mizoguchi

Con Yoshizaburo Arashi, Utaemon Ichikawa, Chojuro Kawarasaki

La vendetta dei 47 ronin

In streaming su Plex

Il suo realismo implacabile si applica esattamente allo stesso modo ai film in costume e a quelli ambientati in epoca contemporanea: è una delle ragioni per cui è stato paragonato a Rossellini. Mizoguchi filma degli eventi che non sono mai vissuti come ricostruiti: il suo stile ricopre e rende uguali, anche se i soggetti sono differenti, i film storici e quelli coevi. In tutti i suoi film il problema centrale è l’articolazione dei sentimenti, del desiderio e del denaro: è possibile, in una società feudale o moderna, che un desiderio o un amore possa manifestarsi senza essere assoggettato, oppresso,ostacolato o distrutto da rapporti economici? Per me Mizoguchi è, con Bresson e Godard, il più grande cineasta del denaro. Jean Narboni
 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

I racconti della luna pallida d'agosto

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 97'

Titolo originale Ugetsu Monogatari

Regia di Kenji Mizoguchi

Con Machiko Kyo, Masayuki Mori, Kinuyo Tanaka, Sakae Ozawa

I racconti della luna pallida d'agosto

In streaming su Plex

Tutta Parigi deve correre a vedere questo film: quelli che amano il cinema e quelli che se ne infischiano, quelli che s’interessano al Giappone e quelli che non se ne curano. Come tutte le grandi opere, fa saltare le barriere dei generi e le frontiere delle nazioni. Non si può immaginare migliore ambasciatrice della cultura nipponica di questa storia tratta da leggende medievali e di cui i sottotitoli ci permettono di apprezzare la straordinaria poesia. Avretela rivelazione di un mondo in apparenza molto diverso dal nostro ma, nel profondo, del tutto simile. Toccherete con mano quel fondo comune di umanità, quel crogiolo da cui sono usciti tanto l’Odissea quanto il ciclo della Tavola Rotonda, con cui I RACCONTI DELLA LUNA PALLIDA D’AGOSTO presenta sconcertanti analogie.
Se amate i film giapponesi, andate a vedere questo: è il più bello. Se quelli finora giunti sui nostri schermi vi hanno deluso, ecco l’occasione di rifarvi. Senza dubbio Kenji Mizoguchi (...) è stato il più grande cineasta del suo Paese. Ha saputo praticare con rigore un’arte nata in altri luoghi e di cui i suoi compatrioti non sempre si erano serviti al meglio. E tuttavia non si trova in lui alcuna volontà servile di copiare l’Occidente. La sua concezione dell’inquadratura, della recitazione, del ritmo, della composizione, del tempo e dello spazio è del tutto nazionale, ma egli ci tocca allo stesso modo in cui hanno potuto toccarci Murnau, Ophüls e Rossellini.
Per il regista, come per il poeta, non c’è che un solo grande tema: l’idea dell’unità nascosta sotto la diversità delle apparenze, ovvero, in termini drammatici, la ricerca esaltante e ingannatrice di un paradiso in cui “tutto è lusso, calma e piacere”. E tale motivo è in questo film il cuore stesso della fabula, che ci mostra i miraggi di cui sono vittime due
contadini, tentati, l’uno, come Don Chisciotte, dal demone della guerra, l’altro, come Lancillotto, da quello dei sensi. Ma l’idea tradotta in immagini non ha nulla di astratto e, in questo caso, è evidente la superiorità del Giapponese su noi, uomini occidentali, incapaci di visualizzare sullo schermo il fantastico. I nostri film in costume puzzano di mascherata, i nostri film fantastici di trucco. Questo film, no.
L’eleganza di scrittura del film, la raffinatezza di tutti i suoi dettagli sono per noi ricche d’infiniti insegnamenti. Ma tranquillizzatevi, non pretendo di mandarvi a vederlo come se fossimo a scuola. I RACCONTI DELLA LUNA PALLIDA D’AGOSTO ha, oltre a tutto il resto, una qualità di cui avreste potuto dubitare, leggendo il mio ditirambo. È un film vivo, appassionante, lieto, facile, di volta in volta emozionante e ricco di humour. Non c’è quel carattere solenne, astruso, tipico dei capolavori. Nessun accento ieratico, nessuna lentezza da Estremo Oriente. Sarete al contrario sorpresi, quasi delusi, di vedere apparire così in fretta sullo schermo la parola FINE.
Eric Rohmer
 
 
 
 

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