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GANGSTER-MOVIE [PARTE TERZA] - ANNI QUARANTA/CINQUANTA - JOSEPH H. LEWIS, ANTHONY MANN, NICHOLAS RAY, ANDREW L. STONE, DON SIEGEL
di Marcello del Campo ultimo aggiornamento
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GANGSTER-MOVIE [PARTE TERZA] - ANNI QUARANTA/CINQUANTA -  JOSEPH H. LEWIS, ANTHONY MANN, NICHOLAS RAY, ANDREW L. STONE, DON SIEGEL

Ancora troppo sottovalutato, Joseph H. Lewis, ma impostosi all’attenzione degli amanti del genere, quando nel 1950 appare il suo capolavoro La sanguinaria (Deadly is Female/Gun Crazy), ha già alle spalle una discreta carriera “… imprigionata in produzioni B Universal, Monogram, PRC o Columbia, dove stentava a imporre una propria impronta” (Renato Venturelli). L’anno prima, Lewis aveva diretto The Undercover Man (Mani lorde, 1949), con Glenn Ford nella parte di un agente del dipartimento del Tesoro incaricato di incastrare un boss della mafia per evasione fiscale. Basato sulle rivelazioni di un certo Frank J. Wilson, forse un membro del gruppo di Elliott Ness che inchiodò Al Capone e lo spedì in galera per avere evaso le tasse, il film, che ha ispirato Gli intoccabili di Brian De Palma, è ancora dentro il clima surrealista e espressionista e vicino al noir più che al film di gangster. Come ho già scritto, è difficile tracciare una precisa linea di demarcazione tra i generi.
Nel 1955 è la volta di The Big Combo (La polizia bussa alla porta), uno dei film più amati dai cinefili: Cornel Wilde interpreta la parte di un tenente di polizia alla caccia di un criminale mafioso; grande spiegamento di facce da duri, Richard Conte, Ted De corsia, Lee Van Cleef, Earl Holliman, magnifico il disegno visivo, quasi langhiano, è complesso e contraddittorio rispetto alla linearità di Fuller, ma di eguale fascino. Lewis è un maestro anche più sottile dello stesso Aldrich delle pulsioni sessuali “delle quali dà spesso descrizioni poeticamente provocatorie, come succede nel caso del rapporto bizzarro, ma profondo, che lega Joan Wallace a Cornel Wilde. Il sesso, però, se è talvolta la salvezza delle sue creature può anche esserne la rovina: - il poliziotto impegnato trova la morte proprio a causa del suo amore per una ballerina.” [John Gabree]. Lewis aveva già dato prova dell’aspetto distruttivo del sesso in noir precedenti, servendosi della tensione passionale per dare vita ad alcune delle scene più memorabili dei suoi film, come quella di My Name is Julia Ross (Mi chiamo Julia Ross, 1945), in cui George Macready strappa furiosamente con un rasoio la biancheria intima di Nina Foch. Lewis ha anticipato anche un tema oggi molto usurato nel cinema dei serial killer, l’identificazione tra poliziotto e criminale: in So Dark The Night (Così scura è la notte, 1946) questa identificazione non è strumentale (come anche nei migliori film attuali, Manhunter, Il silenzio degli innocenti) ma attinge a materiali letterari davvero inediti nel cinema di genere, per esempio allo Stevenson di Jackyll-Hyde.  
 
Come Boetticher anche Anthony Mann è più noto come regista di grandi western, ma non sono di poco conto alcune sue incursioni nel genere gangster con alcuni film caratterizzati da un ruvido realismo. Renato Venturelli nel saggio già più volte citato, L’età del noir, divide la carriera di Anthony Mann prima del western in due fasi ben distinte, Il primo Anthony Mann (1945-46), cioè il periodo dei noir Desperate (Morirai a mezzanotte, 1947), La fine della signora Wallace (The Great Flamarion, 1945), Strange Impersonation, 1946(inedito in Italia)e Anthony Mann e gli anni della Eagle-Lion in cui dirige T-Men contro i fuorilegge (T-Men, 1947), vigoroso gangster-movie molto amato da Chabrol, con Dennis O’Keefe nella parte di un agente del Tesoro deciso a scoprire una rete di falsari; straordinaria l’interpretazione di Wallace Ford, nella parte di un truffatore dei bassifondi e da annotare le luci fredde e i riflessi su specchi e vetrine del grande John Alton che ha firmato la fotografia di molti dei film che ho elencato in queste schede schematiche. Raw Deal (Schiavo della furia, 1948) racconta le vicende di Dennis O’ Keefe, nella parte di un bandito fuggiasco, con due donne (Claire Trevor e Marsha Hunt), ma i due film migliori di Mann sono Border Incident (Mercanti di uomini, 1949), con George Murphy e Ricardo Montalban, nella parte di due agenti del dipartimento dell’Immigrazione in lotta col racket del trasporto illegale di contadini messicani negli Stati Uniti, e Side Street (La via della morte, 1950), che ha per protagonista un giovane agente postale (Farley Granger), che si avventura nel mondo del crimine con risultati disastrosi. Questo film segna un netto distacco dai precedenti, Mann abbandona i toni cupi tagliati sulle luci fredde di Alton e affida a Joseph Rottenberg le riprese della città di Manhattan con un occhio a Città nudadi Dassin.
 
Anche Nicholas Ray dirige i suoi primi film nel genere noir, distanziandosi dal clima espressionista e dall’approccio realistico. Il suo è un cinema che predilige il melodramma e lo studio psicologico di anime fragili e nevrotiche in perenne conflitto con il mondo, vedi La seduttrice (Born To Be Bad, 1947) o il Bogart frustrato del Diritto di uccidere (In a Lonely Place, 1950). Spesso i suoi personaggi sono adolescenti borderline, anche se gli interessano di più dal punto di vista della speranza che può infondere nei diseredati che da quello dell’analisi di psicologie distorte in cui Lewis eccelle. They Live by Night (La donna del bandito, 1949), con Farley Granger e Cathy O’Donnell riprende il tema della coppia criminale Bonnie and Clyde con una tenerezza inedita nel cinema gangster: se Lewis è attratto dall’azione, (vedi La Sanguinaria), Ray segue gli amanti con simpatia e compassione nella lunga fuga da uno squallido motel fino alla loro morte. On Dangerous Ground (Neve rossa, 1952) fornisce a Robert Ryan l’occasione di una delle sue interpretazioni migliori, nella parte di un investigatore che, per odio e amarezza, è diventato sadicamente crudele e che impara ad essere generoso dalla sorella cieca di un assassino (Ida Lupino). Il fiammeggiante Party Girl (Il dominatore di Chicago, 1958) è un film del ciclo sulla grande crisi e sul proibizionismo, in cui un grande Robert Taylor, che nella maturità ha dato il meglio di sé in bellissimi western, interpreta la parte di un avvocato claudicante invischiato negli affari di una gang, che intreccia una relazione sentimentale con una ballerina (Cyd Charisse) costretta a subire le sadiche attenzioni di uno spregevole capobanda (Lee I. Cobb). Ray è particolarmente abile nel descrivere la violenza, quella effettiva e quella minacciata, soprattutto la seconda. Come Lang e Lewis, sa che le immagini possono essere trattate in modo da esprimere la violenza con tutta l’enfasi necessaria, senza doverla mostrare nell’attimo in cui la si commette, come nella scena in cui Lee J. Cobb versa del vetriolo su un giocattolo natalizio che ha lo stesso colore del vestito di Cyd Charisse. Ray, inoltre, ha delle idee molto precise sulla messa in scena: Le sue ambientazioni, i suoi costumi, le luci, eccetera, sono tutti scelti abilmente in modo da sottolineare il procedere dell’azione.
 
Una breve nota per Andrew L. Stone che agli inizi dei Cinquanta si fa notare con alcuni piccoli gangster movie autoprodotti. La banda dei tre stati (Highway 301, 1950) pure basandosi su plot stereotipato, - la polizia alla caccia di una banda di criminali, - devia dalla ruotine e il film si concentra sulla dissoluzione del gruppo di rapinatori e sulla loro condizione di braccati in un ambiente chiuso. Notte di terrore (The Night Holds Terror, 1955) si basa su una trama che ricorda Ore disperate di Wyler, ma Stone con pochi soldi tiene testa al film della major grazie a una maggiore tensione e alla buona performance di John Cassavetes. Lama alla gola (Cry Terror, 1957) è per certi versi un film sorprendente, tecnicamente un congegno a orologeria, di “piano perfetto, esercizio di suspense che si risolve in un presente assoluto.”, scrive Renato Venturelli. Nella spettacolarizzazione del ritmo, Stone pone le premesse dell’action-movie, coadiuvato da un gruppo di interpreti sicuri, James Mason, Rod Steiger, Angie Dickinson, Neville Brand. 
 
Don Siegel proietta la sua grande ombra di cineasta dagli anni Quaranta fino al decennio dei Settanta con una vitalità che gli ha permesso di girare circa quaranta film spaziando in tutti i generi e in tutti mostrando doti di instancabile filmaker. “È uno dei pochi registi di genere, oltre ad Aldrich, che ha ottenuto una certa fama e notorietà. Se Siegel ha una particolare genialità, l’ha nel montaggio. I suoi film sono famosi per l’eccellenza del ritmo e per la tensione dei finali. Il tipico eroe di Siegel è uno sconfitto, il più delle volte un criminale che cerca di adattarsi ad un mondo spietatamente normale. Diversamente dalla maggior parte degli altri autori del genere, Siegel non mette in evidenza il punto di vista del suo personaggio, nemmeno in modo più o meno approssimativo: l’azione è sempre distorta fino al limite di rottura, ed è collocata sullo sfondo di un paesaggio, fisico e morale, che, chiaramente, possiamo riconoscere come nostro.” [John Gabree]. Il Siegel che ci interessa comincia con Il tesoro di Vera Cruz (The Big Seal, 1949), un film diretto in un momento difficile – Mitchum era stato arrestato per consumo di marijuana; la sceneggiatura non è un granché, ma il regista gioca sul dinamismo che troverà la perfezione in Charlie Varrick un quarto di secolo dopo. Dollari che scottano (Private Hell 36, 1954 è un altro film diretto con problemi sul set, - Ida Lupino litiga con la produzione, - ma il risultato è ancora una volta sorprendente. Se il film precedente procedeva a rotta di collo in una caccia all’uomo, qui l’azione è dettata da una storia di rapina che Siegel racchiude in spazi in cui può fare valere il suo senso del ritmo, - il drugstore, l’ippodromo, il parcheggio,, - senza un attimo di tregua, è il caso di dire. Con la Lupino in veste di dark lady, due facce da duro, Steve Cochran e Howard Duff. Rivolta al blocco 11 (Riot in Cell Block 11, 1954) è un film carcerario low budget nel quale la filosofia del regista appare evidente nella scrematura che opera all’interno del genere, niente problematiche sociali, solo pura azione che nasce dal conflitto tra opposte durezze, tra necessità della legge e diritto di chi, rinchiuso in luogo di detenzione, deve lottare per farli valere. Neville Brand sigla la sua migliore interpretazione. Film di successo popolare quando uscì nel 1957, Faccia d’angelo (Baby Face Nelson),  segna il ritorno di Siegel al gangster-movie anni Trenta. Mickey Rooney in­terpreta nevroticamente la parte di Baby Face Nelson, tutto tic e fisicità debordante, ilare, inedita per un attore versatile, piccoletto, proveniente dalla commedia. “Faccia d’angelo è un film brusco e potente, probabilmente non ignoto al Corman della Legge del mitra.” [Renato Venturelli] e molto amato da Jacquet Rivette che nel 1962 scrive, che è un capolavoro “per l’accordo assoluto di un soggetto, di una materia, di una scrittura e degli attori, tutti sufficienti e necessari, da cui una secchezza che è poesia pura.” [riportato da Renato Venturelli]. Siegel chiude degnamente il decennio con Crimine silenzioso (The Lineup, 1958), uno spin off da un serial televisivo. Una coppia di poliziotti dà la caccia ai trafficanti di eroina in arrivo al porto di San Francisco dall’Estremo oriente. Siegel, contrariamente alla regola del genere, sposta l’attenzione sui killer, uno psicopatico (Eli Wallach) e il suo alter ego (Robert Keith) che predica la violenza ma è incapace di compierla. Il rapporto di maestro e discepolo è interessante perché insiste sul rapporto tra filosofia della violenza e violenza allo stato puro. Il film si caratterizza anche per altri meriti che qui sarebbe lungo indagare; basti pensare alle scene di azione che preludono al Siegel dei due decenni successivi, vedi Contratto per uccidere (The Killers, 1964), un film realizzato con mezzi limitati, che rappresenta una trasformazione esplicitamente vio­lenta del racconto di Hemingway, già portato sullo schermo nel capolavoro di Robert Siodmak nel 1946. 

 

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