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LANG parla di LANG (seconda parte:intervista a Fritz Lang)
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Utente rimosso (mike patton)

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LANG parla di LANG (seconda parte:intervista a Fritz Lang)


METROPOLIS

 
Il suo viaggio negli Stati Uniti  le fornì l’ispirazione per Metropolis, non è vero?



 Io ed Erich fummo considerati i nemici stranieri, e per qualche strana ragione non potemmo scendere a New York il giorno in cui la nave arrivò al porto, ma dovemmo attendere il giorno dopo per sbarcare. Ricordo quella sera, di aver osservato dalla nave le principali strade di New York illuminate a giorno dalle migliaia di insegne luminose. Era uno spettacolo del tutto nuovo ed insolito ai miei occhi, e cercai di immaginarmi quest’enorme città, piena di grattacieli, proiettata nel futuro. E cosi che cominciai a pensare a Metropolis.
Metropolis accrebbe la sua reputazione, sia in Germania sia all’estero.  Nonostante la lavorazione di questo film mi avesse particolarmente entusiasmato, il risultato mi deluse molto. Quando guardai il film dopo averlo ultimato, pensai che non sarebbe mai stato possibile modificare l’assetto sociale di un paese con un messaggio di questo tipo Il cuore deve essere il mediatore tra la testa (il capitale) e le mani (il lavoro). Ero del tutto convinto che non si sarebbero potute risolvere le contraddizioni sociali con un messaggio simile. Molti anni dopo, negli anni ‘50, un industriale scrisse sul Washington Post, di aver aderito in pieno alla teoria del cuore come  mediatore. Ma, questo non valse a farmi cambiare idea in proposito.


 Ancora oggi i giovani lo considerano un film molto impegnato.


Negli ultimi anni della mia vita, ho cercato di stabilire un punto di contatto con i giovani, per riuscire a capirne le idee. Tutti, senza distinzione, odiano il sistema, e quando ho provato a chiedere cosa li disgustasse maggiormente nella società computerizzata, mi hanno risposto che non ha un cuore. Adesso mi chiedo se Mrs von Harbou non fosse completamente in errore, quando scrisse quella frase per Metropolis, mezzo secolo fa. Personalmente sono ancora convinto che l’idea sia troppo idealistica. Come può un uomo che possiede tutto capire le esigenze di un uomo che non ha niente?

Credo che Stanley Kubrick le abbia reso omaggio intitolando il suo film del ‘68 2001, visto che Metropolis era ambientato nel2000.


 Penso che non n’avesse bisogno, dal momento che non ho mai fatto cenno ad un anno preciso nel mio film. In ogni caso, un’altra scena del film che non mi è assolutamente piaciuta, è quella in cui l’operaio deve muovere continuamente le lancette di quell’enorme quadrante. Ho pensato di aver dato un’immagine troppo stupida e semplicistica di un uomo che lavora in una disumanizzante società meccanizzata. Alcuni anni dopo, guardando la televisione, vidi gli astronauti, seduti nel loro abitacolo, lavorare freneticamente con i quadranti, proprio come l’operaio del mio. E’ una cosa sorprendente!


Frau im Mond, il suo ultimo film muto, era una storia di fantascienza.  
 
I miei consulenti tecnici per questo film, furono Willy Ley, morto ormai da diverso tempo, e il professor Oberth, che poi aderì alla causa nazista. Ley, tra parentesi, si specializzò in missilistica negli Stati Uniti. Mi è stato detto da molte persone che hanno assistito al primo sbarco sulla luna, che io l’ho anticipato, mostrandolo nello stesso modo (la prima parte del film mostrava il lancio di una missione spaziale e il suo atterraggio sulla luna).
 
LANG E IL SONORO
 
Frau im Mond, venne realizzato proprio agli albori del sonoro.

 Quando ne terminai la realizzazione, l’Ufa avrebbe preteso che ne sonorizzassi una parte — gli effetti sonori del lancio del missile per esempio. Uno dei loro amministratori era stato a New York ed era rimasto affascinato dal primo film sonoro. Io, d’altra parte ero certo che la sonorizzazione ne avrebbe distrutto lo stile. Davanti alla minaccia dell’Ufa, di rompere il contratto, il mio avvocato mi consigliò di rispettare tutti gli obblighi che avevo verso la federazione, per non rischiare di perdere la vertenza. Questa storia continuò per sette mesi, e alla fine fui costretto a rinunciare, in favore dell’Ufa, alla mia attrice principale, ai miei tre architetti, e a molte altre persone ancora. Ero veramente disgustato dai produttori cinematografici, e volevo diventare un chimico. Proprio allora un produttore indipendente dall’Ufa, che tra l’altro non godeva di un’ottima reputazione, mi venne a trovare chiedendomi di fare un film per lui. All’inizio rifiutai recisamente, poi decisi di proporgli una cosa, e gli dissi: Io m’impegno a fare un film ma ad una condizione: che lei mi dia i soldi e mi prometta di rimanere estraneo a tutto il resto. Ciò significa che deve rinunciare al diritto di impormi delle modifiche di qualsiasi genere; il film deve essere finito e presentato al pubblico così come l’ho realizzato io

Il film in questione fu M.

 
M (l939), fu il suo primo film sonoro, e alcuni pensano che sia il suo capolavoro.


E' molto difficile per me stabilire quale sia il mio film migliore, comunque M. mi è piaciuto. Scoprii Peter Lorre, un attore che prima di venire a Berlino, dove lo incontrai per la prima volta, aveva lavorato per il teatro di improvvisazione. Lo scelsi per il ruolo chiave del mio film, quello del maniaco omicida. Fu la sua prima esperieriza con il mondo della celluloide.

E stato un problema lavorare con lui?



 L’unico vero problema che ho avuto con lui, è stato quello di lottare contro la sua ostinazione di non saper fischiare. In generale, mi importa molto poco della musica in un film, e, a conferma di ciò posso dirle che ho sempre ritenuto il sottofondo musicale in una scena d’amore, un grosso inganno. Ma il sinistro fischiettare dell’assassino in M era essenziale, per il semplice fatto che avrebbe aiutato ad evidenziare l’oscura indole dell’omicida.
Non riuscii a spuntarla, così si offrì mia moglie per fischiare al posto di Lorre, ma non mi sembrò adatta. Poi anche il montatore si propose gentilmente, ma non andava bene neanche lui. Così decisi di doppiarlo io, pur essendo completamente negato per la musica, al punto da non poter intonare un qualsiasi accordo. Il risultato fu a dir poco abominevole ma risultò proprio quello che volevo, visto che l’assassino doveva essere uno squilibrato. Devo proprio considerarlo un caso fortunato. Come vedete, non mi attribuisco il merito di tutto ciò che risulta azzeccato nei miei film!

 
SCENEGGIATURA E REGIA

 
Quale era la sua routine quotidiana quando girava?


Alla fine della giornata, verso le sei del pomeriggio, davo un’occhiata ai giornalieri delle riprese del giorno precedente. Verso le otto tornavo a casa per cenare, dopodiché mi sedevo alla mia scrivania per dedicarmi allo studio delle scene del giorno successivo. Quando hai una scena di sette pagine da dirigere, prendi il copione e risolvi le posizioni della macchina da presa, bloccandola sulla sezione del set che hai davanti. Poi devi decidere quante riprese dovrai fare da ciascun angolo di ripresa, e ne predisponi la ripresa complessiva, prima di passare ad una diversa collocazione della macchina, questo perché l’illuminazione deve essere regolata ad ogni spostamento dell’angolo di ripresa. Il giorno seguente provavo gli attori, fino alla saturazione, poi iniziavo le riprese. Le due ore che generalmente dedicavo quotidianamente a questo tipo di preparazione, mi risparmiavano due ore sul set il giorno successivo e, complessivamente mi avvantaggiavo di una settimana, e più, sulla tabella di marcia.
 
 
“FURY”


I produttori dovrebbero esserle grati per questo. Come mai qualche volta le hanno creato delle dfflcoltà? Per esempio, Joseph Mankiewicz- il produttore del suo primo film in America, Fury (1936) - in una recente intervista ha detto che convinse Louis B. Mayer a farle dirigere il film, ma che non andavate d’accordo. Sono certo che vorra aggiungere qualcosa a questa storia.



 Mi chiedo talvolta, a cosa possa servire il rivangare questi vecchi episodi. Tuttavia è sempre un bene che i fatti siano narrati nella loro completezza. Tanto per cominciare, ero fondatore della Screen Directors’ Guild, (associazione dei registi) e per questa ragione venivo considerato una pecora nera dai dirigenti alla Mayer. Per quanto riguarda Fury, Mr. Mankiewicz giunse tardi al progetto. Ero io, come le ho già detto poco fa, che avevo scelto il soggetto e lavorato sul copione. Poi durante il corso delle riprese, lui ne divenne il produttore, con il risultato che incontrai una grande assenza di cooperazione durante tutta la lavorazione. Un pomeriggio, prima di tornare a casa, avevo controllato un nuovo set, e il mattino seguente lo ritrovai completamente smantellato, perché a quanto pare qualcuno dello studio, aveva avuto bisogno di parte del mio scenario. Se avevo bisogno di una macchina a quattro porte, me ne davano una a due, o viceversa. Alla fine, dopo aver terminato di girare il film, Mr. Mankiewicz volle che cambiassimo il finale. Ve lo immaginate Spencer Tracy, dopo aver concluso il suo entusiasmante discorso al giudice, girarsi improvvisamente dall’altra parte per abbracciare la sua ragazza? Comunque la spuntò Mankiewicz.

Come fu accolto Fury dalpubblico? Benché all’MGM la considerassero una pecora nera, si comportarono correttamente nei confronti del suo film?

Allo studio erano sicuri che Fury  si sarebbe rivelato un fiasco, tanto che, quando Mr. Wilkerson, l’editore di Hollywood Reporter, chiese ad un amministratore dello studio se I’MGM avesse nuovi film di interesse, questi gli rispose di no. Mr. Wilkerson cercò di persuadere quel dirigente affinché lo lasciasse assistere all’anteprima di Fury , e l’altro rispose - Non vale la pena di vederlo, è un film orribile, e tutto per colpa di quel figlio di puttana di tedesco con il monocolo, Fritz Lang. Vieni a giocare a poker, piuttosto . Ma Wilkerson, conoscendo la mia fama in Europa, volle vedere a tutti i costi il film, Finita la proiezione, fu chiaro che il film era stato un successo, e Mr. Mankiewicz volle sincerarsene sondando l’opinione di tutti i conoscenti che incontrò nell’atrio del cinema. Dopo la presentazione, andai a cena con Marlene Dietrich, al ristorante Brown Derby, e Mr. Mankiewicz ci raggiunse un po’ più tardi. Mi comportai in modo stupido quando lo vidi: mi rifiutai di stningergli la mano.

La infastidisce se un produttore con il quale ha lavorato, faccia in una intervista, dei commenti poco gentili  sul suo conto?

 Succede spesso, ma un mio amico mi ha fatto notare che non si può lavorare a lungo nel mondo degli affari, senza crearsi dei nemici. Quello che viene detto e scritto oggi sul tuo conto, verrà probabilmente dimenticato domani dalla maggioranza dei lettori; non è il caso di farne problemi. Del resto ho spesso ricevuto dei riconoscimenti al mio lavoro, e questo mi permette di dimenticare più facilmente i lati spiacevoli.

 
WESTERN E THRILLER


 
Uno dei suoi più grandi riconoscimenti le derivò dalla capacità, inaspettata in un regista europeo, di aver catturato il sapore autentico del vecchioWest, in un film come Western Union
(1941)


 La risposta è semplice. Non ho mai creduto per un solo istante, che il vecchio West ritratto nella maggior parte dei film, fosse mai esistito. La leggenda del West, non è altro che la controparte americana del mito germanico, che ho rappresentato nel Die Niebelungen. Penso, dunque che un regista, qualunque sia la sua nazionalità, possa dar vita sullo schermo ad una leggenda come quella del West. Ciò che probabilmente ha impressionato quei gentiluomini che mi hanno inviato parole di approvazione, suppongo sia stato quel piccolo tocco di realismo che ho usato nel film Western Union. Così come, quando Randy Scott accarezza la groppa del suo cavallo per tranquillizzarlo, o quando sempre Scott, prima di prender parte ad una sparatoria, piega le sue dita cicatrizzate da una bruciatura, per controllare se siano a posto. Questo è il tipo di cose che fanno veramente i cow-boys.


 
Durante la  seconda guerra mondiale lei ha fatto diversi film antinazisti, come Man Hunt (1941) e The Ministry of fear (1943), l’ultimo basato su un romanzo di Grahan, Greene. Greene mi ha detto che fu molto contrariato nel constatare che la dimensione psicologica del suo romanzo risultasse così poco evidenziata nei film. Cosa le parve del copione?



Ho sempre stimato Graham Greene, e quando tornai a Hollywood da New York dove avevo firmato il contratto e letto la sceneggiatura, cercai di fare il possibile per non fare quel film, ma la Paramount non volle annullare il contratto. Questa fu una di quelle volte in cui il mio agente non fu capace di stilare nel contratto quella famosa clausola che mi permettesse di lavorare sulla sceneggiatura.

 Oltre ai film di guerra, ha fatto anche qualche thriller negil anni quaranta, come Woman in the Window (1944). Il soggetto di quest’ultimo fu opera sua.


La storia, in origine, parlava di un uomo solo, un professore (Edward G. Robinson) che conosce una ragazza attraente, e va a casa sua. Non ha nessuna relazione con lei, infattì non avrebbe neanche potuto considerare questa possibilità. Improvvisamente, il suo fidanzato la viene a trovare, e si scaglia contro il professore, il quale nel tentativo di difendersi, lo uccide con un paio di forbici. A questo punto, trattandosi di uo omicidio involontario, qualsiasi spettatore avrebbe desiderato che se la cavasse. Poi, un altro tipo (Dan Duryea) cerca di ricattarlo, e il professore uccide anche lui, per poi alla fine togliersi la vita. Personalmente credo che nessun pubblico avrebbe mai potuto giudicare meritevole un film nel quale un uomo uccide due persone e poi si suicida, e tutto perché ha commesso l’errore di andare a casa di una donna. E a questo punto, dopo che lui ha ingerito il veleno, che ho deciso di farlo svegliare sulla sedia del suo club. Appena lasciato il circolo, rivede nel guardarobiere il ricattatore del suo sogno, e identifica il portiere con l’uomo che aveva ucciso nell’appartamento della ragazza. Poi mentre sta guardando il ritratto di una donna, in piedi davanti ad una vetrina di un negozio, ecco spuntare un’altra ragazza, che gli chiede di accompagnarla a casa, proprio come Joan Bennett aveva fatto all’inizio del film. Robinson è terrorizzato, e scappa gridando:Mai più nella tua vita . Così ho potuto terminano in una salutare risata, piuttosto che concludere con una macabra storia con tre morti.

 
“SCARLETT STREET”


 
In Scarlet Street, ha utilizzato lo stesso trio i attori che in Woman in the Window: Joan Bennett, Edward G. Robinson, e Dan Dueyea. Ha avuto dei problemi con la censura, visto che Duryea, raggirato da Robinson, è condannato alla sedia per l’uccisione di lei, quando il vero colpevole è Robinson?

Allo studio erano molto preoccupati, proprio per questo motivo, ma gli feci osservare che la punizione peggiore, per Robinson, fosse quella di vivere con il suo ri morso piuttosto che essere condannato alla galera. Alla fine del film, è un uomo trascinato dalle furie: un finale ingegnoso. Ciò che è abbastanza curioso, è il fatto che nessun critico abbia disapprovato la condanna alla sedia elettrica di un uomo innocente. La ragione per la quale nessuno abbia avuto niente da ridire, non deriva dalla consapevolezza nello spettatore che la sua morte sia giustificata da altri crimini, di cui si è reso colpevole, ma bensì dalla antipatia che ha suscitato il personaggio. Se così è, c’è da chiedersi se la morale del cinefilo medio si sia corrosa con gli anni.

Perché Scarlet Street è il suo film americano preferito?


 
A dire il vero non potrei spiegarne la ragione, così come non potrei dire perché prima avessi una preferenza per M. In un cert qual modo un film, raggiunge lo scopo quando c’è il tocco giusto, e riesce proprio come speravo che riuscisse. Ciò è molto difficile quando vengono posti dei limiti alla propria libertà creativa


IL MACCARTISMO


 
Lavorando in America, il suo più grande ostacolo, l’ha incontrato all’epoca del senatore Joe McCarthy, e della commissione Attività antiamericane , quando il suo nome venne inserito nella cosiddetta  lista nera .

E’ vero, facevo parte della lista nera, ma non sono mai stato iscritto al partito comunista, benché avessi molti amici che ne facessero parte. Qualcuno dell’American Legion, andò all’ufficio esecutivo delI’MGM, e riferì queste parole : Non abbiamo prove che Lang sia comunista, ma ha molti amici che lo sono. Vi consigliamo di indagare sul suo conto prima di fargli fare un altro film . L’ufficio esecutivo, non è un agenzia di investigazioni, così risposero. Risolsero il problema non facendomi  più lavorare. Per più di un anno e non fui capace di trovare un lavoro. Poi, un giorno, l’amministratore delegato della Columbia, Harry Cohn, mi disse: C’è qualcosa di vero in quanto hanno insinuato sul tuo conto? Voglio dire sei.. . un rosso? . Ti dò la mia parola d’onore, che non lo sono, gli risposi. Con l’aiuto di Cohn riuscii ad ottenere un’offerta da un produttore indipendente, per fare The Blue gardenia (1952). In seguito Cohn mi chiese di fare The Big Heat (1953) per la Columbia.


 
IL BENE E IL MALE


 
E’ stato detto che i suoi film spesso si occnpano della natura dualistica dell’essere umano, la perenne lotta tra il bene e il male. Sembra che ciò, sia stato magistralmente rivelato in The Big Heat. Nel suo film, il volto di Gloria Grahame, viene permanentemente sfigurato da Lee Marvin, che le getta del caffe bollente in viso.



Sapevo benissimo, già allora, che si può gettare del caffè a qualcuno senza lasciare la minima cicatrice. Così, prima che Marvin afferrasse il pentolino, ho voluto riprendere il caffè che bolliva sul fornello. Questo espediente ha reso più credibile il fatto.

Spesso mi sono chiesto, se il motivo che l’ha portato afare White the city sleeps, sia stato quello di occuparsi di un maniaco omicida, come in M.


White the city sleeps era basato su un vero caso di omicidio, avvenuto a Chicago. Lessi sui giornali che l’assassino aveva scritto su uno specchio:  Prendetemi prima che possa uccidere ancora . Da questa storia trassi spunto per il film
Il suo ultimo film americano, prima che ritornasse in visita nel suo paese fu Beyond a reasonable déubt (1956). C’è qualche connessione tra questo ultimo film e M, in termini di critica contro la pena capitale?

Il tema dell’ultimo film he ho girato in America è questo: non tutti quelli che sbagliano si considerano o sono considerati dalla società come criminali. In Beyond a easonable doubt, c’è una donna, che scopre accidentalmente che il suo uomo ha ucciso la sua prima amante, ma non lo denuncia prima di essersi innamorata di qualcun altro. Come lo definireste un simile comportamento? Per concludere, vorrei dire che non amo soffermasmi sulle implicazioni tematiche dei miei film, spiegarne il senso insomma. Spesso hanno un significato molto personale, e come certamente saprà, non ho mai rilasciato una intervista sulla mia vita privata Quello che dovevo dire, l’ho già detto nei miei film, ed essi parlano da soli.


 
Intervista di Gene D.Philips apparsa su Focus on film nella primavera de 1975, tradotta da Cult Movie

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