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A proposito di Stanley: intervista a Jack Nicholson
di Utente rimosso (mike patton) ultimo aggiornamento
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A proposito di Stanley: intervista a Jack Nicholson

Il suo rapporto con Kubrick è durato quasi tre decenni, poiché era stato contattato una prima volta per il suo progetto Napoleon, all’inizio degli anni Settanta.

L’avevo conosciuto un po’ quando viveva ancora a Los Angeles. Ma, in effetti, è stata la prima volta che ho veramente parlato con lui, e in seguito siamo stati spesso in contatto. Mi ha telefonato e mi ha descritto il suo progetto del Napoleon da girare con attori britannici che dovevano usare una via di mezzo tra l’accento inglese e quello americano, il cosiddetto mid atlantic. Si era un ferito alla gamba o al braccio e, a letto per una settimana, aveva visionato dei film, tra i quali Easy Rider. Si aveva pensato a me per il ruolo di Napoleone, pronto a rivedere il problema dell’accento se l’idea m’interessava. Naturalmente gli ho risposto di sì. Allora mi ha chiesto di registrare un brano al magnetofono per sentire la mia voce vera, visto che in Easy Rider usavo un forte: accento meridionale. Dopo quella conversazione, ha cominciato a cercare i finanziamenti, assai difficili da reperire, senza che io ne fossi davvero convinto  e ha finito con lo abbandonare il progetto prima di trasferire diverse idee, credo, in Barry Lyndon.

Aveva avuto una sceneggiatura del film e aveva fatto ricerche per quel ruolo?
 
Non ho mai visto una sceneggiatura e aspettavo sue notizie. Né mi sono preparato per quel ruolo. Solo più avanti ho fatto molte ricerche, per un’intera estate, leggendo una trentina di volumi sull’argomento e prendendo appunti per una sceneggiatura, dato che avevo acquisito i diritti di The Murder of Napoleon, che volevo dirigere. Siamo rimasti in contatto in seguito. Quando passavo per Londra gli telefonavo, e ogni tanto pranzavamo insieme, oppure c’incontravamo al mio albergo. Lui adorava soprattutto telefonare in America, era il suo modo per restare in contatto con un sacco di gente. Aveva anche molte videocassette, in particolare di avvenimenti sportivi, che gli inviavano dagli Stati Uniti. Parlavamo molto boxe e seguivamo ambedue il processo di O.J. Simpson. Prima che il processo iniziasse, Kubrick aveva l’impressione che la corruzione aleggiasse nell’aria, e che di conseguenza O.J. Simpson non sarebbe mai stato condannato. Fin dai tempi del suo cortometraggio Day of the Fight aveva dimostrato un grande interesse per la boxe e per lo sport in genere. D’altra parte, ogni tanto m’inviava una registrazione che aveva fatto da qualche canale europeo, un film, una serie della BBC che non potevo procurarmi negli Stati Uniti, qualcosa con Brigitte Bardot magari The Singing Detective.

Anche lei è un regista. Sotto questo profilo, qual è stato secondo lei il contributo di Kubrick al cinema?


Per me, Stanley è l’Unico. Sono stato incaricato io di ricevere in sua assenza il premio D.W. Griffith che la Directors Guild gli ha assegnato. Un giorno ho letto le critiche che avevano scritto su 2001; lui è stato sicuramente sottovalutato, per lo meno a ogni nuova uscita di un suo film! In seguito ci sono state spesso delle revisioni di giudizio. L’ho sempre considerato esasperante e interessante: quest’uomo, con la grossa reputazione che aveva per la sua maestria espressiva, a ogni nuova opera veniva frainteso e mal interpretato. Mi sono sempre chiesto il perché. In effetti, un’unica volta si è meritato commenti unanimemente positivi, per il suo film antimilitarista Orizzonti di gloria. Non ho mai capito perché la gente dell’ambiente del cinema non lo considerasse il numero uno.

Quando l’ha diretto lei, aveva appena girato il suo primo film come regista, Verso il Sud. Che cosa l’ha colpito nel suo metodo di lavoro?

Infatti, ho doppiato Verso il Sud in Gran Bretagna, dall’altro lato della strada dove stavano preparando le riprese di Shining. Continuavo a lavorarci mentre ero stato ingaggiato per il suo film e, a causa della vicinanza, lui è stato in pratica il mio primo spettatore. Come faceva nei confronti della maggior parte dei registi, si è mostrato favorevole al film, lo trovava buono e divertente nello stesso tempo. Ho sentito Spielberg dire che Kubrick riteneva buono 1941, ma non divertente! Ricordo certe cose che Stanley mi ha detto, e che mi hanno colpito molto. Abbiamo provato per un certo periodo prima d’iniziare a girare. Leggevamo la sceneggiatura punto per punto, così siamo giunti alla battuta «Jack non scrive». Kubrick mi ha detto: «Allora cosa fa? E certo comunque che non va a strappare i fogli dalla macchina per scrivere, a spiegazzarli, a gettarli per terra e ad asciugarsi la fronte! ». Ma ecco quello che mi ha stupito; ha aggiunto: «Sai, in un certo senso tutte le scene al cinema sono già state realizzate. Il nostro compito sarà semplicemente quello di realizzarle un po’ meglio. Un’altra cosa che mi ha impressionato: non ordinava piani scenografici né partiture musicali, ma semplicemente passava in rivista volumi o riviste di architettura per trovare il genere di ambientazioni che voleva, ascoltava senza sosta delle musiche finché non scopriva quelle che riteneva adatte o che lo stimolavano. Mi diceva: "Come puoi pensare che in pochi mesi o in poche settimane io possa inventare degli ambienti o dei brani musicali superiori a tutte le architetture e a tutte le composizioni musicali che ci hanno preceduto? ». L’idea era quella di trovare ciò che gli conveniva e di lavorare a partire da lì. Ecco alcuni dei concetti di Stanley che trovavo affascinanti.

Per prepararsi a interpretare Jack, le ha suggerito delle letture o le ha dato indicazioni sul personaggio?

Anzitutto abbiamo parlato di ciò che ci interessava nel romanzo. Da tempo avevamo desiderato fare qualcosa insieme. Avevamo ricevuto ambedue il romanzo di King e pensavamo che contenesse un grosso potenziale per un film. Poi Stanley ha scritto una sceneggiatura, eravamo d’accordo sui cambiamenti da apportare al romanzo. Ero in conflitto con lui su un punto: aveva eliminato l’elemento sessuale, un aspetto sul quale contavo perché permetteva una gamma maggiore di espressioni al mio personaggio nei rapporti con la moglie. Pensavo che sarebbe stato incredibilmente terrificante. Stanley mi ha risposto: «Sì, ma sarebbe troppo terrificante». Voleva rimanere all’interno di quello stesso territorio. C’erano due poli:
una storia di omicidio sanguinario e un commento sul soprannaturale.Secondo lui, per mantenere viva l’idea del soprannaturale bisognava che gli omicidi fossero meno sinistri di quanto avrebbero potuto essere. Ero deluso, però ero certamente d’accordo con lui. Sono stato sorpreso anche dal fatto che abbia scelto Shelley Duvall; ma mi ha spiegato che aveva una duplice funzione, essendo sia attraente che irritante quando apriva bocca. Secondo lui, il pubblico doveva avere un motivo per credere che quel tipo volesse perseguitare e terrorizzare sua moglie!

La sua interpretazione è molto fisica, per esempio nella scena in cui attraversa il corridoio prima di entrare nel bar C’era una parte d’improvvisazione?

Stanley non capiva cosa volesse dire esattamente «Here’s Johnny!» [ «Ecco Johnny!’>], perché non aveva seguito regolarmente la televisione americana [si tratta di un riferimento alla battuta introduttiva dello Johnny Canon Show]. Era scritta nella sceneggiatura di Diane Johnson. Vi abbiamo improvvisato attorno «I tre porcellini» e «Honey, im home» [ «Cara, eccomi a casa»]. Nello stesso tempo, Kubrick era ultrapreciso, voleva che si rispettasse ogni parola. Una volta ottenuto il testo voluto bisognava rimanergli fedeli totalmente perché, come in tutte le cose, era meticoloso. Provavamo ogni scena la sera prima delle riprese. In effetti, per me si è trattato di un’esperienza molto fisica, in particolare nel labirinto. Avevo in mente un’immagine specifica per quella sequenza, e ne ho parlato a Stanley al quale è piaciuta: quando ero bambino, avevo un congegno con dentro un orso con un raggio luminoso, e bisognava colpirlo con una carabina. Quando si colpiva, l’orso si alzava e ruggiva, e se si continuava a prenderlo di mira, si girava su se stesso ed emetteva suoni orrendi. Mi ha ispirato per le espressioni del viso. Per quanto riguarda il mio zoppicare, non ricordo se sia stata un’idea mia o sua, ma ho pensato a Charles Laughton che correva in Notre-Dame.
Stanley era anche assai preciso sulle composizioni simmetriche dell’hotel. Ricordo una scena in cui uscivo da una stanza dopo aver visto una donna morta. In quel caso davvero non c’era un modo giusto per uscire. Abbiamo dovuto concepire una specie di coreografia per farmi uscire dalla porta e poi camminare nel corridoio. Ho cercato di correre, ma sembrava comico. Però se Jack rimaneva pietrificato dalla paura, ci sarebbe voluto troppo tempo, quindi abbiamo dovuto trovare una soluzione intermedia che si avvicinava ai movimenti di un ballerino. Naturalmente, tutto quanto doveva essere perfetto a livello fotografico: occorreva che vi fosse nello stesso tempo il raggio X sul naso e che i quattro angoli della stanza fossero inquadrati. Kubrick era sempre assai preciso graficamente.

La tecnica gli è sempre piaciuta, così come gli attori.
Come trovava un equilibrio, in particolare in Shinin
g. Dove utilizzava per la prima volta la Steadicam?

Probabilmente da quella duplice attrazione è nato il suo desiderio di girare un’infinità di ciak. Stanley era famoso per il suo desiderio che le cose fossero vere, ma preferiva che fossero interessanti. La cosa meravigliosa quando si recita con lui, se vi piace il suo metodo, come nel caso mio, sta nel fatto che ci si sente molto meno sotto pressione, perché non smette mai fino a quando non ottiene esattamente ciò che vuole.

La moltiplicazione dei ciak,non creava problemi al bambino Danny Lloyd, dato che si potrebbe credere che era più fresco e spontaneo nei primi ciak?

Non ho girato tante scene con Danny. In quelle con lui, lo vedevo come un astronauta rispetto agli altri bambini. I suoi genitori avevano letto un annuncio sui giornali e, pur abitando nel Middle West, Danny non era mai stato a Chicago nel momento in cui ha ottenuto il ruolo. Quando era insieme agli altri bambini, a scuola, in Inghilterra, sembrava che appartenesse a un’altra fascia d’età. Stanley l’aveva scelto in mezzo a un gran numero di bambini, credo si fosse reso conto che avrebbe potuto dirigerlo senza andare incontro ai soliti problemi dei bambini che recitano. Funzionava davvero come tutti quanti noi. Scatman Crothers invece aveva grosse difficoltà. L’avevo raccomandato io a Stanley per il ruolo di Halloran, ma l’avevo avvertito che aveva difficoltà a memorizzare i dialoghi. Pur avendo dovuto fare con lui un gran numero di ciak, a causa di quel difetto, Stanley non si è mai sognato di sostituirlo.

Shining non è solo un film del terrore, tratta anche della  cellula famigliare.

Sì, una famiglia che vive in un luogo chiuso. Sono certo cheil soggetto avesse molte risonanze particolari per Kubrick, dato il modo in cui aveva scelto di vivere la propria vita privata. Ma certo, contrariamente al personaggio, lui era un padre e un marito affettuoso, all’interno quell‘isolamento.

 E’ anche un film comico.

Stanley non è unico da questo punto di vista ma, per quanto serio fosse il soggetto, voleva sempre che il nostro senso ironico rimanesse sveglio. Ne aveva buona dose stesso. Basta pensare alla scena in cui Timothy Carey parla a uno scarafaggio in Orizzonti di gloria. Tutti i suoi film hanno una vena ironica, e la gente ha potuto finalmente vedere in televisione Lolita per quello che era. In ciò come in altre cose andavo facilmente d’accordo con lui e mi sono divertito molto a lavorare su quel film. Ogni tanto la quantità di sforzi da compiere mi faceva impazzire, ma è stato davvero un momento della vita che andava a genio. Avevo appena diretto il mio primo film e mi ritrovavo a lavorare con il massimo dei registi. Ogni giorno era terrificante e affascinante al tempo stesso. Ricordo il momento in cui abbiamo discusso per caprie a cosa dovesse assomigliare la donna che esce dalla vasca da bagno. Stanley mi ha preso in disparte. Aveva una cartella marrone piena di foto di vittime di incidenti. Mi ha chiesto di non dirlo a nessuno, perché erano foto davvero orripilanti. Una volta di più, aveva fatto ricerche!
Tutto nel suo modo di lavorare era stimolante, da parte mia non mi preoccupavo del numero dei ciak. Mi preoccupavo invece di non riuscire a ottenere quella perfezione che lui riusciva a ottenere. Mi andava bene, perché sono in grado di recitare in maniera molto tecnica, seguendo appunto la sua volontà. Per esempio, quando Jack si risveglia dall’incubo, c’erano diciotto segni sotto il tavolo che dovevo seguire, muovendomi. Avrebbe potuto rendere furiosi certi attori, ma a me piaceva, era una specie di sfida a praticare una gamma vastissima d’interazioni. E poi c’era il piacere di sedersi accanto a lui sul set e di parlare di tutti gli argomenti immaginabili, mi ha spinto anche a imparare giocare a scacchi, ma sotto quel profilo deve essere rimasto deluso. Non mi sono mai dedicato a quel gioco, perché lui era troppo forte!

In quel momento lei stava attraversando una grossa crisi affettiva. Le è stata utile per il suo lavoro?
 
C’era una scena difficile per me, quella in cui batto a macchina, un momento-chiave per il personaggio. Mentre stavo divorziando da mia moglie, scrivevo di notte e recitavo di giorno. Quando ho interpretato quella scena, ricordavo le dispute coniugali in cui mia moglie e io ci affrontavamo urlando, e me ne sono servito per la mia interpretazione. In tal senso, vi è sempre una poetica autobiografica, per gli attori così come per i registi. E beninteso, la filastrocca «All work and no play makes Jack a dull boy» («Lavorare senza divertirsi rende Jack un ragazzo triste»), che non esiste nel romanzo, ha echi particolarmente terrificanti. Pur trattandosi dopotutto solo di parole scritte su un foglio, è una delle cose più avvincenti del film sotto il profilo cinematografico.

Qual era il clima sul set? Kubrick era teso o rilassato?

Questo e quello, in realtà. Anzitutto era durissimo con i tecnici. Arrivava persino a licenziarli, ciò bastava a renderli attenti! Era anche ben cosciente del costo di ogni cosa, sorvegliava le spese e cercava di ottenere il massimo da tutti. Nello stesso tempo adorava punzecchiare. Era un tipo formidabile, e la sua è una perdita immensa. Non riesco a credere che non ci sia più.

Stava un po’ con lui fuori dal set?

Non proprio. Gli sarebbe piaciuto che abitassi vicino a lui, ma io volevo vivere a Londra. Quindi avevamo poche occasioni per ritrovarci la sera, ma lui voleva sempre avere un rapporto completo su quello che avevamo fatto la sera prima! Faceva domande a Shelley Duvall sulla sua vita sessuale e su tutto quanto le accadeva!

Come interpretava la sua ossessione di voler tenere tutto sotto controllo?

Si finiva con l’imparare che il mestiere del regista voleva dire avere delle grane quando non si era li. A Stanley piaceva prevedere tutto, e pensava a quello che non avrebbe funzionato. Da scacchista qual era, voleva prevedere le mosse della partita, ma era cosciente come tutti quanti noi che era una cosa impossibile. Durante la lavorazione di Barry Lyndon, ha cercato di fare delle economie sui trasporti e ha acquistato Ùn gran numero di camioncini Volkswagen, ma poi glieli hanno rubati! Non si può mai vincere, in realtà, anche se lui ha vinto più di tanti altri.

Intervista a Jack Nicholson tratta da "Kubrick" di Michel Ciment, rizzoli editore 1999

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