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IN MEMORIA DI MARIO MONICELLI UN INTERVENTO DI ANGELO PASQUINI SU "AlfaBeta2" Numero 04
di Utente rimosso (Marcello Del Cam ultimo aggiornamento
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IN MEMORIA DI MARIO MONICELLI UN INTERVENTO DI ANGELO PASQUINI SU "AlfaBeta2" Numero 04

Il migliore modo per ricordare il grande Mario Monicelli è di riportare integralmente un intervento di Angelo Pasquini sulla scomparsa in Italia del cinema satirico del quale il regista scomparso è stato uno dei massimi rappresentanti.
Non ho parole mie, quelle che seguono sono di uno un giornalista e sceneggiatore, fondatore delle riviste satiriche Zut e Il Male, di cui è stato anche vicedirettore, dalla fine degli anni ottanta si è completamente dedicato all'attività di sceneggiatore cinematografico e televisivo, arrivando anche alla regia con il dramma carcerario Santo Stefano (1997), presentato alla Mostra del Cinema di Venezia.
Pasquini insegna Teoria e tecnica della sceneggiatura presso la facoltà di lettere e filosofia della Sapienza e tiene un laboratorio di sceneggiatura all'università di Padova.
Ha collaborato alla scrittura del film Vallanzasca di Michele Placido, ma a lavoro terminato ha ritirato la firma dalla
sceneggiatura insieme ad Andrea Purgatori, dicendosi contrariato dal risultato qualitativo. 
Tra i suoi film: Domani accadrà, 1988, Il Portaborse, 1991,   Un eroe borghese, 1995, La terra, 2006. (notizie tratte da wikipedia)

CINERIMOZIONE

 
CINEMA SATIRICO NEGLI ANNI SESSANTA/SETTANTA
 
Rivedendo vecchi film degli anni Sessanta o Settanta, si resta colpiti da come gli autori avessero una visione satirica della realtà italiana. Le istituzioni, la politica, la gerarchia ecclesiastica, il mondo dell’imprenditoria e della finanza, il perbenismo imperante nella famiglia e nella scuola, la corruzione, la mafia, il mondo della cultura e della televisione, magistrati, poliziotti e carabinieri, erano tutti indistintamente bersagli di una satira feroce. L’Italia e il carattere italiano venivano impietosamente messi a nudo. Era una satira straordinariamente libera ed efficace.
 
TRE ECCEZIONI ALLA “RIMOZIONE”
 
E invece, dagli anni Novanta a oggi, solo tre film hanno affrontato direttamente con taglio satirico il tema della politica italiana. Sono Il portaborse di Daniele Luchetti (del quale scrissi vent’anni là il soggetto con Franco Bernini), Il caimano di Nanni Moretti e recentemente Il divo di Paolo Sorrentino. Nessuno di questi film ha avuto il sostegno finanziario di una grande distribuzione nazionale, né della televisione. Tutti hanno dovuto ricorrere a capitali stranieri. Tutti hanno avuto un grande successo in Italia e all’estero. È evidente che il duopolio televisivo, che controlla gran parte della nostra cinematografia, non sopporta che il cinema si occupi dell’attualità politica italiana, nonostante l’interesse del pubblico nazionale e internazionale. E a tutt’oggi il film di Nanni Moretti è l’unico che abbia affrontato il fenomeno politico del berlusconismo.
 
LA RIMOZIONE DELLA STORIA
 
In pratica ci è venuto a mancare il racconto cinematografico degli ultimi venti anni di storia italiana, dalla caduta del Muro di Berlino a oggi. Tangentopoli e la fine della Prima Repubblica, la nascita di un nuovo partito che in pochi mesi diventa il primo partito italiano, la Lega, la fine del Partito comunista, l’intreccio tra televisione politica. Tutto quello che ha riempito per anni le pagine dei nostri giornali, che ha diviso e fatto discutere gli italiani, non è stato ritenuto da chi investe nel cinema argomento abbastanza interessante per farne dei film. Se, nel ventennio che comprende gli anni Sessanta e Settanta, i nostri autori, produttori, distributori, avessero avuto lo stesso tabù, perché di questo si tratta, mancherebbe all’appello una fetta importante della nostra storia del cinema. E diversi capolavori. E, se alla generazione precedente un giovane Nanni Moretti rimproverava come una colpa quella di essersi meritato Alberto Sordi, quel giudizio impietoso non andrebbe corretto alla luce di quanto avviene oggi? Perché le maschere della «commedia all’italiana» hanno comunque rappresentato per quasi un trentennio, con straordinaria efficacia agli inizi e via via sempre più stancamente attraverso lo specchio deformante della satira, l’immagine dell’italiano medio. Nelle sale cinematografiche si svolgeva una sorta di rito collettivo di grottesca confessione pubblica e la risata non era sempre consolante né del tutto liberatoria, mentre oggi, nel silenzio attuale della nostra commedia, i «nuovi mostri, i campioni del carattere nazionale, si pavoneggiano sui media, senza trovare sulla loro strada un Flaiano o un Sonego, un Risi o un Monicelli, un Sordi o un Tognazzi, che, attraverso la lente della satira, li riducano alla giusta dimensione del ridicolo.
 
LA POLITICA BERLUSCONIANA COME AUTOSATIRA INCONSCIA
 
D’altronde, è difficile rappresentare satiricamente il mondo politico quando è esso stesso a mettersi in scena in forma clownesca. È inutile - gridare «Il re è nudo!» quando è il re a tessere le lodi dei propri genitali in pubblico. La satira ha paradossalmente bisogno di uno stabile sistema di valori per poterli criticare. Mentre nel nostro mercato dei valori regna l’incertezza. Oscilla la comune distinzione tra bene e male, legale o illegale, costituzionale o incostituzionale. Sembra più importante distinguere tra popolare e impopolare, dilettevole o meno, tranquillizzante o inquietante. La politica fa leva sulla sempre maggior rilevanza che ha la parte «virtuale» della vita della gente rispetto a quella reale, e si impone essa stessa come protagonista dello spettacolo, anzi tende a essere sostanzialmente spettacolo Non a caso, una parte del nuovo ceto politico proviene dalla pubblicità, dal marketing, o direttamente dalla televisione, e si avvale di esperti che fanno un uso spregiudicato di tecniche comunicative sperimentate in quei settori. Il paradosso, il détournement, la parodia, la provocazione irriverente, il linguaggio basso e la gestualità scurrile, gli strumenti retorici della commedia e della satira, sono entrati a far parte dell’armamentario della propaganda politica, servono a bucare lo schermo, a fare notizia, a incassare un risultato d’ascolto. Insomma, quando la realtà politica si presenta in forma autoparodistica, è essa stessa a spianare la satira, piuttosto che il contrario.
 
CENSURA E AUTOCENSURA
 
 Per parlare di censura e autocensura nel cinema italiano bisogna in ogni caso partire dalla televisione, che ne è pur sempre il principale finanziatore. La televisione generalista ama sempre meno il cinema, da quando ha sperimentato che la fiction confezionata appositamente si adatta meglio essere intervallata dagli spazi pubblicitari, Dunque produce film, ma li usa e li sfrutta assai poco nella programmazione di maggior valore commerciale. Il cinema insomma finisce per essere il figliastro di un’industria che ha altrove il suo score-business. Siamo agli antipodi di quella felice stagione nella quale una Rai ancora vitale faceva esordire giovani cineasti come Gianni Amelio. Questa concentrazione oligopolistica e contro natura dì industria televisiva (generalista) e cinematografica è l’ennesima anomalia italiana consolidatasi negli ultimi quindici anni, con la scomparsa pressoché assoluta dei grandi produttori e distributori «puri», in grado cioè di sviluppare progetti cinematografici in autonomia, usando il contributo delle televisioni come risorsa accessoria. Autonomia e indipendenza, che per li cinema sono requisiti essenziali, non pare proprio siano a cuore dell’attuale governo, sia per evidenti conflitti di interesse, che per l’ostilità politica dei nordisti fobici verso questa industria dello spettacolo, colpevole di essere irrimediabilmente «romana».
 
CINEMA ETERODIRETTO
 
Questa eterodirezione del cinema, la sua dipendenza da centri di decisione legati alla politica, spiega in parte la mancanza di coraggio e di incisività, il disinteresse verso la sperimentazione, e al contrario l’omologazione verso il basso del prodotto medio. Non solo la politica, ma anche il sesso è poco frequentato dal nostro cinema. Eppure abbiamo alle spalle una tradizione consolidata sull’argomento: il cinema italiano, sia d’autore che di genere, almeno fino agli anni Ottanta, era universalmente noto anche per la trasgressività delle sue storie e la disinibizione delle sue messe in scena. Un cinema poco politico e poco sensuale, troppo timido e sorvegliato, non seduce e non conquista, non colpisce al cuore e non scandalizza. «L’amore - scriveva Truffaut - è il soggetto dei soggetti, particolarmente al cinema, dove l’aspetto carnale è indissociabile dai sentimenti». Anche se le cifre riferite agli incassi e al numero degli spettatori del cinema italiano sono abbastanza confortanti, la stagione produttiva che si apre vede una drastica riduzione dei film in lavorazione.
 
I TAGLI ALLA CULTURA
 
 La scelta del governo di far pagare al cinema, oltre che alle  altre forme di spettacolo e di cultura, il peso della crisi finanziaria si rispecchia nell’acquiescenza di una parte dell’opinione pubblica, che vede il cinema italiano come una sorta di industria residuale. Si percepisce a livello della gente comune una mancanza di senso di appartenenza, di orgoglio di amore per il cinema nazionale. E forse questo sentimento è ricambiato almeno in parre da chi il cinema lo fa.
Al contrario, la fiction televisiva gode, per dirla con il rnarketing, di una fidelizzazione massiccia, consolidatasi in un tempo relativamente breve, che le ha permesso di occupare il posto del cinema popolare di un tempo, sussumendo tutti i generi, dalla commedia al poliziesco, nell’unico supergenere della «melassa melò», spalmata uniformemente negli orari di punta.
 
GLI EROI DELLA FICTION TELEVISIVA
 
Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi (televisivi)! Da tempo in Italia il pubblico popolare ha smesso di identificarsi con gli eroi e le eroine del nostro cinema (anche se il nostro non è mai stato davvero un cinema di «eroi»). Si identifica invece con gli eroi delle fiction, dei reality, dei quiz; e della pubblicità televisiva, come il Presidente del Consiglio. Gli autori cinematografici ricambiano spesso questa indifferenza accentuando una presa di distanza dalla realtà, C’è qualcosa che li angoscia nell’Italia che non riescono a ritrarre e a raccontare. Scelgono nel passato le loro storie e i loro personaggi, come testimoniano molti film di successo della passata stagione.
 
L’ALZHEIMER DEGLI AUTORI
 
Forse c’è da parte del cinema poca attrazione verso l’Italia presente, verso gli italiani di oggi. Quel paese che per decenni è stato uno straordinario set cinematografico, popolato come nessun altro da milioni di comparse naturali che facevano brillare di orgoglio e di soddisfazione gli occhi dei fortunati aiuto-registi dell’epoca, sembra non affascinare più la macchina da presa, come se quello di oggi non fosse più un paese reale, ma una sua smaccata imitazione e la vita che vi scorre la registrazione di un angoscioso e interminabile Truman Show. Certo, non è solo né tanto questione di contenuti. Il cinema è punto di vista, è sguardo, a patto che sia l’autore a scegliere la porzione di mondo, di luce, di corpi, che finiscono nell’inquadratura. Però certi vuoti di memoria vanno riempiti, certi fili vanno riannodati, altrimenti si rischia la decrepitezza, l’Alzheimer del nostro cinema Insomma, se non vogliamo finire per ambientate le nostre storie in un’Ungheria immaginaria, come succedeva per il film dei Telefoni bianchi, in epoca fascista, dobbiamo conquistarci, noi tutti, autori, produttori, attori, la libertà di puntare di nuovo la macchina da presa nel cuore della realtà di oggi, in quella «zona rossa» dove il cinema italiano non ha più l’autorizzazione a entrare (e per alcuni forse neanche l’autorevolezza). In questo senso si pone certamente un problema di linguaggio, di ricerca e di sperimentazione, una strada nella quale il cinema americano, forte della sua capacità continua, inarrestabile, di inventare e reinventarsi, si è già incamminato. Basti pensare alla libertà «romanzesca», soprattutto nella sceneggiatura e nei montaggio, di autori come Quentin Tarantino, Paul Haggis, Alejandro Inarritu.
 
IL DIVO DI SORRENTINO
 
Per tornare al cinema italiano, anche l’Andreotti di Paolo Sorrentino viene raccontato con grande libertà e efficacia fuori delle regole del realismo, per cui nel Divo si crea «un circuito in cui reale e immaginario, attuale e virtuale, si rincorrono l’un l’altro, si scambiano di ruolo e diventano indiscernibili» (Gilles Deleuze, Limmagine-tempo).
Sembra che solo con una lente deformante l’Italia di oggi torni a essere leggibile, e la finzione cinematografica riesca ad aprirsi la strada attraverso la realtà parallela del kitsch, dove vige la narrazione falsificante ed egemone dei mass-media. [Angelo Pasquini]”
 
 *** Per motivi di leggibilità del lungo intervento dell’autore, ho ritenuto giusto dividerlo in brevi capitoli.
 

Articolo tratto da

http://www.alfabeta2.it/2010/11/16/%C2%ABalfabeta2%C2%BB-numero-4-e-in-edicola/

BREVE NOTA su "ALFABETA2"

AlfaBeta. rivista culturale italiana a periodicità mensile. fondata a Milano nel 1979 da un gruppo di intellettuali, cessò le pubblicazioni nel 1988. Fin dall’inizio venne diretta da un comitato allargato, di cui fecero parte, tra gli altri, Antonio Porta, Nanni Balestrini, Maria Corti, Umberto Eco, Francesco Leonetti, Paolo Volponi,  e ospitò diversi contributi di intellettuali italiani e stranieri. Le tematiche affrontate spaziavano dalla letteratura alla psicoanalisi, dagli eventi artistici alla semiologia, con particolare attenzione a quanto succedeva in campo sperimentale. È difficile fare un elenco dei contributi, citiamo, solo per esemplificare, alcuni nomi: Aldo Rovatti, Franco Bolelli, Renato Barilli, Cesare Segre, Giuliano Gramigna, Mario Spinella, Patrizia Vicinelli, Omar Calabrese, Claudio Gorlier, Oreste del Buono, Vittorio Gregotti, Elio Pagliarani, e mille altri. La rivista edita da Multhipla Editrice rappresentò il canto del cigno dell’impegno intellettuale in Italia, prima che un fragoroso silenzio chiudesse la penisola nella miseria del craxismo prima e del berlusconismo dopo – i giorni cupi in cui viviamo.
 
* i sette film di Mario Monicelli sono i miei preferiti

Playlist film

L'armata Brancaleone

  • Commedia
  • Italia
  • durata 120'

Regia di Mario Monicelli

Con Vittorio Gassman, Catherine Spaak, Gian Maria Volonté, Enrico Maria Salerno

L'armata Brancaleone

IN TV Rai 3

canale 3 HD 503 vedi tutti

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