Era un gioco che mi appassionava moltissimo, da bambino. Anche da adulto lo trovo molto divertente, ma è diventato più facile identificare Jack, perché le peculiarità oggi riesco a riconoscerle con maggiore malizia. Da bambini invece occorre maturare questa capacità di osservazione e imparare a identificare il tratto comune vincente tra i personaggi. "Indovina chi" è quasi un gioco d'identità. Indovina chi è questo? Ha gli occhiali grossi e neri, pochi capelli, è magro, anziano, occhi brillanti, il suo genere è la commedia. Mi è venuto in mente questo gioco perché ho letto, recuperando le playlist uscite durante le mie vacanze, che è stato fatto il "giochino" dell'"indovina chi" su diversi utenti, attribuendo loro un'altra identità. I toni non erano divertiti ed è inutile dire che alla fine ha indovinato solo chi era stato tirato in causa dichiarando l'indipendenza della propria identità da altri nickname, ma su internet e sui social network ricondurre lo stesso nick di siti diversi sempre alla stessa persona o ricondurre più nick di un sito alla stessa persona è una tentazione molto forte, probabilmente alimentata dal vuoto che il monitor lascia dietro di sè e alla conseguente necessità di crearsi dei punti di riferimento per approfondire la conoscenza della persona con cui ci si confronta. Non è infatti un segreto che nei social network il sesso, i nomi, i nick siano inventati e spesso moltiplicati e plasmati allo scopo di raggiungere un certo bacino d'utenza, quindi le associazioni nick-persona normalmente portano a conclusioni sbagliate, anche perché io, per esempio, non ho il copyright sul mio nick e quindi chiunque lo potrebbe riutilizzare. Per questa ragione lascio in vista il mio nome e cognome. Il web è sicuramente il luogo ideale dove fare il miglior marketing di se stessi. :D E' un po' come il nome d'arte (che però ha un copyright). Ci sono artisti che ne hanno più di uno, alcuni cambiano nome e cambiano modo di essere. Mi viene in mente, per fare un esempio terra terra, Edoardo Bennato e Joe Sarnataro, ma anche Fernando Pessoa coi suoi eteronimi. In quest'ultimo caso non si trattava nemmeno di una politica di marketing, né di un banale uso di pseudonimi, ma in Pessoa convivevano davvero tutti gli artisti a cui faceva scrivere opere letterarie, come fossero ognuno una personalità distinta e avessero tutti una propria identità che rimandava alla stessa persona fisica, ma non di certo psichica. E di certo non si poteva dire ad Alvaro De Campos che era Alberto Caeiro o Bernardo Soares, perché ogni identità non aveva nulla in comune con l'altra, malgrado le parole "inquietudine" o "tabaccheria" possano essere state usate da tutti e tre nelle loro opere. Nel cinema l'identità è stata protagonista di diversi film. I primi che mi sono venuti in mente, senza filtro, sono questi.
Questo è il caso del furto d'identità multiple. L'assassino si rivela con tre facce diverse (quindi cambia identità fisica), viene spacciato per altri personaggi (identità anagrafica) e alla fine prende tutti quanti in giro in un finale veramente geniale.
La guerra per parlare della perdita d'identità. I soldati sono solo pedine e non hanno più un loro nome, i loro soprannomi sono solo utili a identificarli e ogni principio personale che possa affermare la propria identità e personalità viene annientato per raggiungere lo scopo: omologare l'uomo in una macchina da guerra senza etica e coscienza.
Mi piace pensare a questo film se penso alla crisi d'identità. Leonard Zelig assume le sembianze di chiunque entri in contatto con lui, il suo è uno stato confusionale perenne dove essere una persona o un'altra è del tutto indifferente. Zelig è un personaggio fuori dal mondo perché è la disfatta del grande valore che l'uomo attribuisce alla personalità.
Con Charles Chaplin, Paulette Goddard, Jack Oakie, Reginald Gardiner, Henry Daniell
Il miglior falso d'autore che ho visto al cinema. Il vagabondo confuso con Hinkel coglie l'occasione dell'equivoco per lanciare un messaggio importantissimo al mondo, opposto nei contenuti alle idee del dittatore, ma che contiene la stessa energia e capacità comunicativa. Ogni volta che penso a questo film mi viene in mente il film Charlot di Attenborough in cui Chaplin decide il modo in cui darà voce (e dirà addio) al vagabondo dopo che un suo amico, parlando di Hitler, gli dice: "lo sai che gli assomigli?". Non ho mai letto l'autobiografia di Chaplin e quindi non so se le cose andarono davvero così, ma mi piace pensarlo, pensare che dal suo genio bastò una frase qualsiasi, quasi ironica, a far scoccare la scintilla di un grande capolavoro.
Con Charles Chaplin, Martha Raye, Isobel Elson, Marilyn Nash, Irving Bacon
E torno a Chaplin se penso alla creazione d'identità. Monsieur Verdoux crea continuamente nomi nuovi in luoghi nuovi per nascondere la sua vera identità. Perché in fondo l'identità è solo un attestato, un'etichetta di cui fa uso l'uomo per sopperire ai propri deficit sensoriali e che può essere piegata ai propri interessi. I gatti ricordano il volto di un uomo e lo riconoscono per tutta la vita se lo associano a un trauma, riconoscono le persone dall'odore e non di certo dal nome. Gli animali, infatti, non hanno bisogno delle parole per conoscere.
Con Tatsuya Nakadai, Tsutomo Yamazaki, Kenichi Hagiwara
Concludo con Kurosawa per parlare dell'identità non riconosciuta. Il kagemusha è l'ombra del guerriero, ma alla fine si identifica a tal punto nel suo sosia che accetta di morire sul campo di battaglia come se fosse l'ultima testimonianza del grande clan di guerrieri dei Takeda. Mi viene in mente la scena in cui il kagemusha dice a tutti di essere un sosia, di non essere davvero Shingen. Malgrado lui stia dicendo la verità, nessuno gli crede, perché siamo tutti la proiezione di un'idea altrui. Ed è proprio per questo che nessuno saprà mai qual è la mia vera identità.
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