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Gian Maria Volontè
di Peppe Comune ultimo aggiornamento
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Gian Maria Volontè

Gian Maria Volontè è nato a Milano il 9 aprile del 1933. Dopo il diploma all'Accademia d'Arte Drammatica nel 1957, e dopo molto Teatro (coi classici di Shekespeare e Goldoni) e  televisione ("L'idiota" da Dostoevskij e "Caravaggio"), Volontè fa il suo esordio al  cinema nel 1960 con "Sotto dieci bandiere" di Duilio Coletti. Poi altre parti minori in film importanti ("La ragazza con la valigia" di Zurlini e "A cavallo della tigre" di Comencini) prima del suo primo ruolo da protagonista in "Un uomo da bruciare" diretto dai fratelli Taviani e Valentino Orsini. Quindi si cimenta nel genere western con Leone ("Per un pugno di dollari" e "Per qualche dollaro in più) e con la commedia di Monicelli ("L'armata brancaleone") prima di approdare a quel cinema di forte impegno politico e sociale dove troverà la sua collocazione ideale, quella capace di far risaltare per intero il suo immenso talento d'attore, la sue infinite qualità istrioniche. "Per me c'è la necessità di intendere il cinema come un mezzo di comunicazione di massa, così come il teatro, la televisione. Essere un attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressive di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario fra l'arte e la vita". Un attore militante dunque, capace di legare il suo mestiere d'attore a una precisa visione del mondo e della realtà, di concepire il cinema come mezzo per arrivare al fine di incidere positivamente sui cambiamenti sociali del paese. E' per questo che è stato sempre molto selettivo nelle sue scelte ed è per questo che la sua filmografia è relativamente scarna (poco più di cinquana titoli). Film come "Banditi a Milano"(Carlo Lizzani), "Sotto il segno dello scorpione" (fratelli Taviani), "Uomini contro", "Il caso Mattei", "Lucky Luciano", "Cristo si è fermato a Eboli" (Francesco Rosi), "A ciascuno il suo", "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto", "La classe operaia va in paradiso"(Elio Petri), "Sacco e Vanzetti", "Giordano Bruno"(Giuliano Montaldo), "Sbatti il mostro in prima pagina" (Marco Bellocchio), "Il sospetto"(Francesco Maselli), "Io ho paura" (Damiano Damiani) e "Ogro" (Gillo Pontecorvo) rappresentano un corpus assai significativo di un momento esaltante della storia del cinema italiano, un momento in cui si primeggia per qualità e quantita di film prodotti, quando è successo addirittura che a Cannes vengono premiati ex-aequo due film italiani ("Il caso Mattei" e "La classe operaia va in paradiso") che, parafrasando Paolo Conte, ai francesi ancora gli girano. E di quella stagione Volontè è stato un mattatore assoluto, è stato il volto, il corpo, l'illusione di un periodo in cui si tenta anche attraverso il cinema di disincagliare il paese dalla sonnacchiosa acquiescenza a cui il suo popolo è stato ridotto dal trentennale potere dello scudo crociato. Negli anni ottanta, altre (ma più rare) notevoli interpretazioni e anche i più importanti riconoscimenti personali: per "La morte di Mario Ricci" (Claude Goretta) e "Il caso Moro" (Giuseppe Ferrara) ottiene i premi come miglior attore rispettivamente a Cannes e Berlino; con "Porte aperte" (Gianni Amelio) riceve il premio Felix come miglior attore europeo e durante la presentazione a Venezia di "Una storia semplice (Emidio Greco) viene premiato con il Leone d'oro alla carriera. Da ricordare i suoi lavori all'estero, in particolare "I senza nome" (Jean Pierre Melville), "L'attentato" (Yves Boisset), "Actas de Marusia (Miguel Littin) e "Il tiranno Banderas" (Josè Luis Garcia Sanchez). Ed è proprio all'estero, durante la lavorazione de "Lo sguardo di Ulisse" del grecoo Theo Angelopoulos, che Volontè muore colpito da un'infarto.

Era il 1994 quando ci lasciò un esempio di coerenza artistica e di rigore formale di primissimo piano. O più semplicemente, uno dei più grandi attori di sempre che ci ha lasciato una galleria di tipi d'autore di triste attualità.      

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