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A(SA)NI(SI)MA(SA) O LO STILE INTERIORE (UNA DISCUSSIONE)
di Utente rimosso (Marcello Del Cam ultimo aggiornamento
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A(SA)NI(SI)MA(SA) O LO STILE INTERIORE (UNA DISCUSSIONE)

Se il cinema è il luogo dell’anima, come qualcuno ha scritto, non tutti i film determinano nello spettatore quella risposta che Cocteau chiamava “lo stile interiore”.
“C’è un’arte che tende direttamente a provocare sensazioni”, scrive Susan Sontag in Against The lnterpretation, parlando di Robert Bresson, “e c’è un’arte che fa appello ai sensi passando per la strada dell’intelligenza. C’è un’arte che coinvolge, che crea empatia. E c’è un’arte che distacca, che produce riflessione. La grande arte riflessiva non è frigida. Può esaltare lo spettatore, può presentare immagini che lo sgomentano, può farlo piangere. Ma il suo potere emotivo è mediato. (...) La partecipazione emozionale è sempre, più o meno, posposta.”
Nel cinema solo pochi grandi registi hanno rinunciato all’esibizione spettacolare in nome di uno “stile riflessivo”.
La playlist indica solo alcuni film di quelli che potremmo definire “registi dell’anima”. Ma ce ne sono molti altri...
 

26 giugno 2009, 09: 04 di Tiresia

Fedele al mio vizio di non parlare di cinema (si fa quel che si può), cito, per restare alle riflessioni della Sontag, il Paradiso di Dante. Partecipazione emozionale assolutamente posposta, ma quando arriva oscura tutto il resto.  

26 giugno 2009, 10:57 di fixer


Nostalghia
di Tarkowski è, a mio avviso, uno splendido esempio di cinema dell’anima. Sei d’accordo?

26 giugno 2009, 11:13 di rollo tomasi


Sono completamente d’accordo, tutto il cinema di Tarkovski è ‘cinema dell’anima”, anche se il russo (forse insieme a Kieslowski) è uno degli ultimi registi che ha investigato (rischiando, secondo una critica ideologica, un’involuzione in senso escatologico) questa “cosa che immagino come le frattaglie appese ai ganci di una macelleria” (parole non testuali - cito a memoria - di Bergman). Questo genere di film che ha il suo culmine negli anni Sessanta, dietro le sollecitazioni delle filosofie allora emergenti (esistenzialismo, fenomenologia, freudismo e psicanalisi, ecc), non ha eredi, tranne che non si prendano sul serio fumisterie come 21 grammi.

26 giugno 2009, 1
5:45 di Daskabinett

Personalmente lo stile che preferisco è quello misto, film che concedono qualcosa al piacere degli occhi ma propongono al tempo stesso almeno uno spunto su cui riflettere, per questo Taxi Driver e Apocalypse Now sono i miei film preferiti. Concentrandosi sullo stile riflessivo, tutta l’opera di Bergman direi che è da citare come altri che sono già inseriti da Rollo: Bresson, Dreyer... Anche Godard forse può rientrare in questa categoria, magari in una sottocategoria “politica”... Il problema è che lo stile riflessivo viene spesso identificato con quello ‘cerebrale” nella sua accezione negativa.

26 giugno 2009, 22:16 di rollo tomasi


Vale la pena annotare che questo genere di film che indaga le ragioni dell’esistenza, della grazia e della fede, trova un terreno più propizio nei registi del nord Europa per ragioni che è non è qui il luogo di esporre, ma che sono facilmente intuibili, come per esempio il Protestantesimo e l’influenza di filosofi come Kierkegaard o di scrittori come Strindberg e Ibsen. Tra i film in lista, oltre quelli di Dreyer e Bergman, quelli degli altri registi si legano al tema dell’interiorità solo talvolta e spesso superficialmente, senza la pregnanza che fa del cinema di Bergman e Dreyer un unicum dell’intera loro opera. Fellini sfiora il problema dell’anima legandolo all’ingenuità del mondo perduto dell’infanzia, Resnais alla nozione degli stati interni della coscienza.

26 giugno 2009, 23:07 di Daskabinett


Azzardo una spiegazione più... prosaica accanto alle tue, Rollo, sulla preminenza di questo stile tra i cineasti del Nord Europa: il clima. La durata delle ore di sole, la rigidità e la conseguente conformazione del paesaggio potrebbero essere una delle chiavi di lettura, seppur mi rendo conto molto terra terra, della tendenza all’introspezione che si trova anche nelle commedie per esempio di un Kaurismaki.

26 giugno 2009, 23:39 di rollo tomasi


Non mi sembra un commento prosaico, tutt’altro. Forse andrebbe sviluppato. In un vecchio volume della Feltrinelli “Film 1961”, Guido Aristarco scrisse un breve saggio “Da Dreyer a Bergman” nel quale afferma: “In Dreyer e in Bergman c’è, nel loro portare sullo schermo, in maniera diretta e consapevole, elaborata, esperienze e principi di particolari correnti artistiche e culturali, una precisa trasposizione dall’ambito letterario a quello cinematografico, non a caso questa trasposizione... ci viene dai paesi nordici...”

27 giugno 2009, 06: 31 di Lampur


La cerebralità del risultato è un rischio sempre in agguato e la mia, di prosaicità casareccia, mi spinge, cosi su due piedi, verso il Resnais di Mon oncle d’Amerique o The weatherman di Verbinski, dove filosofia ed intimismo prendono sottobraccio la macchina cinema e ci giocano piacevolmente, senza indurti al suicidio...

27 giugno 2009, 23: 47 di rollo tornasi


Lo “stile interiore” poi, a guardar bene, non è presente solo nei film “nordici”, gli esempi di Lampur vanno giustamente in altre direzione, mi meraviglia che contro la “cerebralità” sceglie il film più programmaticamente “cerebrale” di Resnais (quanto di più programmato di un esperimento scientifico sulla sollecitazione agli stimoli di uomini osservati come topi da laboratorio?). Però, l’intevento di Lampur ha il merito di tirarci fuori dai ghiacci per indagare come il pensiero meridiano abbia realizzato film nei quali la ricerca del senso della vita viene messo a nudo. E allora entrano in ballo De Sica, Antonioni, Ferreri, Olmi, Cayatte, Becker, Bardem, Clément, Visconti, Kaurismaki (al quale accenna Das Kabinett), Losey, né è detto che il pensiero pragmatico americano non abbia sfiorato e spesso approfondito certi temi o il cinema giapponese di Ichikawa, Kurosawa (Akira e Kyoshi), Tsukamoto, per non tacere dell’amato-odiato Von Trier. Quindi, non un cinema sempre cerebrale, “la ricerca dell’anima” può avvenire anche nell’estroversione della forma. Nel cinema “spettacolare” di Fellini c’è la stessa tensione morale che troviamo negli austeri film di Dreyer e Bergman: il dialogo tra Mastroianni e Alain Cluny nella Dolce vita che precede il suicidio di Alain Cluny o quello in ascensore tra i prelati in Otto e mezzo (Nihil extra ecclesiam…) sono momenti alti dello “stile interiore”.

27 giugno 2009, 08:49 di LAMPUR


Il paradosso Resnais, seppur “programmaticamente” cerebrale, coniuga virtù tipicamente cinematografiche sfornando un connubio godibilissimo che permette di non farsi affossare emotivamente. Adoro questa pellicola. Grandi temi deliziosamente alla portata di tutti. Anche alla mia.

27 giugno 2009, 08:54 di rollo tomasi


Sono d’accordo, Lampur - l’illuminismo ha regalato ai francesi lo spirito geometrico e Resnais lo rappresenta egregiamente anche nel trattare argomenti ardui.

27giugno 2009, 13:40 di fixer


Il vero regista francese dallo stile interiore è Robert Bresson: non ce ne sono altri. Nemmeno Rohmer; non parliamo poi di Godard. Di stile interiore, nada de nada: in lui c’è sperimentalismo, razionalismo estremo, provocazione, rivisitazione personale di certi generi, ma non lo stile dell’anima. Il protestantesimo e il giansenismo hanno giocato un ruolo decisivo nella ricerca di Dio e di una vita da vivere in accordo con questa ricerca. Attraverso l’abbandono progressivo di tutto ciò che può distogliere da questa ricerca. si arriva a una purificazione del proprio modo di essere e quindi di agire. Ciò si riflette nel cinema, è chiaro. Ma attenti, non dimentichiamo che anche da noi ci sono registi dell’anima e mi riferisco a Ermanno Olmi: avete presente Il Posto, I Fidanzati? Ma avete soprattutto presente il capolavoro che è Centochiodi? La poesia e la profondità e la ricchezza spirituale presenti in questo film sono straordinari. Quando il cattolicesimo si spoglia delle proprie tentazioni temporali, cattedratiche, assolutistiche e dogmatiche, riesce a calarsi in una realtà spirituale che sa interpretare da par suo. Allora non c’è differenza fra Dreyer e Olmi quanto a profondità, mentre lo stile è diverso perché diversa è la loro cultura e la loro esperienza. Ma, nell’ambito cattolico, non dimentichiamo Zanussi e Kieslowski. Ma a commuovermi è soprattutto Tarkowski, vero titano: quello che riesce a dare in Andrej Rublev è uno spaccato di una Russia medievale di immenso valore spirituale. E non a caso ho scelto NOSTALGHIA: la combinazione dell’anima russa con l’ingenuità popolare italiana ha prodotto un risultato eccezionale che troppo spesso si tende a dimenticare.

28 giugno 2009, 03:04 di Estonia


Insieme a Tarkowski metterei anche Sokurov. Ho visto di recente Madre e figlio e credo che sia uno dei film più commoventi che siano mai stati girati, con la rappresentazione di natura sublime che partecipa e respira insieme ai due personaggi e al loro dolore. Un film apparentemente lento, ma che si avvale di un tempo dilatato per creare quella dimensione poetica, quello stile interiore, che ricorda tanto Nostalghia.
 
28 giugno 2009, 07:54 di rollo tomasi
 
Giusto inserimento nel tema di un film in cui anche lo stile anamorfico asseconda la sublime rappresentazione dell’amore filiale. Grazie Estonia per avermi ricordato Sokurov.
 
 

 

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