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L'uomo che amava Rosy Bindi
di FedericoCostalunghissima90 ultimo aggiornamento
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L'uomo che amava Rosy Bindi

Dopo qualche giorno la rivedo, finalmente. Bella come sempre, brizzolata e altera nel portamento, il volto dai tratti picassiani, la pelle color suino, fisico (im)ponente e triplo mento. È proprio lei quella che sfida i suoi sessant’anni dalle pagine del Corriere della Sera indossando un tailleur ridotto e sensuale. Non v’è alcun dubbio. D’un tratto mi pare che il tempo si sia fermato. E rivedo sit in di femministe impazzite davanti ai cancelli di Viale Mazzini, lei che mostra tutta la sua bellezza di laureata in scienze politiche a un’Italia moralista e bacchettona. "Cossiga mi dice brutta", si chiamava quella trasmissione, una storia torbida d’una comunista che se la faceva con le donne e le spingeva al suicidio. Amore lesbico appena accennato, tagliato dalla censura televisiva, taciuto e osteggiato, sforbiciato senza pietà per non far capire. Era il tempo dei nostri peccati di gioventù e dei sogni lussuriosi tra le braccia di donne (im)possibili, lei era la democristiana adiposa, l’amante vezzosa, la maliziosa "Ulivina" dei nostri sogni. Un tempo possedevo una raccolta di ritagli di giornale che la ritraevano vestita da calciatrice della nazionale con una sexy maglietta azzurra e i pantaloncini attillati, o , molto più semplicemente, co na foglia de ulivo (quelle di fico costavano troppo e, specie in tempi di crisi, e soprattutto se si ha la fortuna d'esser comunisti, bisognava un attimino"stringer la cinghia"). Il servizio per "La Repubblica", dove posava nuda su una scrivania in rovere a Palazzo Madama e l’acqua salata proveniente da un innaffiatoio si arrestava dinnanzi ai rotoli di lardo , era la cosa più preziosa della mia collezione. I suoi glutei enormi risaltavano in mezzo al colore dell’arredamento e gli occhi color pantegana, le labbra smunte, i capelli bianchi la rendevano ancora più sensuale. Avevo foto dove vestiva da soldatessa, da ragazzina di collegio con le calze colorate, da infermiera, da suora, spezzoni di telegiornali dimenticati e riscoperti da riviste per soli uomini. Conservavo tutto quello che la ritraeva e che nei momenti di solitudine mi faceva sognare, mi eccitava, mi spingeva al di là del desiderio improvviso da placare in una lenta masturbazione. Le cassette dei suoi comizi e le rassegne stampa erano la mia liberazione, il mio momento di quiete, sedevo sulla comoda poltrona della sala e cominciavo a scorrere le immagini che fermavo sul corpo debordante della mia comunista e proseguivo con le sequenze proibite di uno special di "Porta a porta" e di "Come impugnare correttamente falce e martello riuscendo nella titanica impresa di non ferirsi". Per me era una vera provocazione quella politicante-prosciuttara che vagava per la città indossando occhiali con impalcatura che esibivano un naso mozzafiato. Rivedevo all’infinito "Si stava meglio quando si stava Lenin" e lei che correva nel prato con il suo amante, si lasciava carezzare la pelle morbida e squamosa, ne assaporavo il profumo fin troppo intenso e mi pareva di toccarla con le mie mani. "Il solco di oliva" fu una scoperta impossibile, un intero film dedicato al culo della donna, da sempre la mia parte anatomica preferita, ma qui non c’era un culo qualsiasi, c’era il suo culo, enorme, da ragazzona padana, da amante nordica che ti risvegliava dal torpore d’un sonno incredibile, che ti pareva dire "cosa aspetti ad imparare ad apporre una X su un pezzo di carta", disposta a tutto per te e il tuo voto. I miei sogni da ragazzino davanti alla sexy parlamentare che si fa toccare le cosce sotto lo scranno dal compagno imbranato, il compagno che scruta e lei che si abbandona agli sguardi e fa vedere l’antro nascosto del desiderio. E poi ancora lei vestita da novizia che si spoglia dagli abiti monastici e si abbandona alla scoperta dei piaceri del sesso. Cameriera che si presta agli amori d’un nobile in cerca di figli, "abbiamo fatto trenta facciamo trentuno", diceva mentre scopava masticando pane azzimo. Violentata nella dignità e perversa in "Saia mi dice lesbica: che smacco per le famiglie italiane", omosessuale per finzione in troppe scene tagliate e deturpate dalla censura che ho cercato di rimettere insieme in anni di paziente ricerca. Tutto questo è finito quando ha conosciuto lui che avrebbe potuto farle da lustrascarpe, un patetico ex sindaco che pareva uscito da uno delle sue prime trasmissioni , un uomo più adulto che l’ha portata via da me che attendevo le sue prodezze come una liberazione sessuale. Il lupo cattivo de "Rosso antico" e di "Vanga e badile: popolo rosso, costruiamo un futuro assieme" era riuscito nel suo intento e l’aveva rubata al pubblico, prima con apparizioni sempre più caste, dove vederla senza veli era impossibile, poi con la definitiva uscita di scena. Sono andato a vederla pure a teatro, però c’era sempre lui accanto che la sorvegliava, attento a ogni piccolo errore, non era più la stessa cosa tra noi. Ecco perché il giorno della fonzazione del PD ho pianto come un amante tradito. Non era possibile che proprio lei si sposasse e d’un tratto mollasse tutto, che mi abbandonasse così dopo aver guidato la mia tempesta ormonale fuori dalle secche di un’adolescenza inquieta. Non lo potevo accettare. Nacque pure una figlia ed è stata la fine di tutto. La morte d’un personaggio decretata d’un soffio, senza starci tanto a pensare, senza una parola per chi ne soffriva. La colpa di tutto era soltanto sua, maledetto e patetico ex sindaco di Roma. Per questo un anno fa fa avevo deciso di fare giustizia all’uscita da un concerto in una fredda sera di nebbia sui navigli di Milano. Nell’attesa osservavo una sua foto sbiadita, quella dove lei si faceva toccare le cosce dal compagno e Romano Prodi guardava eccitato. Il coltello era nella tasca del cappotto e pensavo che avrei saputo usarlo, non lo avevo mai fatto ma nella vita c’è sempre una prima volta. La notte fredda di Milano avvolgeva membra intorpidite, i pensieri volavano via come uccelli feriti e il mio cuore sanguinava di dolore. Fu allora che vidi quel maledetto politicante da strapazzo, buonista per vocazione e critico cinematografico a tempo perso uscire da teatro. Rabbia pura mista a sgomento di innamorato deluso dirigevano le mia mani. Non capivo quello che facevo, ma sapevo che volevo solo uccidere. Mi gettai su di lui come una furia, il coltello era nascosto nella tasca del cappotto, l’avrei tirato fuori al momento giusto. Dovevo essere accanto alla mia vittima. Non ce la feci. Mi presero i suoi gorilla e mi portarono via. Non si accorsero che ero venuto per uccidere, mi scambiarono per un pazzo, per un fan di quel cantante d’altri tempi. E invece ero solo un amante tradito, impazzito dal dolore, uno che voleva vendicare la fine d’un sogno e riprendersi quello che gli spettava di diritto. Maledetto ex sindaco. E adesso leggo su questa rivista femminile che lei ha deciso di tornare sulla scena, vuole fare cinema o teatro, nonostante l'età. Pare che lui non si opponga, adesso si è ritirato a vita privata e se ne va in giro a dispensare amarezza&rimpianto, sta poco con la moglie, poi la figlia è grande e può pensare a se stessa. Lei dice che tornerà a presenziare in qualche talk-show di sest'ordine camuffato da programma di approfondimento o a recitare ruoli che le proporranno, persino sexy e audaci, il marito è un problema superato. Mi sono detto che forse le cose tra loro non vanno più molto bene e adesso quasi mi dispiace, come se il suo sacrificio fosse stato vano. Sono giorniche manca dalle scene, ha perduto il tempo migliore della sua bellezza, sacrificato per un uomo che forse non ama più. E allora mi sento ancora più tradito e solo con i miei ritagli, le foto di lei nel pieno del suo fulgore, le cassette dei vecchi dibattiti, magari a Ballarò, magari moderati dall'ennesimo frocione dal nome floreale prestato al giornalismo, visti e rivisti durante notti insonni davanti alle peggiori televisioni private. Mi sento sempre più solo e perso in un’infinita voglia di lei che non si stempera nel ricordo. Capita che la sogno mentre siede in una poltrona e mostra quelle guance rotonde e sode, oppure si abbandona a una scena lesbica in una toilette accarezzata dal vento e subito dopo in uno spogliarello sensuale vestita da figlia della lupa. Il tormento esalta la mia rabbia e il senso di angoscia e adesso so soltanto che lei non dovrà più tornare a fare cinema. Non dovrà tradire i miei ricordi di ragazzino con immagini buttate sullo schermo d’una stupida fiction televisiva. Non si dovrà lasciar spiare dalla macchina da presa in uno spogliarello da vegliarda che fatica a nascondere il passare degli anni. E il patetico ex sindaco di Roma, ex leader del PD, ex marito, lo odio più di allora. Me l’ha portata via nel momento migliore e adesso non è capace di trattenerla, se la lascia sfuggire come un pesce dalle maglie d’una rete troppo larga. E mi dico che non può finire così. Lo schermo del mio videoregistratore è in fermo immagine su vecchie sequenze de "Il comunismo chiama, l'uretra risponde", il culo di lei in una foto a colori stringe un ramo d'ulivo tra le natiche abbondanti. Adesso so che posso farcela. Non sono così ingenuo come qualche mese fa. E a pensarci bene non è soltanto lui che merita di morire. Proprio no. Un ramo d'ulivo infilato nel solco delle natiche che sarà il mio ultimo omaggio a un amore perduto. Stop. Cala il sipario. Le luci rosse si spengono.

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