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In morte dell'amico Giorgio
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In morte dell'amico Giorgio

Il parco pubblico. Il quartier generale del mio amico Giorgio. Fino a quel giorno. A quel terribile, tremendo, orribile giorno. Parlavi di amore e di passione nelle tue poesie, ma una volta ti permisi una divagazione sul tema luttuoso. Ti sottovalutai, non era una semplice divagazione. Te ne sei andato il primo dell’anno. Mentre io tentavo di ballare nella taverna di Ivan, tu soffrivi. Non sei voluto venire, a quel veglione. Odiavi quell’incessante motivo della musica da discoteca, sulla quale, tra l’altro, non potevi danzare. Ma cos’hai, che hai fatto? Niente, sempre niente mi risposi. Io ti osservavo, tu non stavi affatto bene, avevi smarrito la luce chiara e splendente che ti illuminava il volto. Giorgio ma cos’hai? Niente, niente, niente. Non ti preoccupare. Ma tu lo sai come sono fatto, io mi preoccupo, sono eccessivamente ipocondriaco. Eri tu quello che doveva preoccuparsi, in fondo, eri tu il malato di sclerosi multipla, non io. Eri tu che avevi i giorni contati, non io. Eri tu che sapevi di non avere molto tempo, ma che quel tempo lo dovevi usare al meglio, non io. Ti ho voluto bene, Giorgio, come un fratello. Sei stato il fratello laico della mia giovinezza, una vita di affetto e comprensione e confidenza e risate e cinema e… quanto altro. Non basterebbe un’altra vita per descrivere la nostra amicizia. Anima rara e delicata in un mondo di merda – no, è certa gente di merda, avresti detto – che non hai retto a tutto il resto. No, Giorgio. Perché? Perché ci hai tradito? Perché mi hai tradito? Perché te ne sei voluto andare senza salutare, senza dire nulla, volando in silenzio, come avevi tentato di intraprendere la tua breve ma incredibile esistenza? Perché Giorgio? Perché? Non è stato un gesto poetico, non è stato degno di te. Il primo dell’anno, non hai voluto vedere gli altri trecentosessantaquattro giorni rimanenti. Hai voluto abbandonarci all’albore di un nuovo ciclo – è roba da beoti, avresti detto, è tutto conformismo – e ti sei portato con te il mistero profondo della vita. Tu, che valevi quanto un raggio di sole in un giorno di tempesta, un’onda nel mare calmo delle sere d’estate. Giorgio, perché? Ti hanno richiamato, mi sono detto allora. Ci hanno concesso la gioia di averlo tra noi solo per un tempo limitato. Troppo breve, troppo. Come si fa a volere indietro un ragazzo di sedici anni che aveva ancora tutta la vita davanti? Ma no, tu lo sapevi di non avere tutta quella vita davanti, lo sapevi tu e lo sapevo io. Eravamo al corrente che la felicità dei nostri incontri non sarebbe durata ancora per molti anni, il tuo morbo si stava aggravando. Ma, allora, perché? Quando quella tua parente ha chiamato a casa, la mattina del primo gennaio, e mi ha riferito, con la voce tremante e singhiozzante, che tu non c’eri più, la cornetta mi cascò dalla mano, e rimasi impietrito fissando il vuoto per molto tempo. Quel vuoto nel quale speravo tu abitassi in attesa di una decisione. Solo dopo mi resi conto che quel vuoto ti aveva risucchiato irrimediabilmente. Quando mi decisi a raggiungerti, quando mi accorsi di quella stampella colorata gettata per terra, di quelle macchie di sangue secco estese sul selciato di pietra del cortile del tuo palazzo, del finestrone del balcone aperto al terzo piano, di tutta quella gente piangente, provai un misto tra rabbia e dolore nei tuoi riguardi. Vidi tua madre, luttuosa nella sua controllata e mesta sofferenza, mi propose di alzare quel lenzuolo bianco. E ti guardai, scomposto nella caduta rovinosa e disordinata che avevi messo in atto, con il tuo pigiama a righe bianche e celesti, le mani aperte come se tu volessi volare. Eppure non potei fare a meno di notare sul tuo volto una certa serenità, una rassegnazione fiduciosa, quasi come se quella fosse l’unica fine possibile per te. No, Giorgio, no. No, no, no. Come posso, a quest’età, elaborare un lutto così duro e criminale? Non posso, ma più che altro, non lo so fare. Chi se ne va che male fa?, si interrogava Paolo Conte. Devi sorridermi se puoi, non sarà facile ma sai, si muore un po’ per poter vivere. Mi stai dicendo ciò, Giorgio? È passato del tempo da quel giorno, Giorgio. E l’ho elaborato il lutto, ti ho elaborato. Chi se ne va che male fa? È stato difficile – difficile? Di più. Ma ce l’ho fatta, credo di esserci riuscito. Di te ora conservo il ricordo tranquillo e limpido dei pomeriggi al parco e delle giornate al mare e al cinema – quando ti arrabbiavi con me perché ti portavo a vedere Lars von Trier – e a scuola. Insomma, Giorgio: mi hai lasciato quel che di più bello c’era in te. Tu. Ciao Giorgio, ora ti devo lasciare. Percepisco la tua presenza in quest’aria eterea e soffice. Sarà perché oggi risiedi in questa invisibile aura – fui io a confessare ai tuoi struggenti genitori che il tuo desiderio era quello di essere cremato – e proprio grazie a te mi sento meno solo in questo momento. Avverto l’abbraccio morbido e fraterno delle tue braccia, e sto bene. --- Lorenzo Ciofani.

Playlist film

L'attimo fuggente

  • Drammatico
  • USA
  • durata 129'

Titolo originale Dead Poets Society

Regia di Peter Weir

Con Robin Williams, Robert Sean Leonard, Ethan Hawke, Josh Charles, James Waterston

L'attimo fuggente

In streaming su Amazon Video

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Ricordati di me

  • Drammatico
  • Italia
  • durata 116'

Regia di Gabriele Muccino

Con Fabrizio Bentivoglio, Laura Morante, Nicoletta Romanoff, Silvio Muccino, Monica Bellucci

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In streaming su Disney Plus

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