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UN DVD PREZIOSO E IMPERDIBILE
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UN DVD PREZIOSO E IMPERDIBILE

E' di questi giorni l'uscita in DVD -a cura della San Paolo - di un imperdibile film del 1969, davvero poco frequentato qui da noi, perchè non ha avuto nemmeno la possibilità di passare in Tv almeno per quanto io ricordi, poichè "bollato" alla sua uscita in sala, con il divieto aiminori di 18 anni, e non certo perchè conteneva scene osè o scandalose, ma per la tematica ritenuta all'epoca fortemente "destabilizzante" e come tale "pericolosa" per gli equilibri cristallizati della morale corrente. Per la verità la pellicola aveva già avuto in passato - sempre per la San Paolo - una edizione in Vhs e quindi non si può considerare una "rarità" assoluta, ma non credo che siano in molti a possederla o ad averla visionata perchè editata moltissimi anni fa in un limitato numero di copie distribuite in maniera inadeguata e selettiva. Il Dvd adesso disponibile (ancora una volta però non del tutto capillarmente presente nei negozi del settore) rimane quindi un'occasione preziosa per consentirci di rivedere e "rivalutare" un film fondamentale non solo per la cinematografia tedesca, poichè si tratta di un'opera che "anticipa" e apre la strada alle tematiche e agli indirizzi stilistici di tutta la nuova ondata che a partire dagli anni '70 rivitalizzerà il cinema di quella nazione facendo "esplodere" nomi che cambieranno il modo di raccontare con le immagini, come quelli di Fassbinder, Herzog, Wenders e Retitz, tanto per citare le più importanti punte dell'iceberg."Scene di caccia in Bassa Baviera" è dunque - e non soltanto sotto questo profilo - un film "importante e necessario", il capolavoro di un regista poco prolifico che sembra ancora attivo in patria ma esclusivamente sul versante "documentaristico", e del quale qui in Italia abbiamo visto solo la sua ulteriore "unica" opera di "finzione" realizzata (anno 1975) interessante, ma meno significativa di quella dell'esordio, intitolata "La smagliatura", coproduziomne intrenazionale fra Germania/Francia e Italia focalizzata sulle problematriche interne della Grecia dei colonnelli (progetto ambizioso ma non "convincente" fino in fondo nei risultati concreti) che si avvaleva di un'ottima (come al solito) colonna sonora di Ennio Morricone e trovava i suoi punti di forza soprattutto nella recitazione dell'efficace trio di protagonisti (Michel Piccoli, Mario Adorf e un "insolito" Ugo Tognazzi). Ma per ritronare al film in questione (per il quale forniremo poi di seguito la scheda dettagliata), è opportuno evidenziare che trae origine da un "dirompente" testo teatrale di Martin Sperr (anche protagonista maschile della versione cinematografica) che ebbe in quegli anni vasta e meritata risonanza, arrivando persino sulle nostre scene avare di novità "spiazzanti", sia pure con rfitardo (inizi anni '80) grazie al coraggio dell'Ater teatro, per la regia in verità un pò deludente di Walter Pagliaro (molto curata e precisa, ma non sufficientemente "sporca" come il testo avrebbe invece richiesto) e l'ottima interpetazione di Michele Placido, Rino Cassano, Giuliana De Sio, Anna Maestri e Simonetta Stefanelli)... Ricordi che si perdono dunque nella notte dei tempi e che è davvero importante poter "rinfrescare" adesso sfruttando l'occasione che viene offerta, per constatare quanto ancora siano attuali le tematiche trattate nonostante gli anni trascorsi, diventando per molti versi ancor più dilaceranti, tanto da poter "dichiarare" senza ombra di dubbio che vaste zone di quella "Bassa Baviera" sono dramammaticamente ancora presenti anche qui in Italia, ben oltre il più retrivo "Sud".. e purtroppo persino dentro le coscienze e i pensieri di ciascuno di noi. Il dvd (come sempre in questi casi) è spartano ed essenziale (l'unico extra disponibile è l'esaustiva ed appropriata presentazione di Maurizio Porro) ma il vero rammarico è rappresentato dall'esistenza della sola verisone "doppiata" che toglie la possibilità do confrontarci on le voci originali degli interpreti, un "peccato" questo non proprio veniale. Il prezzo di vendita inoltre non è proprio bassissimo... ma non proibiltivo. E allora credetemi!!! Fate un piccolo sforzo ne vale veramente la pena!!!: SCENE DI CACCIA IN BASSA BAVIERA (Germania - 1969 - Dal dramma omonimo di Martin Sperr - Regia di Pete Fleishmann con Martin Sperr, Angela Winkler, Elise Quecke, Maria Stadler, Michael Strixner. Hanna Schygulla, Eva Berthold, Johann Fuchs, Johann Lang, Renata Sandner, Gunja Seizer) La storia può essere così sintetizzata: Un villaggio di rozzi contadini bavaresi respinge un giovane meccanico sospettato di omosessualità, che torna a casa dalla madre - turbando la quiete della comunità - dopo aver scontato una breve condanna in prigione (ma non è ovviamente l'unica "diversità" emarginata la sua nel contesto rurale all'interno del quale si trova improvvisamente a fare da catalizzatore con il suo inaspettato rientro). Sempe più isolato e "allontanato", quasi messo all'indice, riuscirà a trovare un pò di conforto e comprensione solo nell'amicizia della domestica del borgomastro - considerata a sua volta "troppo libera" o "disponibile" e ad essere bollata per questo come "prostituta" - e in quella di un adolescente problematico leggermente disturbato mentalmente. Le continue provocazioni e "dicerie" finiranno per far cedere i nervi al ragazzo spingendolo persino a commettere un atto atroce e definitivo in un finale (che non sveliamo) catartico, capace di mettere a nudo, con la tragicità delle sue conseguenze, i lati più "oscuri" e terribili di "quel" conformismo borghese e bigotto.Il commento (già da me a suo tempo espresso sul sito alla voce corrispondente) è il seguento: Tratto da un lavoro teatrale di Martin Sperr (qui anche interprete principale nel ruolo del protagonista, un laconico, disperato, solitario e imbarazzato Abram), il film di Peter Fleischmann è un realistico ritratto robusto e appassionato (quasi un polemico apologo) contro l’intolleranza e l’odio, sentimenti reazionariamente corrosivi, portatori di una inusuale carica di violenza che impregna di istinti primordiali (quasi animaleschi) uno spaccato umano rappresentativo di una condizione provincialmente emarginata, chiusa e mediocre amplificandone a dismisura la natura malvagia e gli allarmanti connotati distruttivi in una società quasi tribale, nonostante gli sviluppi tecnologici e il progresso che sembrano averla sfiorata solo in superficie. Quello di Fleischmann è un indignato pamphlet contro i rischi di un “pericoloso ritorno” (non a caso l’ambientazione del dramma è la Baviera, o meglio la Bassa Baviera, territorio emblematico che corrisponde all’humus sociale e politico dove trovò le necessarie radici attecchenti il nazionalsocialismo hitleriano, fra miti esasperati di virilità e necessità purificatrici finalizzate ad eliminare ogni diversità inquinante). Lo stile è pregevole, schietto e quasi documentaristico come la materia richiede: un cinema verità poeticamente realistico, acuminato come la lama di un coltello (quasi Bressoniano oserei dire se il regista possedesse una più magmatica fantasia visiva capace di elevare l’opera a significati più drammaticamente precisi) che osserva le persone (i comportamenti dei contadini) e i luoghi (i paesaggi, la vita nei campi, le tragedie e le disperate ricerche delle proprie identità negate) con entomologica precisione, quasi chirurgico nelle sue scansioni, nel progressivo avvicinamento al dramma metaforicamente annunciato in maniera esemplare con la scena magistrale dell’uccisione del porco, rito antico e feroce analogo a quello che si consumerà nei confronti del protagonista, costringendolo a sua volta ad assumere i connotati dell’assassino. La fotografia traduce esattamente nelle immagini l’atmosfera ambigua, “sporca”, indefinibile e pericolosa che domina le azioni di quel microcosmo cattolico-reazionario che anima lo sfondo e politicizza il risultato. Sono due universi antitetici quelli che ci vengono presentati: l’ottusa innocenza degli esclusi contrapposta alla volgarità insolente e violenta di chi li sfrutta e umilia. Saldamente radicato nella realtà bavarese, è esemplare nel rendere universale il messaggio di una storia racchiusa in un ristretto spazio provinciale e distante ma che ci rappresenta tutti molto da vicino, esasperando contraddizioni che sono anche nostre (ancora e sempre), attraverso l’evidenziazione delle difficoltà oggettive create dalle “diversità”, sempre e comunque rifiutata da una società conservatrice e guardinga, ancorata alle proprie ancestrali paure che “teme” come la peste la possibile “contaminazione indotta” e lo scandalo, e per scongiurare conseguenze così devastanti per il proprio equilibrio, isola, epura ed elimina i deboli o chi “crea scompiglio morale o sociale per la non corrispondente omologazione del sentire e del vivere”, legittimando la propria ferocia col codice puritano della “salute pubblica”. Eliminati finalmente i “corpi estranei”, amputati i bubboni putrescenti, si può finfine tornare alla normalità compiaciuta della vita riportata nei ranghi del decoro e del “comune senso del pudore” (le pustole anomale sono state direttamente o indirettamente espulse o asportate) in quel finale agghiacciante e antiretorico dove i contadini celebrano la ritrovata “moralità” della collettività insidiata, con una festa campestre in cui il prete risulta alleato al borgomastro, fra boccali di birra e fanfare osannanti, terrificante festa di apertura della campagna elettorale per le successive elezioni secondo riti e consuetudini ampiamente collaudati che si ripetono implacabili. Il film riesce davvero a mettere a nudo i “nervi scoperti” di quella società, ed è così estremo nella denuncia, da urtare, come già aveva fatto il lavoro teatrale, la sensibilità degli abitanti di quella regione che osteggiarono e disertarono le proiezioni, segno evidente che l’obiettivo era stato pienamente centrato. Nel frattempo molta acqua è passata sotto i ponti (il film è del 1969), ma a mio avviso il substrato culturale rimane invariato, tanto da rimanere attualissima la tematica dell’opera nonostante gli anni e le mutazioni.

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