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CINEMA E LETTERATURA: JEAN GENET
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CINEMA E LETTERATURA: JEAN GENET

Genet è sicuramente una delle figure letterarie più discusse e importanti del 900 (certamente è un autore fondamentale per la cultura francese) uno scrittore che ha attraversato trasversalmente e spesso in maniera anomala quasi tutti i generi. Scomodo e “provocatore”, spesso “scandaloso”, ha dato il meglio proprio in teatro con una produzione scarna ma capace di rivoluzionare persino le modalità di messa in scena. Scarsamente rappresentato quando era ancora in vita – salvo memorabili eccezioni – non solo per le difficoltà intrinseche dei testi ma anche per la caparbia ostinazione dell’autore di non ammettere messe in scena approssimative, con la conseguente necessità di centellinare, selezionando al massimo la concessione dei diritti (Genet ha combattuto tutta la vita contro - e a favore qualche volta - della messa in scena delle sue opere, non sembrandogli mai sufficientemente adeguata la forza trasgressiva della scena, il canto e l’urlo degli attori e nemmeno lo scandaloso ostracismo del pubblico spesso capace di reazioni violente, in relazione al senso delle “parole fissate sulla carta”) ha avuto in Italia ulteriori “ostracismi” (succede spesso per gli autori “dannati” in odore di zolfo) e i suoi scritti sono arrivati in maniera frammentaria e spesso con colpevole ritardo. Potremmo dire quindi senza ombra di dubbio che in questo caso, siamo arrivati tardi all’appello. Ci manca forse allora la “capacità” di comprenderne davvero la grandezza (e mi riferisco soprattutto alle grandiose “metafore teatrali della maturità”) perché troppo sporadici sono stati i “contatti” davvero significativamente pregnanti (e fra questi non possiamo purtroppo ascrivere lo sdoganamento ufficiale tardivo, asfittico e conformista, operato dal Piccolo di Milano a firma di Strelher per “Le balcon”, una “carineria da salotto” ben recitata e inappuntabile, e poco altro). Spesso banco di prova per sterili avanguardie nostrane (soprattutto “Haute surveillance”), forse il testo più spesso riproposto è stato quello de “Les bonnes” (anche recentemente con Franca Valeri e Annamaria Guarnieri)… eppure non ho in mente ricordi esaltanti di ciò che si è fatto in Italia: le uniche due rappresentazioni davvero “degne” di nota che mi tornano alla memoria con le loro coinvolgenti emozioni, sono quella memorabile e “al maschile” ad opera del Living Theatre vista al teatro di Palazzo Durini a Milano e quella presentata dalla compagnia di Nuria Espert (quasi una “cerimonia rituale e sacrilega”) in una lontana “Rassegna internazionale dei teatri stabili” meritoria iniziativa fiorentina troppo presto “soffocata” dalla burocrazia. Mancano all’appello però le stimolanti allegorie delle parabole conclusive, spesso approssimativamente lette solo in superficie, se si esclude una travolgente, personalissima e audace”rilettura di Latella (regista molto genetiano sempre e comunque) de “I negri” (ovviamente mi riferisco semplicemente a quello che ho visto io, e possono benissimo esserci eccezioni che non conosco che sarebbero invece meritorie di citazioni). Anche il rapporto col cinema è stato sporadico e insoddisfacente, quasi sempre più attento alle “storie” che ai significati e quindi altamente deludente nella resa. Possiamo escludere lo stimolante, breve contributo dello stesso Genet (“Un Chant d’amour”) recuperabile spesso e per fortuna (nonostante la poetica arditezza dissacratoria delle immagini) grazie a Ghezzi in “Fuori Orario” e il purtroppo tardivo (per entrambi) incontro col Fassbinder di “Querelle de Brest”… perché.. il resto “è silenzio”. Il “bastardo” Genet nacque a Parigi il 19 dicembre del 1910, figlio di padre ignoto e di una giovane di 22 anni, Gabrielle Genet, che lo abbandonò quasi subito alle cure della pubblica assistenza. Praticamente figlio di ignoti, fu allevato in campagna da una famiglia di contadini. Per sfuggire alle umiliazioni che subiva, cominciò una vita randagia densa di episodi inquieti e scabrosi che egli stesso riconosce alla base della sua complessa ispirazione, ma che lo fecero ben presto finire in casa di correzione, e poi in compagnia di disciplina a seguito di alcune condanne per furto. Finito il servizio militare, senza un mestiere e senza il desiderio di esercitarlo, ricominciò la sua vita di mendicante, di ladro e di prostituto (spesso anche di delatore e confidente della polizia) che gli fece conoscere le carceri di mezza Europa. E fu proprio in carcere che ebbe la rivelazione della sua vera personalità e cominciò a scrivere i suoi primi romanzi e poemi in prosa che riflettevano spietatamente la sua esperienza, dimostrandosi un artista di eccezionale levatura, dopo Rimbaud, l’ultimo grandioso poeta maledetto (insieme a Céline) di una corposa tradizione francese. Perseguitato dalle denunce per oscenità e pornografia, fu particolarmente amato e protetto dagli scrittori più importanti dell’epoca specialmente da quelli che gravitavano in “area esistenzialista” (il celebre saggio che gli dedicò Jean-Paul Sartre “San Genet commediante e martire” resta un contributo fondamentale per la sua conoscenza e valutazione). Scoperto da Cocteau, già nel 1947 fu insignito del Premio della Pléiade, mentre l’anno successivo arrivò sulle scene con “Les bonnes” (grazie a Jouvet) rivelando per la prima volta la validità di un teatro caratterizzato da un totale rinnovamento di “contenuto” al di là di ogni limite conformistico, in aperta polemica con la morale borghese. La sua affermazione fu dunque immediata e clamorosa e determinò una mobilitazione straordinaria di tutta la sfera intellettuale con una petizione al presidente della Repubblica per chiedere che questo scrittore “reietto” e ancora sconosciuto ai più, venisse liberato dal carcere. E Genet fu proprio grazie a questo intervento, graziato e riabilitato (uno dei pochissimi casi del genere). Oltre alla produzione teatrale (ai testi sopra citati deve essere aggiunto “Les Paravents”) dobbiamo ricordare il romanzo autobiografico “Journal du voleur” pubblicato in clandestinità con il quale racconta la sua vita, descrive il suo ambiente e le sue cadute senza chiedere comprensione o gentilezze: Genet non giustifica se stesso, non si esalta e non accusa la società. Dipinge soltanto la propria vita e documenta le proprie emozioni, descrive l’ambiente che fa da cornice ai fatti con occhio vivo, feroce e viscido, “quella realtà di miseria e di vizio, che in ogni città invischia migliaia di persone, migliaia di paria, che la società sdegna, respinge senza nemmeno tentare di capire” e che per questo non ha quasi mai possibilità di redenzione. E ancora: “Le condamnè à mort”, “Notre-Dame–des-Fleurs”, “Miracle de la rose”, “La galère”, “Un Chant d’amour”, “Querelle de Brest” e moltissimi articoli di attualità politica soprattutto negli ultimi periodi della sua esistenza. Genet muore sempre a Parigi, all’età di 76 anni, nel 1986. Un esempio della sua alta qualità di scrittore e del suo rigore formale e stilistico? Se avete voglia di leggere e ancora un po’ di tempo a disposizione, eccovi accontentati (è un breve pezzo tratto da “Miracle de la rose” intitolato “L’umiliazione”): “PRENDO SU DI ME LA PENA E PARLO. …. MI CHIEDO PER QUALE PRODIGIO POTE’, DURANTE L’INTERA ORA DELLA RICREAZIONE DI MEZZOGIORNO, INGANNARE IL SORVEGLIANTE SEMPRE ATTENTO. VAN ROY RIUNI’ I SETTE PIU SVELTI DEL GRUPPO, TRA CUI DELOFFRE E DIVERS, NEL CORTILE DIETRO LA CASETTA. POI VENNE A CERCARMI. APPENA LO VIDI AVVICINARSI A ME CAPII CHE LA MIA ORA ERA SUONATA. STAVANO PER PROCEDERE ALL’ESECUZIONE. E’ ALLORA CHE LA COLONIA DIVENNE UNO DEGLI ANTRI PIU’ ANGOSCIOSI DELL’INFERNO. IL MALE ERA IN LEI. OGNI ALBERO, OGNI FIORE, OGNI APE, IL CIELO AZZURRO, L’ERBA, DIVENNERO GLI ACCESSORI DI UN LUOGO, DI UN SITO INFERNALE. I PROFUMI RESTARONO PROFUMI, E L’ARIA PURE RIMASE ALTRETTANTO PURA, MA IL MALE ERA IN LORO. DIVENTARONO PERICOLOSI. ERO AL CENTRO DI UN INFERNO MORALE CHE AVEVA PER OGGETTO IL MIO TORMENTO. VAN ROY VENNE VERSO DI ME, L’ARIA DISTACCATA, UN LEGGERO SORRISO SULLE LABBRA. INDICANDOMI IL FONDO DEL CORTILE, MI DISSE: “VIA! CAMMINA!” LE LABBRA SECCHE, SENZA RISPONDERE, ANDAI AVANTI E, DA ME, MI INCOLLAI CONTRO IL MURO DEL FONDO, QUELLO DI FRONTE ALLE LATRINE. DA LI’, QUELLI CHE STAVANO GIOCANDO SOTTO GLI OCCHI DEL SORVEGLIANTE, NELLA PARTE DAVANTI, NON POTEVANO VEDERCI E DOVEVANO AVERE AVUTO L’ORDINE DI NON AVVICINARSI DURANTE LA RICREAZIONE. QUANDO ARRIVAI, I SETTE RAGAZZI CHE DISCUTEVANO FRA LORO, LE MANI IN TASCA, FECERO SILENZIO. VAN ROY GRIDO’ CON VOCE PIENA DI ALLEGRIA: “ANDIAMO RAGAZZI! A 15 METRI!”. SI MISE LUI STESSO ALLA DISTANZA DICHIARATA, DAVANTI A ME, E MI GRIDO’: “APRI LA BOCCA, SCHIFOSO!”. NON MI MOSSI. LORO SI MISERO A RIDERE. NON OSAVO GUARDARE MA INDOVINAVO CHE ERANO TUTTI ESALTATI. VAN ROY CONTINUO’: “LA VUOI O NON LA VUOI APRIRE QUELLA BOCCACCIA LERCIA?”. APRII LA BOCCA. “DI PIU’, SPALANCALA!” MI SI AVVICINO’ E MI SPALANCO’ LE MASCELLE, CON LE MANI D’ACCIAIO. RESTAI COSI’. TORNO’ A 15 METRI, CHINO’ UN PO’ LA TESTA VERSO DESTRA, , MIRO’ E MI SPUTO’ IN BOCCA. UN MOVIMENTO DI DEGLUTIZIONE QUASI INCOSCIENTE MI FECE INGOIARE LO SCRACCHIO. I SETTE URLARONO DI GIOIA. AVEVA MIRATO DIRITTO, MA LI FECE STAR ZITTI PER NON ATTIRARE L’ATTENZIONE DEL SORVEGLIANTE: “A VOI, ADESSO, UNO ALLA VOLTA!” PRESE PER LE SPALLE DELOFFRE, CHE RIDEVA, E GLI FECE ASSUMERE LA STESSA POSA, NELLO STESSO POSTO CHE AVEVA APPENA LASCIATO. ANCORA AGITATO DALLE RISATE, DELOFFRE MI SPUTO’ SUGLI OCCHI. TUTTI E SETTE EBBERO IL LORO TURNO, E ANCHE PARECCHIE VOLTE. RICEVEVO GLI SPUTI NELLA MIA BOCCA SPALANCATA CHE LA STANCHEZZA NON RIUSCIVA A CHIUDERE. SAREBBE BASTATO UN NIENTE PERCHE’ QUESTO GIOCO ATROCE SI MUTASSE IN UN GIOCO GALANTE E CHE INVECE DI SPUTI FOSSI COPERTO DI ROSE. PERCHE’ I GESTI SONO GLI STESSI. IL DESTINO NON AVREBBE AVUTO GRANDE FATICA A MUTARE: LA PARTITA SI ORGANIZZA, DEI RAGAZZI FANNO IL GESTO DI LANCIARE… NON COSTEREBBE DI PIU’, SE FOSSE DELLA FELICITA’. ERAVAMO NEL CENTRO DEL PARCO PIU’ FIORITO DI FRANCIA. ASPETTAVO LE ROSE. PREGAVO IDDIO DI ADDOLCIRE UN PO’ LE SUE INTENZIONI, DI FARE SOLO UN LIEVE CENNO PERCHE’ QUEI RAGAZZI NON MI ODIASSERO PIU’, MI AMASSERO. AVREBBERO CONTINUATO QUEL GIOCO, MA CON LE MANI PIENE DI FIORI, SAREBBE BASTATO COSI’ POCO PERCHE’ NEL CUORE DI VAN ROY, INVECE DELL’ODIO ENTRASSE L’AMORE. VAN ROY AVEVA INVENTATO QUELLA PUNIZIONE, MA VIA VIA CHE I RAGAZZI SI ESALTAVANO, LA LORO LENA, IL LORO CALORE MI PRENDEVANO. AVANZAVANO SEMPRE PIU’, FINO AD ESSERMI VICINI, VICINISSIMI, E MIRAVANO SEMPRE PEGGIO. LI VEDEVO, A GAMBE DIVARICATE, BUTTARSI INDIETRO COME UN ARCIERE CHE TENDE L’ARCO, E FARE UN LEGGERO MOVIMENTO IN AVANTI MENTRE IL GETTO FILAVA. ERO COLPITO IN FACCIA, E FUI BEN PRESTO COPERTO DI UN VELO VISCHIOSO E VISCIDO… NON ERO PIU’ LA DONNA ADULTERA CHE SI LAPIDA, MA L’OGGETTO CHE SERVE AD UN RITO AMOROSO… E’ ALLORA CHE CIUSI LA BOCCA E FECI IL GESTO DI ASCIUGARMI CON LA MANICA. VAN ROY MI SI PRECIPITO’ ADDOSSO. CON UNA TESTATA IN PANCIA MI MANDO’ RUZZOLONI CONTRO IL MURO. GLI ALTRI LO FERMARONO…. (traduzione di Felice Dessì).

Playlist film

Un chant d'amour

  • Sperimentale
  • Francia
  • durata 26'

Titolo originale Un chant d'amour

Regia di Jean Genet

Con Java, André Reybaz, Lucien Senemaud

Un chant d'amour

In streaming su Chili

vedi tutti

Breve sintesi filmata ad opera dello stesso regista, di quel poema d’amore e di desiderio che racconta le “passioni” e le dipendenze all’interno del carcere, i rapporti fra carcerati e sorveglianti. Ardito e necessario: Ogni volta che lo vedo riesce ad em

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Querelle de Brest

  • Drammatico
  • Germania, Francia
  • durata 106'

Titolo originale Querelle

Regia di Rainer Werner Fassbinder

Con Brad Davis, Franco Nero, Jeanne Moreau, Laurent Malet, Hanno Pöschl, Günther Kaufmann

Querelle de Brest

Fassibinder – 1982. Personalissima riflessione sui rapporti umani dominati da violenza e sopraffazione. Figurativamente affascinante, manca forse l’esaltazione mistica dell’opera originale, ma rimane un esempio significativo, criticamente attendibile e

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Il balcone

  • Drammatico
  • USA
  • durata 84'

Titolo originale The Balcony

Regia di Joseph Strick

Con Shelley Winters, Peter Falk, Lee Grant, Peter Brocco, Joyce Jameson

Il balcone

Joseph Strick – 1963. Ottime interpretazioni (Winters, Grant, Falk, Nimoy) ma una evidente incapacità registica di coordinare la complessità della materia e di trasferire sullo schermo le illuminazioni oniriche di un testo allegorico e spesso surreale che

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

...e il diavolo ha riso

  • Drammatico
  • Gran Bretagna
  • durata 103'

Titolo originale Mademoiselle

Regia di Tony Richardson

Con Jeanne Moreau, Ettore Manni, Umberto Orsini, Keith Skinner

...e il diavolo ha riso

Toni Richardson – 1966. In questo caso Genet è responsabile solo della sceneggiatura, ma il risultato è desolantee: due mondi contrapposti (quello del regista e dello scrittore) che non si incontrano né si integrano ma entrano fatalmente in rotta di colli

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No
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