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Infelici e precari
di Darjus ultimo aggiornamento
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Infelici e precari

Eccoli i nuovi trentenni. Infelici e precari. La notizia la apprendo da un articoletto di Metro, ma l’avevo intuita già da me. Sul pezzo si legge: “trent’anni, contrattualizzati con formule di stage o ‘cocopro’, sfiduciati verso il futuro, incapaci di stabilire legami affettivi soddisfacenti. E muniti di una buona dose di grane quotidiane.” Questo identikit emerge dal rapporto annuale della “Voce amica”, una linea telefonica alla quale, nel 2000, chiamavano soprattutto anziani. Ecco che invece i nuovi infelici sono proprio i giovani. Io direi dai 26/27 ai 33/34, poi naturalmente dipende. Un impatto notevole è costituito dalla Laurea, mai come in questa fase storica un pezzo di carta di dubbia utilità che pesa come un macigno. Si raggiunge un obiettivo, si chiude una fase della vita, ci si sente grandi, ci si sente titolati e preparati. E poi? E poi il mondo del lavoro, la vita adulta e concreta sono tutt’altra cosa. E così si entra nel vortice dell’“intitolamento selvaggio”: corsi di alta formazione, stages, master di I livello, master di II livello, dottorati di ricerca, etc. etc. Alla fine ci sono una serie di scienziati “capoccioni” che lavorano nei call center, fanno fotocopie, portano borse. Tutti lottano per se stessi, per migliorarsi sempre di più perché il livello di preparazione è alto e le offerte poche. E allora che succede? Succede che ci si deprime, ci si sente inadeguati, ci si pente delle scelte fatte, si perde fiducia in se stessi e nel sistema. E la vita di relazione? L’individualismo, l’egoismo, la fretta e l’ansia da prestazione dominano anche nella vita sociale. Le conclusioni sono addirittura ovvie. Ciò che spaventa è l’assenza di dialogo e di comunicazione. La mancanza di solidarietà e la rarità di sentimenti profondi. Viviamo in una società nella quale la comunicazione è tutto, in cui internet ed il cellulare ci hanno “avvicinato” tutti. E invece l’effetto è proprio il contrario: i rapporti sono asettici, freddi e impersonali. Anestetizzati. Ci si nasconde dietro alla tecnologia per essere qualcun altro e si perde l’odore, la vista ed il contatto con l’altro. Che non sarà mai un inferno se tenuto a debita distanza. Si finge, si immagina, ma non si vive realmente. Tutto è un surrogato di tutto e le persone assomigliano sempre più ad androidi privi di significato, monadi leibniziane, nomadi e alla ricerca di qualcosa sta scomparendo. http://darjus.blog.tiscali.it

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