Percorso frastagliato, completamente in salita quello di Antonioni che fin dai suoi esordi, in piena epoca di neorealismo, si compiace di procedere controcorrente, impostando il suo primo lungometraggio addirittura su un dramma borghese che slitta quasi sul mystery, di notevole impatto per la sua epoca e nient’affatto datato, grazie anche al carattere d’universalità dell’argomento preso in esame. E fin dalle sue prime opere quel muro d’incomunicabilità che porterà le sue creature ad assumere un atteggiamento sempre più distaccato ed alieno da qualsiasi tipo di condizionamento vitale e sentimentale appare in fase di allestimento, lasciando trasparire da più parti fuochi strozzati di passione impossibili da spegnere con la sola forza di una volontà tuttora soggetta a condizionamenti sentimentali. Ma è col “Grido” che l’autore si avvicina alle tragedie dell’esistenza avvalendosi di uno stile ancora più scarno e dimesso di quello cui siamo avvezzi, oppressivo fino all'estremo, fino allo scaturire dell’ultima stilla di dolore intesa a sublimare una narrazione costantemente rappresa in sé stessa, prigioniera della sua stessa incapacità di progressione esponenziale, chiusa ad ogni minima variante adiacente alla soglia dell’umano, eppure perfettamente equilibrata nei suoi valori formali e nelle sue interiori vibrazioni emotive. E da qui all’”Avventura” il passo è breve. E’ tutto spianato il terreno in direzione della trilogia (anzi quadrilogia) dell’incomunicabilità.
Tutto racchiuso nella pressante dimensionalità spaziale di un’arida metropoli notturna pronta ad ingolfare nelle sue spire ogni residuo sprazzo di vita interiore.
Spiragli di neonata incomunicabilità che fluttua nei risvolti di un tessuto narrativo ancora grezzo, non disdegnando di pescare a piene mani nei controversi chiaroscuri della vita.
Compulsivo connubio tra individuo e natura, l’un l’altro ostili ma osmoticamente affini, delineato tra caleidoscopiche visioni di distese di brumosa desolazione.
Sprazzi di memoria storica spazzati via dal polveroso cammino del tempo, mentre adombrati fuochi fatui si spengono nel nulla per fare spazio alla “notte” dei sensi.
Il vuoto dei sentimenti non può più essere colmato, la sentenza è stata emessa da tempo e la notte sta per calare sugli esseri avvinghiati in un ultimo illusorio abbraccio di malcelata disperazione.
Con Monica Vitti, Alain Delon, Francisco Rabal, Lilla Brignone, Louis Seigner, Rossana Rory
Echi di savana africana intesi come possibile via di fuga da un’esistenza che si consuma nella tetraggine quotidiana, in un ambiente esterno ammantato di un sentore di dissoluzione.
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